lunedì 30 dicembre 2024

La rivincita della Meccanica Statistica

All'università ho conosciuto la Meccanica Statistica per la prima volta al corso di Istituzioni di Fisica Teorica tenuto dal prof. Virasoro, (che a causa della sua origine sudamericana pronunciava simpaticamente "la mecanica tatitica").

Mi verrebbe di definire la Meccanica Statistica, in modo un po' impreciso e forse esagerato, la "teoria dimenticata" del XX secolo, almeno dalla cultura scientifica media, che però determina anche le scelte di studio degli specialisti. E' certamente la "terza meccanica". La fisica del XX secolo è infatti dominata dalle due grandi meccaniche che informano tutta la scienza moderna, la Meccanica Relativistica e la Meccanica Quantistica.

Con la Meccanica Statistica nasce la descrizione dei sistemi complessi in termini dei loro costituenti microscopici, nasce il concetto di entropia microscopica, nasce l'interdisciplinarietà e la trasversalità di molti argomenti scientifici e tecnologici. In ultimo nasce anche un filone dell'intelligenza artificiale. Ma nonostante ciò questa meccanica, così importante dal punto di vista culturale e storico, non è "ben focalizzata" dalla nostra cultura scientifica media. Gli argomenti importanti che in varia misura discendono da essa o ad essa sono collegati vengono in genere presentati in modo isolato, senza inserirli in un quadro concettuale unitario, forse proprio a causa dell'interdisciplinarietà. In fondo il concetto certamente trasversale, molto generale e forse per questo un po' vago, come quello di complessità, termine entrato massicciamente in uso nel linguaggio comune e oggi molto di moda, nasce proprio nell'ambito di questa importante disciplina.

Quest'anno sono stati assegnati dei premi Nobel a scienziati esperti di Meccanica Statistica, formatisi proprio in quest'ambito, che hanno condotto studi sull'intelligenza artificiale e sui loro utilizzi. La Meccanica Statistica, sorella minore delle grandi teorie che hanno attraversato il '900, sta vivendo in questi ultimi decenni una sua rivincita (sempre esagerando un po').

https://www.lescienze.it/news/2024/10/09/news/premio_nobel_chimica_2024_proteine-17398715/

https://www.lescienze.it/news/2024/10/08/news/nobel_fisica_2024_intelligenza_artificiale_hopfield_hinton-17376369/

NOTA: sottolineo che anche il Nobel del nostro Giorgio Parisi è stato assegnato per importanti risultati teorici che si muovono nell'ambito della Meccanica Statistica .... e che gli storni sono stati studiati con tecniche tipiche di questa disciplina. :-)

martedì 24 dicembre 2024

Risposta non data ad un post su FB

Un post su Facebook di qualche giorno fa commentava la notizia che il governo ha annullato le multe per chi non si è vaccinato contro il covid. Si tratta di un vecchio provvedimento introdotto dal governo Draghi che obbligava gli over 50 a vaccinarsi. Era stata prevista una multa di 100 euro per chi non avesse ricevuto almeno la prima dose entro una certa data. Poiché la notizia ha sollevato una serie di polemiche il post si domandava, con una certa dose di ironia, il motivo di tutta questa agitazione, e chiudeva con una battuta che lasciava intendere l'orientamento no-vax dell'autore.

Mi sono venute in mente almeno tre obiezioni che scrivo qui evitando di scriverle direttamente come risposta al post, dal momento che non ho nessuna voglia di innescare vecchie polemiche.

Senza voler ritornare sull'opportunità di quell'obbligo (non è questo che mi interessa) rilevo che:

1. il buco di bilancio provocato da questa abolizione ricade su tutta la cittadinanza;

2. il fatto che ci siano dei cittadini che all'epoca, contro le loro intenzioni, si sono vaccinate per rispettare un obbligo di legge, e che adesso passano un po' per "fessi", visto che molti altri cittadini non rispettando la legge ora non ne devono rispondere più, non mi pare una cosa di civiltà;

3. la disubbidienza civile è un diritto sacrosanto del cittadino, ma è tale solo se se ne subiscono le conseguenze, altrimenti si ricade nel problema del punto 2.


sabato 14 dicembre 2024

Una visita alle Terme di Caracalla

Guidati da un'archeologa abbiamo visitato le Terme di Caracalla, chiamate così perché edificate sotto l'imperatore il cui nome deriva dal fatto che usava indossare una mantellina con il cappuccio, un indumento gallico chiamato appunto "caracalla".

La guida ci ha raccontato che Caracalla è stato imperatore per soli 6 anni, morendo giovanissimo (prima dei trent'anni) in un agguato. Ma comunque ebbe modo, anche se per pochissimo, di utilizzare le sue terme perché queste furono costruite in soli 5 anni.

"Oh, gli antichi Romani costruivano un impianto gigantesco come le terme in soli cinque anni e noi non riusciamo a fare una linea di metropolitana neanche in vent'anni". Doveva per forza uscire una considerazione simile, c'è sempre qualcuno che la tira fuori. È indipendente dal grado di istruzione di chi la pronuncia. Deve essere dovuto al fatto che a scuola non si studiano né le forme di governo né l'economia.

Ci sono due cose che velocizzano la realizzazione di opere pubbliche, le dittature e l'economie basate sull'uso degli schiavi. La società romana le possedeva entrambe, noi fortunatamente no.

Oddio, una dittatura l'abbiamo lasciata alle spalle da relativamente poco tempo, e probabilmente c'è chi non disdegnerebbe tornarci. Quello è stato anche il periodo in cui l'architettura italiana ha prodotto di più, in tempi brevi, facendo opere di qualità. La famosa e ironica frase "quando c'era lui" si riferisce proprio a questa capacità, tipica delle dittature, di fare opere pubbliche in poco tempo e in modo efficiente.

E gli schiavi?

Un paio di giorni dopo questa visita ho sentito leggere e commentare un articolo (credo de "Il Sole 24 Ore") che parlava del processo di Satnam Singh, il bracciante lasciato morire dissanguato dal suo datore di lavoro che per paura di essere incriminato per sfruttamento lo ha lasciato davanti casa con un braccio amputato.

L'articolo descriveva il modello dell'agricoltura di Latina che in sostanza si basa su un sistema di sfruttamento dell'immigrazione irregolare, o semplicemente sull'uso di forza lavoro, in massima parte costituita da lavoratori immigrati, i cui diritti non sono adeguatamente tutelati. E' un sistema di cui è vittima anche lo Stato perché i lavoratori lavorano in nero e quindi, se non sono clandestini, ricevono sussidi di disoccupazione dallo Stato. Ma spesso queste domande e i relativi documenti per ricevere questi sussidi sono stati presentati dagli stessi datori di lavoro che percepiscono quindi il sussidio al posto dei lavoratori e se ne tengono una parte. La sostanza è che i lavoratori vengono pagati una fame, tipo 6 euro l'ora, e il datore di lavoro non ce li mette nemmeno tutti perché per pagare questi stipendi usa in parte i soldi dei sussidi.

L'articolo prosegue allargando il discorso alla situazione generale che non riguarda solo Latina bensì tutto il settore agricolo italiano. I dati recenti dicono che in Italia il 30% dei lavoratori nelle campagne italiane è irregolare e che la retribuzione media lorda annuale dei braccianti è di circa 6000 euro, nettamente al di sotto della soglia di povertà.

Tutto ciò per tenere bassi i prezzi delle merci, una cosa che serve, e serve parecchio a molti onesti cittadini italiani che hanno uno stipendio decente ma fermo ormai da vent'anni.

La città di Roma ai tempi di Caracalla consentiva alla cittadinanza (anche la meno abbiente, le terme costavano poco) di tenersi pulita e in condizione igieniche decenti usufruendo di strutture come le terme, che però erano costruite e manutenute da schiere di schiavi, non pagati e non liberi. Lo Stato italiano ai nostri tempi permette alla cittadinanza di accedere a molti prodotti agricoli a basso prezzo, prodotti che però richiedono il lavoro di braccianti sottopagati e senza regolari diritti. L'analogia non è peregrina.


sabato 7 dicembre 2024

Fare e capire, tecnologia e scienza

Penso di aver sempre studiato non tanto con l'obiettivo di fare ma con l'obiettivo di capire. Sono due cose collegate ma non sono la stessa cosa, altrimenti non esisterebbero due parole distinte. Credo che c'entri molto il carattere che poi definisce l'agire. Che c'entri la curiosità, che porta a vedere parecchie cose con un certo interesse e con una certa voglia di arrivare a capirle, per quanto possibile.

Forse è per questo, e per averlo ad un certo punto intuito, che quando si è trattato di scegliere gli studi universitari e la tecnologia prometteva di più dal punto di vista lavorativo (del fare) ho scelto di studiare fisica, che prometteva di farmi capire. Poi per campare (per fare) mi sono rivolto alla tecnologia, ma mai pentito di aver studiato la scienza, in cui ho trovato sempre una maggiore affinità col mio carattere e in cui ho costruito la mia formazione culturale.

Volendo sintetizzare in modo forse un po' approssimato ma efficacie, la differenza tra tecnologia e scienza è una differenza di atteggiamento e di obiettivo. La tecnologia è più interessata a fare, la scienza è più interessata a capire. La tecnologia immagina dispositivi e oggetti d'uso, la scienza immagina modelli della realtà.

