domenica 3 ottobre 2021

Pontediferro

Ieri è andato a fuoco il Ponte dell'Industria, conosciuto a Roma come il Ponte di Ferro, un simbolo per la città e un ponte importante anche per la viabilità poiché è quello che mette in comunicazione diretta due quartieri molto popolosi, Marconi e Ostiense. A dir la verità un ponte decisamente insufficiente per sostenere questo collegamento, tanto che già da tempo si parlava di un suo necessario ampliamento, senza però alcun seguito. Qualunque opera architettonica o ingegneristica annunciata a Roma ha dei tempi di incubazione e soprattutto di realizzazione che fanno paura a qualunque romano si trovi ad abitare nelle sue vicinanze. Chissà adesso che succederà. Speriamo bene.

Quel ponte è considerato un'opera storica, un monumento dell'archeologia industriale italiana, in questo senso la sua possibile perdita è un po' un dispiacere. Una testimonianza delle opere del passato nella nostra città.

Ma andandomi a documentare per l'occasione scopro che il ponte (la sua prima versione, quella ferroviaria, perché in seguito, nel 1911 è stato in parte rifatto) risale al 1863 e in realtà è stato realizzato per lo Stato Pontificio da una società belga. Addirittura non fu costruito sul posto, la società belga effettuò il lavoro in Inghilterra e trasferì i pezzi a Roma, dove fu assemblato. Questa cosa mi ha un po' amareggiato, mi ha fatto pensare alla situazione italiana di fine ottocento, subito dopo la sua unità. All'epoca i veri motori scientifici e tecnologici europei erano l'Inghilterra, la Francia, la Germania. Noi al limite avevamo lo Stato Pontificio che aveva sufficienti ricchezze per comprarle, queste tecnologie. E le cose purtroppo sono andate avanti così.

Mi torna in mente un testo letto un po' di tempo fa, che tenta di fare il punto della situazione culturale italiana, sotto il profilo scientifico e tecnologico, partendo proprio da questo periodo, o giù di lì. Un breve stralcio della prima pagina di questo testo recita così: "Tutti sapevano [in Italia], in quel finire di secolo, che le grandi nazioni europee stavano potenziando le strutture materiali della ricerca e incentivando le risorse umane da inserirvi. Ma si credeva, anche, che l'Italia se ne sarebbe poi avvantaggiata, facendo proprie le acquisizioni che inglesi o tedeschi avrebbero, a proprie spese, realizzato. Un errore classico. Ma tipico di una cultura arretrata e di una classe dirigente che di quella cultura era, nello stesso tempo, il risultato e lo specchio [...]".

Più avanti, arrivato a raccontare gli anni settanta (quelli che mi vedono crescere), riporta le parole pessimiste di Giuliano Toraldo Di Francia: "L'Italia è un paese in via di sottosviluppo. Siamo in una situazione tragica. [...] Vedo già l'Italia dipendere, nel campo del progresso scientifico, da ciò che avviene all'estero. Da noi si comprerà solo il prodotto finito". Osservando la situazione attuale non mi sembra che si sia sbagliato di molto.

Il Pontediferro, un'opera tecnologica comprata dai paesi che sapevano farla, ci ricorda le nostre origini.

[Le citazioni sono prese dal libro di Enrico Bellone "La scienza negata. Il caso italiano", Codice edizioni, 2005]


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