Questa semplice definizione ha un po' il pregio di chiarire il rapporto stretto tra scienza e tecnologia. Perché fare e capire sono ovviamente due atteggiamenti interconnessi. Capire aiuta a fare e fare aiuta a capire. Ma riesce anche a cogliere la loro differenza nel porre l'accento tra i due atteggiamenti. Si può fare senza aver capito se non parzialmente, si può capire senza preoccuparsi di riuscire automaticamente a fare. A seconda dell'atteggiamento a cui si dà più importanza si fa scienza oppure si fa tecnologia.

Infine i due atteggiamenti rendono conto pure di un'ultima differenza che distingue la scienza dalla tecnologia nell'ambito del progresso sociale. Preoccuparsi di fare significa principalmente produrre, e questo lega l'agire tecnologico direttamente alla produzione di ricchezza. Preoccuparsi di capire non è altrettanto appetibile come attività economica, almeno non su tempi brevi, non produce ricchezza in tempi utili. Questo rende purtroppo la tecnologia troppo prona all'economia, o meglio alla capacità di far soldi. La tecnologia fatta per il benessere della società sembra più un epifenomeno.

Mi viene in mente una famosa frase di Feynmann, "la fisica è come il sesso, ha delle conseguenze pratiche ma non è per quello che si fa". Parafrasando si potrebbe dire, "la tecnologia spesso migliora la vita della società, ma non è per quello che si fa".

NOTA FILOSOFICA: Dietro queste definizioni ci sono due atteggiamenti filosofici distinti. Da una parte l'uomo che dispone della natura, la tecnologia esprime un rapporto utilitaristico tra l'uomo e gli oggetti del mondo, un rapporto di potere. L'uomo utilizza la natura a suo vantaggio, il rapporto tra uomo e natura è gerarchico. Dall'altra l'uomo che guarda la natura, la osserva, la scienza definisce un rapporto di integrazione con la natura, alla ricerca di un suo posto dentro la natura. Scienza e tecnologia riflettono due aspetti della natura umana che si intersecano ma non si sovrappongono.


sabato 30 novembre 2024

La Messa in Si Minore e il concerto borghese

Sono andato ad un concerto dove veniva eseguita per intero la Messa in Si Minore di J.S.Bach. Si tratta di una collezione di brani per soli, coro e orchestra, che si articolano nelle cinque sezioni della messa latina dell'ordinario: Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei. La durata complessiva è di circa 1 ora e 40 minuti, più o meno.

Il concerto è stato molto bello ma secondo me aveva un difetto (che oggi tolleriamo senza problemi), era anacronistico e fuori contesto. L'opera in questione non solo non è mai stata concepita per le sale da concerto che all'epoca, prima metà del '700, praticamente non esistevano, almeno non come le conosciamo adesso, ma non è mai stata eseguita per intero con l'autore vivente.

Una messa del genere, di queste dimensioni, non era utilizzabile per nessuna occasione religiosa, i vari brani venivano utilizzati separatamente in varie occasioni ma mai tutti insieme. Lo dimostra anche il fatto che l'autore ha costruito quest'opera come un assemblaggio di brani diversi, scritti in occasioni diverse e per scopi diversi nell'arco di circa 25 anni di carriera. L'equivalente di una "raccolta di racconti" o di una "mostra di quadri" legati da un filo conduttore che è appunto la messa del rito cattolico (cosa peraltro curiosa, visto che l'autore era luterano). Quello che ne è venuto fuori, e forse era anche l'intenzione dell'autore, è come si suol dire una "summa" della letteratura vocale sacra di tutto un periodo musicale (il barocco).

La trasformazione di un'opera del genere, legittimamente fruibile "a pezzi", in un concerto unico per il pubblico, ben difficile da digerire tutto intero, è figlia della cultura del Romanticismo e della nascita del concerto pubblico per la borghesia pagante, qualcosa di molto lontano dal contesto culturale che ha prodotto un capolavoro come la Messa in Si Minore, e che invece rappresenta ancora il nostro modo non solo di fruire la musica, ma tutta l'arte.

L'idea di esporre le opere d'arte della nostra storia culturale ad un pubblico che la "subisce" tutta intera in "riti sacri" interminabili non mi pare francamente la scelta migliore, anche se è di fatto la regola del nostro tempo (che forse le nuove tecnologie stanno progressivamente scardinando). L'esempio più rappresentativo è quello della pinacoteca, un'esperienza spesso pesantissima, che si conclude tipicamente, dopo un certo tempo fisiologico ben inferiore al tempo necessario per esaurire la visita, facendo finta di vedere i quadri che ti passano davanti.

Riporto a questo proposito una frase divertente e significativa di Philippe Daverio, storico dell'arte, che rende perfettamente l'idea: "La gente di solito va nei musei e guarda quattrocento quadri in un’ora e mezza. Torna con dei piedi gonfi così e va alla ricerca di una Coca-Cola tiepida per dimenticare l’esperimento. I luoghi dove stanno i quadri si chiamano pinacoteche, come esistono i luoghi dove stanno i libri che si chiamano biblioteche. Nessuno va in biblioteca e legge tutti i libri. Uno che va in una pinacoteca, in un museo, dovrebbe andare a vedere due quadri. All’inizio, a mio parere, addirittura uno solo. Quello che ha fatto il quadro spesso ci ha messo due anni a farlo. O anche due mesi a farlo… Cosa mi dà il diritto di guardarlo in venticinque secondi? Quando erano in Chiesa, la gente li vedeva da quando nasceva a quando moriva: tutta la vita. E adesso deve vederlo in un minuto mentre sta correndo al quadro prossimo?"


domenica 24 novembre 2024

Cani randagi in Thailandia

Una delle cose che ho notato in Thailandia è la presenza abbastanza diffusa dei cani randagi (e quasi inesistenti quelli al guinzaglio). Mi ha fatto tornare in mente gli anni in cui se ne trovavano anche nel mio quartiere periferico di Roma. Avevano delle caratteristiche che difficilmente si vedono sui nostri cani domestici.

Tendono a riunirsi in piccoli nuclei sociali che vivono ai margini degli ambienti umani, utili per trovare cibo e riparo. Non si lasciano avvicinare troppo, sono abituati alla compagnia dell'uomo ma si mostrano anche abbastanza diffidenti. Non sono sempre in cerca di carezze e di un padrone che li porti in giro, si muovono in modo del tutto autonomo con i loro simili.

In pratica non sono riuscito mai ad avvicinarmi abbastanza ai cani thailandesi per poterli accarezzare. Anche se sonnecchiavano al caldo avevano sempre un occhio aperto. Il loro aspetto risentiva dello stile di vita randagio: non troppo belli, un po' spelacchiati, non sempre pasciuti, con piccole ferite qua e là, razze piuttosto omogenee, senza troppe caratteristiche diversificate, segno di numerosi incroci non "progettati".

Ho pensato che in fondo questa loro diffidenza è del tutto naturale e condivisa anche da noi esseri umani. Quando mai una persona si farebbe accarezzare dal primo che capita? E quando mai ci sogneremmo di fare complimenti al primo che passa, come invece siamo soliti fare con i cani al guinzaglio. Quei cani thailandesi non ispiravano un comportamento "puccioso", un commento tipo "cucciolooo!!" o "ma che amooore!!". Per certi versi erano individui che transitavano per strada come tutti gli altri individui di specie umana, degni di rispetto, niente di più.

Quello che mi ha colpito è l'aver riconosciuto (e ricordato) un animale libero e rispettabile, che noi non vediamo più.


domenica 10 novembre 2024

Le progressioni e l'importanza di Corelli

In un post del 12 marzo 2023 elencavo le trasformazioni più comuni di un disegno melodico utilizzate nella nostra tradizione musicale. Tra queste c'erano le traslazioni nello spazio sonoro (spostamento del disegno melodico più in alto o più in basso) e le traslazioni nel tempo (ripetizioni in momenti diversi dello stesso disegno melodico). Se si combinano queste due trasformazioni si ottiene una figura musicale detta progressione, costituita dalla ripetizione del disegno melodico spostandolo ad ogni ripetizione verso l'alto (progressione ascendente) o verso il basso (progressione discendente).

In una vecchia trasmissione radiofonica si commentavano alcuni brani di J. S. Bach e si faceva notare come il musicista facesse un uso sistematico delle progressioni, da una parte sfruttando la loro regolarità, che consente all'ascoltatore di "fissare l'idea", e dall'altra cercando delle "rotture di simmetria" che facessero uscire in modo efficace dal loop. Un equilibrio tra regolarità e invenzione.

Non avevo mai notato in modo così evidente questo particolare stilistico, e adesso lo vedevo dappertutto. E' come quando si nota una cosa su cui non si era mai fissata l'attenzione, e da quel momento in poi la si riconosce ovunque. Mi ricordo però di aver pensato che una figura del genere la si può realizzare solo al momento in cui sono state sistemate le questioni del temperamento degli strumenti e del passaggio da una tonalità all'altra. Due cose che sono state messe a punto proprio tra la fine del seicento e l'inizio del settecento.

Oggi trovo la conferma di questa semplice considerazione leggendo un brano di un testo di storia della musica (Donald Jay Grout, "Storia della musica in occidente") dove l'autore attribuisce l'invenzione e l'uso della progressione ad Arcangelo Corelli, un musicista della generazione precedente a quella di Bach, e la collega proprio alla maturazione del sistema tonale ottenuta all'incirca in quel periodo. Il brano in questione è riportato qui sotto.

"Un espediente tecnico fondamentale, presente in tutta la musica di Corelli, è la progressione. Non a caso Corelli, il primo importante compositore barocco a fare un uso ampio e sistematico di questi mezzi strutturali, fu anche il primo a scrivere musica in cui siamo di fronte ad una realizzazione piena della tonalità maggiore-minore [...]. La progressione, sia condotta diatonicamente in un'unica tonalità, sia modulante in senso discendente nel ciclo delle quinte, resta sempre uno dei mezzi più efficaci per stabilire il senso della tonalità. Corelli [...] stabilì i principi dell'architettura tonale elaborati e ampliati da Handel, Vivaldi, Bach e da tutti gli altri compositori della generazione successiva".


sabato 2 novembre 2024

La bufala della terra piatta

Rileggendo stralci di un testo di Lucio Russo mi è ritornato in mente l'episodio tragicomico dell'ex-ministro della cultura, dimessosi per questioni ancora più gravi delle sue pur numerose e imbarazzanti gaffes, di cui ho scritto qui. Lucio Russo, storico della scienza, titola un paragrafo esattamente come questo mio post (in realtà è il viceversa, ovviamente) e sostiene che la credenza della terra piatta nella storia medievale in realtà non c'è mai stata, se si esclude qualche fonte isolata poco rappresentativa. Sostiene invece che nel secolo dei lumi comincia a diffondersi l'idea (questa si una credenza sbagliata) che la sfericità della terra sia una conquista della modernità. In pratica una bufala, mandata in giro evidentemente da chi tendeva ad avere una visione del proprio tempo come portatore di conoscenza razionale in contrapposizione al passato, soprattutto medioevale, oscurantista e irrazionale.

La cosa che mi ha attirato l'attenzione è che lo storico riporta due citazioni curiose, una di Voltaire e l'altra di Thomas Jefferson. Nella prima Voltaire afferma che la rotondità della terra viene affermata dai grandi navigatori (Colombo, Vespucci e Magellano) contro la volontà e il potere della chiesa cattolica. Nella seconda addirittura Jefferson, sempre in polemica anticattolica, sostiene che "Galileo fu sottoposto al giudizio dell'Inquisizione per aver affermato che la terra era una sfera".

Pare che sia tuttora riportata in libri scolastici la falsa storia, diffusa da Washington Irving nella sua biografia romanzata di Cristoforo Colombo (1828), che "i dotti dell'Università di Salamanca avrebbero considerato inattuabile il progetto del navigatore genovese perché convinti che la terra fosse piatta". Addirittura Russo riporta un brano di Umberto Eco del 1964 che asseconda questa credenza (anche se io, incredulo, ho poi trovato in rete sia questo brano che un articolo di Eco, molto più recente, del 2003, che dice l'opposto).

Quindi sembrerebbe che "nell'immaginario collettivo è ben radicata una falsa storia della cultura, parallela a quella reale, formata da leggende che debbono la loro tenace popolarità alla funzione ideologica svolta". Evidentemente il nostro ex-ministro della cultura, dichiaratamente cattolico, è vittima di questo immaginario collettivo di origine anticattolica.

NOTA: l'interessante tesi storica di Lucio Russo in relazione a questo e ad altri problemi simili è quello della "fossilizzazione delle conoscenze", di cui ho parlato in questo vecchio post.


giovedì 24 ottobre 2024

Allucinazioni cognitive, di macchine e di umani

Tempo fa stavo seguendo un interessante podcast sull'intelligenza artificiale. Lo speaker stava facendo un esempio per spiegare il noto fenomeno delle allucinazioni cognitive in cui incorrono attualmente le AI. L'esempio consisteva nel chiedere a ChatGPT informazioni sulla fondazione Bruno Kessler. Si tratta di un istituto di ricerca, le aree più note dove agisce sono proprio l'intelligenza artificiale, la cybersecurity, la medicina, la sostenibilità energetica, ecc.

ChatGPT a questa richiesta rispondeva con una certa esattezza ma poi imboccava un'allucinazione cominciando a dire che Bruno Kessler era stato un famoso scienziato e dando informazioni sulla sua attività di ricerca. Peccato che Bruno Kessler, come dice anche Wikipedia, è stato in realtà un politico italiano, presidente della Provincia autonoma di Trento dal 1960 al 1974. La spiegazione che lo speaker dava di questa allucinazione era la seguente: poichè con grande probabilità un istituto scientifico viene sempre intitolato ad una figura di scienziato, ChatGPT ha proseguito la sua spiegazione aggiungendo notizie molto plausibili ma del tutto false sulla persona a cui tale istituto era dedicato. Lo speaker ha anche aggiunto che ora le ultime versioni di ChatGPT questo errore non lo fanno più, perché il comportamento dell'agente viene migliorato con dati acquisiti direttamente dalle fonti, aumentando così l'attendibilità delle risposte. Effettivamente è facile verificarlo.

Ma la cosa mi ha particolarmente colpito perché ho subito pensato ad un vecchio episodio di un mio compagno di liceo (episodio per il quale viene ancora preso in giro da tutta la classe) che è esattamente lo stesso tipo di allucinazione. E' un'interrogazione su Dante, lui è impreparato e sta nelle condizioni in cui l'unica possibilità per dire qualcosa è mettere insieme stralci di informazioni raccolte da quel poco che si ricorda con la speranza di tirar fuori da queste un assemblaggio il più possibile sensato e plausibile. Condizioni tutto sommato molto simili a quelle di un LLM come ChatGPT. Non gli riesce molto bene e la prof si spazientisce. Lo incalza con domande sempre più precise e infine gli domanda esplicitamente "ma insomma, chi era Farinata?", e lui, sempre cercando una risposta plausibile, se ne esce con "era una donna ...".

Il meccanismo dell'allucinazione è esattamente lo stesso. Non ho informazioni sicure sul soggetto in questione ma con buona probabilità, davanti ad un nome che termina con la "a" troverò conveniente cominciare la risposta col dire che si tratta di una donna. Plausibile ma purtroppo falso. Il nostro caro compagno è stato vittima di allucinazioni cognitive come ChatGPT. Se avesse potuto accedere ad un suggerimento di un compagno si sarebbe corretto anche lui, come ChatGPT.


domenica 15 settembre 2024

Musica "in tempo"

Da qualche anno vicino casa il mio municipio ha organizzato un parco lungo il fiume. Area giochi per bambini, sdraie per il relax, tavoli e panchine, chiosco e tavolini per consumazioni, ecc. Ultimamente è stata inserita anche una colonnina per alimentare amplificatori e strumenti che consentono la libera esibizione di dilettanti vari. Già un paio di volte mi è capitato di ascoltare delle band durante un caffè o un aperitivo in un'atmosfera estiva piacevole.

Ma questa mattina passeggiando nel parco mi sono imbattuto in due dilettanti che mi hanno un po' innervosito. Non era tanto il fatto che stessero cantando un pezzo di Bocelli su una base tipo karaoke (nessuno strumento), era piuttosto l'esecuzione che mi disturbava. Le frasi, specialmente quelle della cantante, erano sistematicamente fuori tempo, di pochissimo in anticipo, ma quanto basta per una resa estetica mediocre. Con una certa cattiveria ho pensato che potevo andare ad aiutarli battendogli il tempo corretto in testa con un martello. Sarebbe stato un buon esercizio.

Non stare sul tempo è una delle cosa peggiori che si possano fare in una esecuzione qualunque, quasi peggio che stonare. Ovviamente l'uso dei ritardi o delle anticipazioni, i cosiddetti "rubati", i ritorni "in tempo", sono tutti mezzi espressivi di grande efficacia, ma se li fai consapevolmente. Alla base di queste raffinatezze espressive deve esserci la capacità di portare il tempo quando serve.

Non è la prima volta che mi accorgo di questo problema, che forse non è sufficientemente curato e forse è anche poco percepito. Qualche volta mi viene anche in mente che sia, almeno a livello dilettantesco, e solo su certi tipi di repertorio, un aspetto trascurato. E ho il sospetto che questa "quadratura" sia forse considerata un eccesso di "razionalismo", una pratica di mero calcolo che non può avere a che fare con la nobile arte musicale, e su cui quindi non è necessario esercitarsi.

E' per questo che stamattina, sentendo questo karaoke che trascurava l'esercizio del contare per stare "in tempo", mi è tornata alla mente una celebre frase di Leibniz sulla musica, che sono andato a ricercarmi per non sbagliare. In una lettera al matematico tedesco Goldbach del 17 aprile 1712, Leibniz formula una definizione di musica importante quanto singolare: «Musica est exercitium arithmeticae occultum nescientis se numerare animi» (La musica è un esercizio occulto dell’aritmetica, nel quale la mente non si rende conto di calcolare). 


lunedì 19 agosto 2024

Metafore che hanno perso i concetti, e lo sforzo per recuperarli (2)

In relazione al post precedente c'è sicuramente una citazione famosissima che viene frequentemente usata ma che secondo me rischia sempre di rimanere a galla senza dare nessuna idea precisa, sebbene invece sia legata a un dibattito scientifico estremamente importante, in parte tutt'ora attuale almeno nei suoi aspetti filosofici e interpretativi del mondo naturale. Mi riferisco alla frase "Dio non gioca a dadi con l'universo", una frase scritta da Einstein in una lettera in risposta al collega Max Born nel 1926, all'indomani della proposta avanzata da quest'ultimo di dare un'interpretazione probabilistica alla funzione d'onda introdotta da Erwin Schrödinger.

Anche in questo caso, come nel caso dell'effetto farfalla del post precedente, la metafora, sebbene molto suggestiva, non consente di capire alcunché circa il senso della critica di Einstein. Ma anche in questo caso con un po' di curiosità e impegno si riesce a farsene un'idea soddisfacente senza caricarsi di formalismi non strettamente necessari, che nel caso della meccanica quantistica sono anche oggettivamente molto pesanti. E anche in questo caso cerco di spiegarlo qui nel modo più sintetico possibile (secondo esercizio).

Il punto essenziale della questione è che all'interno della meccanica quantistica la probabilità non è epistemica (relativa alla teoria) ma ontica (propria dell'esistente), cioè non è una probabilità introdotta artificialmente dalla teoria, bensì è intrinseca nei fenomeni naturali. Fino all'introduzione della meccanica quantistica la probabilità introdotta nella descrizione dei fenomeni era sempre di tipo epistemico, cioè veniva introdotta nella teoria perché non era possibile fare di meglio, era uno strumento conoscitivo che sostituiva la descrizione completa dei fenomeni che, seppur garantita in linea di principio, non poteva essere raggiunta per problemi sostanzialmente pratici.

L'esempio semplice è quello del lancio dei dadi, la previsione sui numeri che usciranno può essere trattata solo in senso probabilistico anche se il sistema di cui stiamo parlando è perfettamente deterministico e, note con esattezza le condizioni iniziali, saremmo in linea di principio in grado di calcolare l'evoluzione del sistema con altrettanta esattezza e quindi saremmo in grado di sapere con certezza il risultato del lancio. Non possiamo farlo perché non ci saranno mai note tutte le variabili del problema necessarie a calcolare la sua evoluzione precisa, che comunque esiste ed è reale.

Nel caso della meccanica quantistica è proprio questa realtà che viene negata, il sistema in linea di principio non ha una traiettoria, la conoscenza esatta di tutte le sue variabili dinamiche in un dato istante non è detto che abbia senso perché non è detto che il sistema effettivamente le abbia tutte perfettamente determinate e dunque conoscibili e misurabili tutte allo stesso tempo. Quindi in un sistema quantistico non è la mancanza di conoscenza del sistema da parte nostra a costringerci all'introduzione di una trattazione probabilistica bensì la natura stessa del sistema.

Adesso si capisce perché Einstein, che pure ha dato importanti contributi alla costruzione della meccanica quantistica, abbia reagito male a questa interpretazione e lo abbia espresso in quel modo un po' letterario ma così efficace nella sua risposta a Max Born. L'intima convinzione del padre della Relatività era che la meccanica quantistica, così come era stata formulata negli anni venti, non fosse ancora una teoria "completa". Se fosse ancora vivo avrebbe il disappunto di constatare che tuttora è così.

NOTA: sottolineo la differenza con il caos deterministico del post precedente, dove il fenomeno caotico appare come casuale e quindi probabilistico ma di fatto in linea di principio non lo è, cioè il suo carattere probabilistico non è un dato di realtà. Per descrivere al meglio tali sistemi sarà magari necessario introdurre la teoria delle probabilità ma sempre in senso epistemico.


giovedì 15 agosto 2024

Metafore che hanno perso i concetti, e lo sforzo per recuperarli

Spesso nel cercare di parlare di scienza in modo immediatamente comprensibile si fa uso di metafore, di figure retoriche o di citazioni importanti. L'intento è quello di richiamare idee e concetti in modo sintetico, senza appesantire troppo. In generale non è una cosa negativa a parte il fatto che si può incappare in una comunicazione "per slogan" che ha il brutto difetto di portare a dimenticare i concetti che dovrebbero illustrare, a non coglierne i significati importanti o addirittura a non focalizzarli mai correttamente. Un esempio banale è quello che racconta gli esseri viventi come impegnati quotidianamente nella "lotta per la sopravvivenza". Con questa espressione dovremmo poter percepire l'idea di fondo della teoria dell'evoluzione ma questo slogan non ci arriva neppure vicino, non le rende merito, non comunica le idee di fondo della teoria, ne falsa la percezione e finisce per essere un'immagine retorica fuorviante.

Quello che vorrei analizzare meglio in questo post è il cosiddetto Effetto farfalla. Si tratta di una cosa del tipo "il battito delle ali di una farfalla in sud-america può scatenare un uragano in nord-america". E' la citazione che viene spesso fatta per rappresentare il concetto di caos, un aspetto della natura diventato noto al grande pubblico con il romanzo Jurassic Park (1990) e l'omonimo film (1993), e di più e meglio con il saggio di un certo successo intitolato appunto Caos. La nascita di una nuova scienza di James Gleick (1989). Quest'ultimo libro mi pare che inizi proprio citando l'effetto farfalla. Certamente l'immagine è molto suggestiva ma dietro ci si può immaginare quasi qualsiasi cosa, difficilmente consente di focalizzare un concetto, che pure è molto preciso. Se pretendo di capire qualcosa leggendo solo questa metafora non vado certo molto lontano, sebbene nei casi più drammatici potrei anche pensare di aver capito quello che serve.

E' possibile dare questo concetto in maniera abbastanza precisa senza entrare in particolari specialistici, difficili da seguire e considerabili anche legittimamente noiosi, ma andando però anche oltre una metafora forse altrettanto incomprensibile come quella della farfalla? Ovviamente si, e chiunque sia armato di una sana curiosità e di un certo impegno lo può fare tranquillamente da solo. Io cerco di spiegarlo qui nel modo più sintetico possibile (per me è un esercizio).

Supponiamo di considerare il moto di un proiettile. Le formule della dinamica classica ci permetterebbero di calcolare la sua traiettoria in modo preciso e univoco, una volta conosciute le sue condizioni di partenza. C'è però un aspetto interessante che può essere facilmente intuito e accettato senza fare calcoli. Se io cambio di poco l'angolo della gittata o la velocità di partenza la traiettoria finale del proiettile cambierà anch'essa di poco. Quindi se faccio un piccolo errore nel valutare le condizioni di partenza questo errore me lo porterò appresso nel calcolo della traiettoria ma la sua influenza sarà contenuta, il proiettile cascherà comunque abbastanza vicino al punto calcolato. Questo fatto, apparentemente innocuo, è cruciale per la nostra capacità di prevedere i fenomeni prima che avvengano, perché nel misurare o predisporre le condizioni iniziali di un sistema commetterò sempre un certo errore, è inevitabile. Posso però confidare nel fatto che piccoli errori porteranno piccole conseguenze nell'evoluzione futura del sistema.

Ma è sempre così? Consideriamo un altro sistema dinamico intuitivo e piuttosto familiare: il biliardo. Come nel caso del proiettile, anche in questo si potrebbero usare le formule della dinamica classica per calcolare con esattezza la traiettoria di una palla colpita dall'asta del giocatore. Ma la differenza importante in questo caso è che se faccio un piccolo errore nel colpire la palla e quindi nel non dare ad essa il giusto angolo di partenza o la giusta velocità, le successive riflessioni sui bordi del tavolo e gli urti con le altre palle non faranno che aumentare la discrepanza tra dove mi aspettavo di mandare la pallina e dove andrà veramente. Quindi se aspetto un tempo sufficiente, nonostante abbia fatto un piccolo errore iniziale nell'imprimere alla palla il giusto angolo di partenza o la giusta velocità, la sua posizione finale dopo un certo numero di riflessioni sui bordi e di urti con le altre palle potrebbe non aver più niente a che fare con quella prevista. Questo fatto compromette gravemente la mia capacità previsionale sul sistema.

E la farfalla della metafora iniziale? Lei non è altro che lo spostamento d'aria che io non ho potuto tenere in considerazione nei miei calcoli e che quindi determina un piccolo errore nella valutazione delle condizioni iniziali di un sistema dinamico, in questo caso l'atmosfera terrestre, che dal punto di vista qualitativo si comporta in maniera simile al biliardo. L'errore nel non aver considerato il battere delle ali della farfalla si amplificherà su tempi lunghi e determinerà un'evoluzione completamente diversa da quella calcolata e dunque del tutto imprevedibile, tanto da poter determinare un fenomeno anche molto importante, come un uragano, del tutto assente nei miei calcoli, cioè nelle mie previsioni.

Tutto qui. Ma per dare un respiro più ampio all'argomento (che lo merita) aggiungo queste ultime considerazioni riassuntive.

I sistemi che mostrano comportamenti del genere (biliardo, atmosfera terrestre) si dicono caotici e il fenomeno in generale si chiama Caos. Si tratta di un comportamento estremamente diffuso in molti sistemi dinamici, tanto da essere classificato come un "fatto di natura" la cui importanza ha aperto letteralmente filoni di ricerca scientifica, spesso di tipo interdisciplinare. La cosa altrettanto importante è che i sistemi che esibiscono questo comportamento si dicono anche deterministici, perché data una ben precisa condizione di partenza, hanno un'evoluzione dinamica che può essere perfettamente calcolata, cioè i loro stati futuri sono perfettamente e univocamente determinati. Per questo il comportamento descritto viene più esattamente chiamato caos deterministico (da notare l'apparente contraddizione dei termini) e la cosa notevole è che regole o leggi perfettamente deterministiche possano produrre un moto completamente caotico e assolutamente imprevedibile. L'imprevedibilità è sinonimo di casualità, ma in questo caso a mostrare un comportamento "casuale" è un sistema perfettamente deterministico. 

La caratteristica fondamentale di questi sistemi è la dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali, ed è questo a "simulare" un evento casuale. Per dirla come la notò la prima volta Henri Poincaré "Una causa piccolissima che sfugge alla nostra attenzione determina un effetto considerevole che non possiamo mancare di vedere, e allora diciamo che l’effetto è dovuto al caso. […] Può accadere che piccole differenze nelle condizioni iniziali ne producano di grandissime nei fenomeni finali. Un piccolo errore nelle prime produce un errore enorme nei secondi. La previsione diventa impossibile e si ha un fenomeno fortuito".

La spiacevole conseguenza di tutto ciò è l'intrinseca imprevedibilità dell'evoluzione su lunghi tempi di molti sistemi dinamici. Il determinismo, quindi, non implica la predicibilità e questo in un certo senso significa che il rigore delle leggi fisiche non è in contraddizione con la contingenza dei fatti della vita quotidiana.

 

domenica 11 agosto 2024

La musica attraverso gli insiemi

La melodia e l'armonia della tradizione musicale occidentale sono ricavate da insiemi ben precisi e discreti di suoni (intesi come altezze) nello spazio continuo delle frequenze che costituiscono lo spettro dell'udibile umano.

Il temperamento equabile stabilisce che la musica si scrive lavorando su un ben preciso insieme di altezze di suoni, tra l'altro tutte calcolate secondo una singola formula molto semplice. La caratteristica principale di questa formula è che seleziona una serie di altezze secondo una legge logaritmica, dove ogni dodici note si raddoppia la frequenza (o si dimezza, a seconda se stiamo salendo o scendendo con le altezze), e questo partendo da una nota qualsiasi dell'insieme. Questi dodici suoni costituiscono la cosiddetta scala cromatica che si ripete uguale a sé stessa su tutta l'estensione. Non ha moltissima importanza l'esatto valore delle frequenze scelte, si tratta soprattutto di un sistema di altezze relative, sebbene la scelta della frequenza che costituisce il seme con cui si calcolano tutte le altre sia un fatto importante per l'accordatura di strumenti che devono suonare assieme (il famoso LA a 440 Hz). Le note che fanno parte di questo insieme sono le uniche ammesse nella scrittura di un brano, e nella logica di questo insieme hanno tutte la stessa importanza. Il pianoforte, strumento della tradizione che possiede l'estensione maggiore, ha tutte le note possibili, in totale 88. La sua suddivisione in tasti neri e tasti bianchi ha unicamente uno scopo pratico (facilita l'esecuzione).

Il sistema tonale partiziona l'insieme di partenza del temperamento equabile in 24 diversi sottoinsiemi, tra loro più o meno intersecanti, in alcuni casi quasi completamente sovrapponibili e in altri del tutto disgiunti. Sono le 12 scale maggiori e le 12 scale minori, ciascuna con sette suoni scelti sui dodici della scala cromatica. Lo scopo principale di questo partizionamento risiede nella possibilità di creare una gerarchia tra le note, di introdurre delle priorità, una qualche logica di scelta, che tecnicamente viene detta tonalità. La gerarchia che si crea è di due tipi: interna alle singole scale, e tra di esse. Nel primo caso all'interno della singola scala ci sono note più importanti di altre ai fini dell'articolazione sia melodica che armonica, ad esempio la tonica (primo grado della scala) e la dominante (quinto grado). Queste note determinano dei "campi di attrazione tonale" verso cui si sposta sia la melodia che l'armonia. Nel secondo caso una singola scala si relaziona più facilmente con le "scale vicine" che non sono altro che sottoinsiemi con cui la scala di partenza ha un'ampia intersezione.

Un brano della tradizione occidentale parte da una tonalità (detta tonalità d'impianto), rappresentata da una specifica scala tra le 24 disponibili, e si muove sostanzialmente all'interno di questa. I movimenti melodici e armonici risentono di una serie di attrazioni tonali verso le note principali della scala. Il brano di tanto in tanto "modula" verso tonalità vicine (dove risente di altre attrazioni tonali) per tornare a chiudersi sulla tonalità principale.

Ovviamente quello che ho detto è semplicemente uno schema logico-compositivo che raccontato così risulta cristallizzato in modo anomalo. Tra l'altro risulta rigorosamente valido solo sugli strumenti a tastiera, dove l'insieme di suoni scelto è necessariamente discreto; molti strumenti a corda (e non solo) hanno accesso allo spettro continuo dei suoni, anche se pure loro sottostanno alle regole del temperamento equabile e della tonalità, poiché si tratta delle regole di un linguaggio. In questo discorso ho evidentemente trascurato tutta la parte di evoluzione storica che attraverso interessanti vicissitudini ha portato in un certo periodo a definire un costrutto del genere, da cui poi altre importanti evoluzioni successive si sono allontanate di più o di meno, in modo più graduale o più drammatico.

Il mio è solo un tentativo di raccontare in modo semplice e forse originale una logica compositiva e un linguaggio musicale che in fin dei conti a tutt'oggi rimane un fondamento comune per tutta la musica occidentale, con tutte gli arricchimenti che la storia le ha dato.


domenica 4 agosto 2024

Pregiudizi e leggi della pseudoscienza

Alle Olimpiadi di Parigi è salita sul ring della boxe femminile un'atleta che è stata in più occasioni criticata per il suo aspetto "poco femminile". Si è arrivati a dire che è un trans, un uomo, e che quindi non può essere messa a gareggiare con la categoria femminile. L'unica caratteristica fisica reale e certamente non troppo comune di questa donna sembra essere solo un tasso di testosterone più alto della media femminile, probabilmente causato da un'anomalia genetica, prodotto dall'organismo dell'atleta in modo del tutto naturale. Insomma, è una donna fatta così. Le regole del Comitato Olimpico l'hanno regolarmente ammessa in quanto rispetta i parametri fisiologici stabiliti dal regolamento.

Non mi va di commentare tutto quello che si è detto in merito a questa vicenda, né gli aspetti sportivi (se ce ne fossero) né quelli politici (e ce ne sono). Voglio solo cogliere l'occasione per sottolineare due cose che mi colpiscono spesso e che credo siano collegate al fatto che ormai molte notizie (ad esempio questa) mi arrivano soprattutto attraverso i social.

Anzitutto mi sorprende sempre l'irresponsabile facilità con cui le persone formulano giudizi. Evidentemente questo fatto del bias di conferma è veramente micidiale, deve essere quello, non ho altre spiegazioni. Inoltre probabilmente sospendere il giudizio per pensare bene a quello che scrivi e magari scegliere di non scrivere niente è una cosa che non ti fa "essere" dentro un social, ti fa "perdere terreno". E infine è evidente che degli altri non ce ne frega proprio niente, viviamo un individualismo feroce, che lascia spazio solo al nostro parere. Vedo la foto di una persona che partecipa ad una gara femminile ma ha un aspetto androgino e non ho dubbi, è chiaramente un maschio, al limite un trans. "Ma chi volete prendere in giro!?". E forte di questa mia ovvia osservazione (che nessuno ha il "coraggio" di fare) esprimo tutta la mia condanna verso chi le permette di gareggiare nella categoria femminile, un'onta al mondo femminile, quello "vero!".

E poi la solita storia, quella di usare i risultati della scienza per alimentare una sottocultura scientifica. Desolante. Molte persone rimproverano la scienza di un eccesso di freddezza, di parlare solo per formule, e poi usano nella maniera più rozza le conoscenze scientifiche scolastiche come fossero formuline del discorso: "Coppia di cromosomi XY = maschio", "Coppia di cromosomi XX = femmina", "Testosterone alto = muscoli potenti come quelli di un uomo", e via di questo passo. Se la scienza procedesse così, oltre a non portare a conoscenze nuove sarebbe totalmente priva di fascino, una rottura di balle. Sarà per questo che sono in pochi a volersene veramente interessare.


martedì 30 luglio 2024

Galilei e l'eresia dell'atomismo

Non sapevo che Galilei avesse sostenuto l'idea atomistica. Effettivamente non è certo l'aspetto più importante del suo lavoro. Immagino che un'idea così forte sulla struttura della materia andasse ben aldilà delle possibilità di indagine scientifica dell'epoca. Per uno che stava appunto definendo il metodo scientifico come costituito da "sensate esperienze e necessarie dimostrazioni" l'atomismo rimaneva probabilmente un'ipotesi non indagabile. Per questo motivo Galilei deve la sua fama soprattutto a due ordini di problemi: gli argomenti portati a favore della teoria Copernicana e lo studio del moto.

Ho letto però qualche giorno fa non solo che Galilei ha considerato l'ipotesi atomistica, e che lo ha fatto anche in un suo scritto, il Saggiatore (1623), ma che questo, almeno secondo lo storico Pietro Redondi ("Galileo Eretico", 1983), è stata addirittura la causa principale, anche se non manifesta, della sua condanna di eresia, che normalmente viene invece individuata nella sua difesa della teoria eliocentrica.

La cosa interessante è che non si capisce immediatamente a che tipo di eresia ci si riferisca. E indagando un po' arrivo a questa sintesi per punti.

1. L'atomismo è nato con Leucippo e Democrito, intorno al VII-VI secolo a.c.

2. Questa visione materialistica trova in Platone e Aristotele due acerrimi avversari (V-IV secolo a.c.) e per questo nei secoli successivi si eclissa.

3. La filosofia scolastica medioevale, nel suo tentativo di integrare la rivelazione cristiana con i sistemi filosofici del mondo greco-ellenistico, eredita le argomentazioni di Aristotele sulla natura dei corpi come formati da "sostanza" e "accidenti" (apparenze).

4. Su questa natura dei corpi la Chiesa Cattolica aveva sancito il dogma dell'eucarestia, che veniva "spiegata" con il concetto di transustanziazione. Nel dogma dell'eucarestia si ha una trasformazione della sostanza, che cambia radicalmente (diventa "realmente" il corpo e il sangue di Cristo), ma che si accompagna alla conservazione delle apparenze sensibili del pane e del vino (gli accidenti).

5. L'atomismo, eclissato ma mai completamente dimenticato, vede i corpi naturali come costituiti da atomi nello spazio vuoto, e intende la sostanza materiale come connotata unicamente da attributi quantitativi (misurabili) come la dimensione e il numero, gli "accidenti" sono solo il riflesso delle sensazioni soggettive provocate da un particolare modo di aggregazione degli atomi ("solo in apparenza una cosa è dolce o amara, solo in apparenza è calda o fredda, solo in apparenza ha un colore; in realtà esistono solo gli atomi e lo spazio vuoto", Democrito).

6. Il miracolo della transustanziazione è "razionalmente" comprensibile (descrivibile) soltanto qualora si consideri la materia scindibile dalla sua estensione, e dunque dalla sua quantità, e gli accidenti si intendano separabili dalla sostanza.

Adesso l'eresia è più chiara, e a dire il vero mi pare che se ne colga anche tutta la portata. E' da considerare il fatto che siamo all'indomani della controriforma, periodo in cui la Chiesa Cattolica ribadisce con forza la sua dottrina, contro la Riforma Protestante (Concilio di Trento, 1545). Non so se abbia ragione lo storico Redondi, ma certamente si tratta di uno di quegli episodi della storia che fanno capire quanto una filosofia abbia fatto da guida e da sostegno a un sistema di conoscenze per tutto un periodo, in questo caso il medioevo, e quanto sia stato fecondo uscirne fuori. Lo storico della scienza Ludovico Geymonat afferma che «l'atomismo di Democrito […] ebbe una funzione determinante, nel XVI e XVII secolo, per la formazione della scienza moderna».

NOTA: L'ortodossia del magistero della Chiesa Cattolica ha determinato purtroppo in Italia, anche successivamente a Galileo, un ambiente ostile allo sviluppo della scienza che come si sa ha invece trovato terreno molto più fertile in terra protestante.


domenica 21 luglio 2024

Orsi del trentino

Torno a distanza di circa un anno a parlare di orsi che aggrediscono turisti nei monti del Trentino, ne avevo parlato qui. Anche in questi giorni c'è stata un'aggressione, meno grave rispetto a quella del post precedente.

Ne scrivo di nuovo perché la questione potrebbe essere presentata come un problema culturale riferito agli abitanti del luogo e soprattutto ai turisti, dovuto al fatto che non sappiamo coabitare con specie selvatiche che hanno tutto il diritto di essere lì e dobbiamo migliorare il nostro rapporto con la natura che ci circonda, evitando atteggiamenti "consumistici". In parte è vero ma mi pare una semplificazione che non rende conto della realtà. Per questo specifico caso il problema a monte di tutto secondo me è di tipo politico.

Tutto ha inizio con l'unico evento naturale di questa storia, l'estinzione dell'orso bruno nei territori montani del Trentino ad opera dell'uomo. Una specie invade un habitat e un'altra ne fa le spese con l'estinzione. Un fenomeno estremamente comune in natura. In quest'ottica è difficile parlare di "diritto di una specie di abitare una certa zona", a meno che non si voglia come al solito riferire sempre tutto all'uomo (il diritto è un concetto delle società umane, anche quando lo vogliamo applicare ad altre specie).

Dopo alcuni decenni dalla sua scomparsa in Trentino, alla fine degli anni novanta, qualche amministrazione locale ha avanzato la proposta di ripopolare il territorio di orsi. Questa è un'azione dell'uomo del tutto artificiale e, come si sa, può comportare degli squilibri nell'ambiente. So che all'epoca una buona parte dei biologi ed etologi interpellati sull'operazione avevano espresso parere contrario proprio per i potenziali fattori di rischio a cui si associava, il principale dei quali era la difficile convivenza che si poteva determinare tra l'uomo e l'orso, troppo vicini l'uno all'altro.

L'operazione fu comunque portata a termine, non solo sottovalutando i rischi ma, per quello che ho capito, gestendoli anche molto male. Ad esempio a tutt'oggi sembra che i rifiuti dei numerosi paesi della zona interessata non abbiano una raccolta in contenitori appositamente progettati. In particolare pare che non sia stata intrapresa un'azione educativa efficace sulla popolazione, che ovviamente all'epoca non poteva avere e probabilmente ancora non ha gli strumenti per gestire correttamente il rapporto con questi animali. La situazione si fa ancora più  delicata quando si mette questo problema in relazione con il turismo, la cui compromissione potrebbe essere un fatto grave per molti trentini. Faccio notare che il problema è quello di mantenere un ecosistema globale, dove non conta solo la protezione di una specie, come l'orso in questo caso, ma di tutte, anche dell'uomo.

Il fatto è che l'educazione all'ambiente, soprattutto ad un ambiente artificialmente modificato da un ripopolamento così importante, non è per niente scontata. E non si può pretendere che le persone riescano a modificare le proprie abitudini e il proprio modo di vivere senza essere adeguatamente supportate. Quindi come dicevo all'inizio il problema è strettamente politico. E' la politica che deve vedere le soluzioni, attuarle e supportarle adeguatamente con tutto quello che serve per poter gestire tutti i rischi connessi con l'azione intrapresa. E' la vera cosa che è mancata. Almeno se ho letto bene quel poco che mi è passato sotto gli occhi.

 

sabato 13 luglio 2024

Malpensa

Ogni tanto mi tocca ripensare a Berlusconi e a quello che è stato. L'occasione questa volta è stata quella in cui il ministero dei trasporti guidato da Matteo Salvini, un uomo politico cresciuto all'ombra di Berlusconi, ha deciso di dedicargli l'aeroporto di Milano Malpensa. Un episodio tragicomico, come molti altri che hanno riguardato Berlusconi.

Mi piacerebbe condensare in poche parole il mio parere sulla vicenda complessiva di Berlusconi e della politica italiana del suo periodo. Per poi non pensarci più.

Il periodo di Berlusconi è stato caratterizzato da un unico vero problema, quello del potere. Berlusconi da un certo punto in poi ha sempre più o meno guadagnato potere e nessun meccanismo, nessuna forza politica è riuscita ad arginarlo adeguatamente. Prima ha accresciuto il suo potere economico, poi ha guadagnato anche il potere politico, e ha fatto convergere tutto sulla sua persona.

Purtroppo ha incontrato sulla sua strada un ambiente politico italiano estremamente debole, che è riuscito a dominare con una certa facilità. La destra lo ha celebrato sin dalla sua discesa in campo, tanto che adesso almeno una parte di essa, quella che gli è stata più vicina, fa dei tentativi tragicomici per santificarlo (vedi Malpensa). La sinistra ha vergognosamente oscillato tra il conflitto di interessi sbandierato quando era all'opposizione e seppellito quando era al governo, un antiberlusconismo di comodo che ha fatto solo che bene al diretto interessato (e male alla sinistra politica), concentrando tutto il dibattito politico e pseudopolitico sulla sua persona, nel bene e nel male.

Rimane il dubbio se sia stato Berlusconi a degradare la politica italiana o se la sua ascesa sia stata possibile grazie ad un ambiente politico degradato, ma è come domandarsi se sia nato prima l'uovo o la gallina.

Ovviamente le conseguenze di questo periodo infelice per tutta la politica italiana si misurano ancora adesso. E chissà per quanto.

Io credo che l'esercizio del potere non adeguatamente controllato sia sempre il problema più grave di una società che vorrebbe essere democratica. Tutto qui.


lunedì 8 luglio 2024

Dio come ipotesi

Pierre Simon Laplace, scienziato francese vissuto nel periodo napoleonico, scrive nel 1796 un trattato intitolato "Exposition du système du monde", dove viene ipotizzata l’origine del sistema solare a partire da una nebulosa primitiva. A quest'opera è legato un episodio piuttosto famoso. Laplace donò una copia del suo lavoro a Napoleone, che nel ricevere lo scienziato gli pose una domanda provocatoria: "Newton ha parlato di Dio nel suo Libro. Ho già sfogliato il vostro e non ho trovato questo nome una sola volta". La risposta fu "Cittadino Primo Console, non ho avuto bisogno di questa ipotesi".

Credo che sia la prima volta, almeno una prima volta famosa, in cui uno scienziato tenta di escludere esplicitamente Dio da qualunque spiegazione dei meccanismi di funzionamento dei fenomeni naturali, anche se costretto da una domanda imbarazzante. Prima di lui credo sia possibile citare solo l'espressione "Hypoteses non fingo" (non invento ipotesi) con cui Newton vuole sottolineare, ma senza alludere a Dio, la necessità di non andare oltre la descrizione di un fenomeno (in quel caso la forza di gravità) ipotizzando possibili cause non verificabili in modo sperimentale.

In tempi molto più recenti Stephen Hawking riprende l'argomento ma in modo secondo me meno interessante: "L’universo non ha bisogno dell’ipotesi Dio". Non parla della conoscenza scientifica che si può costruire sul mondo ma parla proprio del mondo in un modo che appare un po' arbitrario. Purtroppo ho letto altre frasi di Hawking ancora meno giustificate e meno pertinenti al discorso scientifico, tipo "L'universo non ha bisogno di un creatore", "l'universo può essersi creato da sé, può essersi creato dal niente" e dunque "non è stato Dio a crearlo". Sono affermazioni esplicite sull'esistenza di Dio che non rientrano in una conoscenza scientifica e che ovviamente possono essere contestate da un credente, conducendo probabilmente a polemiche inutili.

Trovo invece molto più interessanti due frasi pronunciate da Giorgio Parisi. La prima definisce in modo molto chiaro la distinzione tra scienza e credenza nel trascendente: "La scienza cerca di spiegare il mondo tramite le cose del mondo, e la religione cerca di spiegare il mondo tramite qualcosa che lo trascende". La seconda frase mette in chiaro la distinzione tra una credenza e un'ipotesi: "Dio per me non è neanche un’ipotesi". In questo caso un'ipotesi è un pensiero plausibile sul mondo naturale il cui interesse passa per la possibilità di poterne dare una conferma o una confutazione sperimentale. Un'ottica da cui appare chiaro che Dio non può essere pensato neanche come un'ipotesi.


domenica 30 giugno 2024

L'Uomo, dopo cena

La tecnologia è la "cifra" dell'Uomo, il suo primo elemento di distinzione dalle altre specie viventi (che pure sviluppano tecnologie, ma molto più povere). È il suo principale strumento di sopravvivenza, da sempre. Ancora oggi, ai nostri tempi, è la principale fonte di ricchezza delle società, ne definisce il tenore di vita, il livello di benessere.

Immagino però l'uomo delle caverne, il cacciatore-raccoglitore che finisce la sua giornata dopo la caccia e la raccolta, fatte inventandosi i metodi, le strategie e gli strumenti più disparati per poter mangiare. L'innovazione tecnologica del suo tempo lo assiste nel poter finalmente avere di che cenare.

Dopo cena, a pancia piena, si rivolge alle pareti della caverna e con polveri colorate sulle dita comincia a disegnare la sua giornata. Oppure prende quell'oggetto divertente che si è costruito a tempo perso (sempre dopo cena) e comincia a suonarlo, e i compagni attorno a lui cominciano a fare versi strani e a muoversi seguendo il suono che arriva dallo strumento. Oppure, riunito con i suoi compagni attorno al fuoco cercano di raccontarsi la giornata, e gli episodi che si raccontano man mano che vanno avanti diventano sempre più frutto dell'immaginazione. Oppure comincia a domandarsi lui e i suoi compagni che ci fanno lì, dove sono, e perché sono lì, perché in questo mondo, e di che mondo si tratta. E sta bene, adesso sta bene.

Arte, credenze, religioni, visioni del mondo e osservazioni sul mondo e su sé stesso. Dopo cena l'Uomo vive il meglio di sé. Poi va a dormire.


martedì 25 giugno 2024

L'ultima gaffe di un ministro della cultura

Secondo l'attuale ministro della cultura Cristoforo Colombo “non ipotizzava di scoprire un altro continente ma voleva raggiungere le Indie sulla base delle teorie di Galileo Galilei”. Ovviamente, grazie a questa sua frase infelice, il ministro in questione in questi giorni si trova su decine di meme che scorrazzano sui social. Altrettanto ovviamente ne hanno parlato tantissimi giornalisti sui vari mezzi di comunicazione, e tutti hanno sottolineato l'errore. Già, ma quale errore? Quello cronologico. La scoperta dell'America risale al 1492, una delle poche date che tutti ricordano, mentre Galileo Galilei è nato nel 1564 (scrive Wikipedia), più di settant'anni dopo, tra l'altro quando Cristoforo Colombo era già morto da tempo.

Quello che mi ha colpito e che mi induce a scrivere questo post è che l'errore cronologico, per quanto grossolano, forse non è poi così grave, e rimproverarlo in questo modo ad un ministro che fa una dichiarazione probabilmente del tutto estemporanea e non preparata potrebbe anche essere giudicato eccessivo e impietoso. D'altra parte stiamo parlando del ministro della cultura che in questa veste così importante ha già fatto diverse uscite pubbliche altrettanto infelici, un ministro che con tre gaffes inanellate in breve tempo si è costruito un'immagine pubblica abbastanza screditata.

Ma il vero errore del ministro è stato un altro, e la cosa grave è che nessun giornalista che mi sia capitato di leggere o ascoltare in questi due giorni lo ha colto. Solo questa sera, poco prima di scrivere questo post e mettendomici un po' di punta, mi sono imbattuto in un articolo del giornalista Leonardo Botta del Fatto Quotidiano che coglie questo aspetto, anche se poi secondo me non lo sottolinea come dovrebbe. E allora lo faccio io.

Il vero errore storico madornale non è certo quello cronologico, è piuttosto quello di aver associato le teorie di Galileo Galilei alla sfericità della terra. Ma che diceva Galileo? Di cosa ha parlato nella sua vita? Qualcuno tra i giornalisti detrattori del ministro ne ha un'idea? E' solo il nostro ministro della cultura ad avere delle voragini nella conoscenza della storia moderna occidentale? Si sottolinea un errore di date, tutto sommato puramente nozionistico (ancorché molto grave), e si trascura la totale ignoranza dei contenuti tanto da confonderli con conoscenze di duemila anni prima.

Un'ignoranza trascurata forse perché in gran parte è condivisa.

NOTA: ho sentito un giornalista che per voler difendere il ministro diceva che forse voleva intendere che Colombo con la sua impresa "ha fatto quello che poi teorizzò Galileo Galilei". Una conferma di ciò che penso di questo episodio.


giovedì 13 giugno 2024

Credenza e Scienza

Una cosa è dire che nella Scienza ci sono delle credenze e che gli scienziati procedono per credenze. Cosa ben diversa è dire che la scienza è una credenza, o un'insieme di credenze. Quest'ultima cosa metterebbe automaticamente la scienza sullo stesso piano di qualunque altra credenza.

La Scienza è invece un processo di costruzione di conoscenze collettive condivise sulla natura che scaturisce dalla volontà di trovare i modi più disparati per verificare la coincidenza delle credenze con la realtà sensibile e dalla disponibilità a cancellare tutte quelle credenze che non funzionano a questo scopo. In quest'ottica tali credenze, trattate in questo modo, si chiamano ipotesi.

Alla base di questa costruzione della conoscenza c'è la credenza che esista una realtà oggettiva esterna e indipendente dal soggetto che la osserva. Ma anche questa potrebbe essere trattata come ipotesi. Il dubbio rimane il motore più efficace della conoscenza umana del mondo.

P.S.: la scelta di cosa vogliamo conoscere del mondo potrebbe dipendere dalle nostre credenze, e questo probabilmente ha influenzato e influenza la storia della Scienza.

domenica 9 giugno 2024

Individualismo e progresso

Ogni tanto mi pare di ravvisare un conflitto all'interno di certe discipline (ovviamente un conflitto tutto mio). Provo a descriverlo.

Economia: noto spesso con un certo fastidio che chi parla di economia quasi sempre finisce per parlare di pensioni, riscatti della pensione, fisco, tasse giuste o ingiuste, evasione, elusione, investimenti convenienti o sconvenienti, meccanismi finanziari più o meno complicati in cui districarsi, mutui a tasso fisso o a tasso variabile, cosa conviene fare e cosa non conviene fare. Tutto ciò allo scopo di curare i propri guadagni, accrescerli quanto più possibile. Argomenti certamente legittimi e tutto sommato pertinenti. Ma raccontata in questo modo è un'economia pensata solo per risolvere i propri problemi individuali, per perseguire la propria ricchezza personale. L'economia interessante secondo me è anche quella che si occupa della ricchezza della collettività, che riflette su come la società produce e consuma ricchezza. In questo senso è anche una disciplina determinante per capire la storia dell'umanità.

Tecnologia: anche in questo caso chi ti parla di tecnologia ti parla di quale smartphone acquistare e perché, quali sono i modelli migliori, quali le funzionalità, come si fa questo, come si fa quello, quali app scaricare, quali televisori comprare, quali tecnologie video o audio funzionano meglio, ecc. In pratica tutte cose che attengono ad una tecnologia pensata per le comodità dell'individuo. Anche questo è tutto legittimo. Ma è anche interessante secondo me parlare di tecnologia che cambia la società nel suo complesso, intrecciarla con le trasformazioni sociali profonde che induce. Magari gli oggetti di cui parlare finiscono spesso per essere gli stessi, ma il punto è in che modo se ne parla.

Scienza: in questo caso addirittura parlare di una scienza utile per l'individuo praticamente non ha senso. La conoscenza scientifica è per definizione un fatto collettivo, ed è difficile in questo caso distinguere l'utile collettivo dall'utile individuale, estrapolare dalla scienza un elemento di confort personale. I farmaci possono giocare forse questo ruolo, ma prima di tutto in questo caso si ricade nella tecnologia e poi si è visto con i vaccini cosa è successo, dal momento che in quel caso si trattava di una profilassi che aveva senso solo applicata collettivamente. Sarà forse per questo che si parla del pericolo di scivolare in un grave analfabetismo scientifico. La maggior parte di noi non trova evidentemente conforto personale nel ragionare sull'immagine del mondo naturale (tra l'altro sempre impegnativa e incerta per definizione) costruita dalla scienza.

E qui arrivo al punto che mi interessa. Economia per la società, tecnologia per la società, scienza così intesa, sono il principale motore del progresso. In una società fortemente individualista, che vede solo quanto di personalmente utile offrono certe discipline, che non le concepisce per uno scopo collettivo o addirittura (come nel caso della scienza) non le concepisce proprio, come è possibile parlare di progresso? Il progresso attiene alla collettività, non direttamente all'individuo, che se ne avvantaggia solo di riflesso.

Ad esempio in una situazione per certi aspetti difficile come la nostra è ragionevole e legittimo pensare di perseguire le proprie soddisfazioni personali emigrando all'estero, contando sulle proprie capacità, ma questo ci dispensa dalla responsabilità, come persone capaci, di costruire o ricostruire o semplicemente migliorare la società in cui siamo nati e che a molti di noi ha dato i mezzi per poter studiare e condurre una vita di cui forse non è giusto lamentarsi troppo. Soprattutto credo che il venir meno delle potenzialità di progresso di una società dipendano in maniera essenziale da questo modo di ragionare. Per quanto la libertà dell'individuo all'interno della società in cui vive è sacrosanta, un eccesso di individualismo, determinato da una sfiducia cronica nella società e nelle sue istituzioni, costituisce una minaccia a qualunque progresso.

Oggi è giorno di elezioni, vedo parecchie persone che non prendono neanche in considerazione l'idea di andare a votare, non fanno più neanche un minimo sforzo per provarci, non ne sentono l'utilità né il bisogno, sono del tutto disorientate di fronte ad una qualsiasi scelta politica. Parlano di protesta nel non andare a votare ma è una scusa per non pensare alla società di cui in qualche modo dovrebbero occuparsi, è già tanto se riescono a pensare ai cazzi propri. E purtroppo tanti sono giovani. E il progresso?


giovedì 30 maggio 2024

Escher, Bach, simmetria e metamorfosi

Tempo fa sono andato a visitare l'ennesima mostra su Escher con un po' di scetticismo. Questo autore è ormai molto di moda e le mostre su di lui si moltiplicano. Ha fatto la fine di altri grandi autori, sempre sulla bocca di tutti quelli che amano fare citazioni. E' in buona compagnia con Van Gogh e Caravaggio. In questo caso però valeva la pena di andarci, la mostra era certamente la più completa e interessante tra quelle che mi era capitato di visitare negli anni passati, e ho ricavato diverse osservazioni. Una la voglio riportare in questo post.

Mi fermo per un po' in una sala dove vengono proiettate in sequenza varie tassellazioni del piano. Sono animazioni in cui il piano viene progressivamente ricoperto da una tassellazione, mostrando alla fine il gruppo di simmetria a cui appartiene. Il filmato presenta tutti i 17 gruppi di simmetria possibili per una tassellazione completa che rispetti sempre la simmetria traslazionale, a cui si aggiungono via via le altre simmetrie possibili: rotazione, riflessione, glisso-riflessione. Mi viene da pensare che nonostante il loro fascino queste rappresentazioni mi risultano un po' monotone, non hanno l'attrazione delle opere di Escher, ne sono solo un materiale d'uso.

Cambio sala e mi trovo di fronte a una delle tre Metamorfosi. Qui ritrovo esempi di tassellature che avevo visto poco prima ma in questo caso si trasformano sotto lo sguardo, andando da sinistra a destra della "striscia" o viceversa. Il titolo sottolinea proprio questo cambiamento continuo, elementi simmetrici che si trasformano con grande fantasia in elementi non simmetrici, e viceversa. Penso che questo sia effettivamente un aspetto dell'opera che fa la differenza, che non stanca e non annoia, perché le forme generano altre forme, e la simmetria si scioglie e si ricompone, si rompe e si ricostruisce. Mi pare di scorgere questo stesso aspetto in diverse altre opere di Escher.

Qualche stanza più in là mi incuriosisce un monitor dove viene mandato in loop un filmato apparentemente poco attraente. Mi fermo a guardarlo con attenzione perché lo riconosco subito. Si tratta del canone cancrizzante dell'Offerta Musicale di J.S.Bach. Un brano brevissimo che viene citato dal famoso libro di Douglas Hofstadter Gödel, Escher, Bach: un'eterna ghirlanda brillante. Anni fa lo sapevo suonare al pianoforte. Il brano ha una simmetria per riflessione perfetta, si tratta di due linee melodiche che sono l'una lo specchio dell'altra, cioè si tratta della stessa linea suonata contemporaneamente da due voci, una da sinistra verso destra e l'altra da destra verso sinistra, la loro sovrapposizione si fonde in un unico brano. E' molto divertente seguire le note sul monitor mentre viene eseguita. Penso però che il pezzo sia piuttosto monotono, non certo tra i lavori di Bach che mi piacciono di più.

Anche nella musica di Bach la simmetria perfetta è solo un materiale d'uso. Penso alle caratteristiche di certi suoi grandi lavori. L'utilizzo delle simmetrie è spesso presente, le forme del canone e della fuga, ad esempio, sono basate su evidenti principi di simmetria. Ma a pensarci bene queste simmetrie non sono mai perfette, sono sempre "rotte" in molti punti delle composizioni, compiono una metamorfosi, si trasformano in altro, ed è proprio questo che le rende belle. La simmetria orienta nella visione o nell'ascolto, la sua rottura è creatrice di nuove idee.

Mi pare di intuire delle analogie compositive nel modo di lavorare di Escher e di Bach, e allo stesso tempo di cogliere un elemento essenziale di queste opere. L'uso della simmetria è un gioco attraente ma manca di contenuto informativo e quindi di incertezza, di sorpresa, di deviazione, di singolarità, di variazione, di imprevisto, tutti ingredienti essenziali nell'espressione artistica, soprattutto quella che praticavano Escher e Bach, quella cioè "priva di significato", "inutile esercizio di forma".

La simmetria è affascinante e colpisce l'attenzione, ma è "troppo ordinata" e dunque prevedibile, povera di informazione. La sua continua metamorfosi la arricchisce di disordine, di imprevedibilità, di contenuto informativo. E' questa dialettica che fa diventare certe opere così irresistibili.


mercoledì 1 maggio 2024

Una interessante introduzione ad un libro

Qualche settimana fa ho scritto un post che raccontava il rapporto che la mia generazione ha avuto con la musica. Scrivevo, tra le altre cose, che un elemento essenziale del periodo in cui siamo cresciuti è stata la raggiunta maturazione di una tecnologia di archiviazione e riproduzione della musica, il disco in vinile, e l'inizio di un nuovo settore produttivo e di un nuovo mercato attorno a questa tecnologia, il mercato discografico. Dicevo che questo, da un lato ha stimolato un nuovo modo di fare musica e di fruirla, dall'altro ha sfruttato inconsapevolmente la carenza di strutture musicali educative per il grande pubblico e la sua conseguente mancanza di senso critico per dettare legge nei gusti musicali popolari e piegarli ad interessi strettamente commerciali. Terminavo con una nota un po' pessimista riguardo al fatto che la mancanza di educazione significa mancanza di senso critico e automaticamente mancanza di libertà di fronte all'aggressività di un mercato sempre più orientato al consumo veloce.

In questi giorni mi è capitato di leggere l'introduzione ad un libro di qualche anno fa di Ernesto Assante e Gino Castaldo (l'estratto che si può scaricare liberamente dal sito di Amazon ormai per quasi tutti i libri disponibili in formato elettronico per l'acquisto) in cui, tra altre cose, ho trovato un interessante completamento al pensiero del mio post, sebbene inserito in un contesto del tutto diverso. I due autori, in un modo un po' nostalgico, raccontano il periodo (quello in cui entrambi sono vissuti) dei dischi in vinile, dei famosi LP (Long Playing) e lo confrontano con le nuove tecnologie, i nuovi supporti di archiviazione, riproduzione e diffusione della musica e correlano questo cambiamento ad un altrettanto significativo cambiamento nella fruizione della musica e anche nel modo in cui questa viene pensata. Riporto qui alcuni stralci significativi (per me) di questa introduzione.

Il primo paragrafo che riporto fa una curiosa considerazione sul termine "musica elettronica", una cosa che io più o meno negli stessi termini ho pensato spesso: "Il termine «musica elettronica», che fino alla fine degli anni Settanta identificava un settore della musica contemporanea con precisi ambiti linguistici ed estetici, a partire dagli anni Ottanta perde progressivamente questa identità per assumere un significato di pura connotazione tecnica, data la diffusione del mezzo informatico in tutti i generi musicali. Ovvero: non ci sono più registrazioni che non siano elettroniche, non c’è più musica che non sia digitale". Cioè, il termine musica elettronica, che era nato per definire soprattutto una grande rivoluzione artistica e una trasformazione radicale del linguaggio musicale si trasforma nel tempo in qualcosa di più povero, nel semplice uso di strumentazione elettronica come mezzo tecnico che facilita semplicemente la produzione e la diffusione di musica, senza un vero collegamento tra innovazione tecnologica e corrispondente innovazione artistica.

Metto insieme tre diversi stralci di questa introduzione che mi pare abbiano come sfondo lo stesso argomento, il cambiamento del rapporto con la musica indotto dalle nuove tecnologie e dai nuovi mercati di consumo: "L’avvento delle tecnologie digitali ha portato a una straordinaria esaltazione della logica del «qui e ora», si produce musica deliberatamente senza passato, senza futuro. Si consuma musica subito, si ascolta una canzone e la si scarica nel proprio lettore, acquistandola al volo con un cellulare anche se si è in strada. Instant gratification la chiamano, ed è il segno dei tempi. [...] La musica, che all’inizio del secolo si era «materializzata» diventando disco, sta cominciando a smaterializzarsi di nuovo, sta perdendo ogni fisicità, diventa trasparente, inafferrabile, fisicamente inesistente. Se fino a una quindicina di anni fa potevamo identificare la musica e il supporto, pensare che in qualche modo i dischi fossero non solo dei contenitori, ma l’oggetto stesso attraverso il quale la musica prendeva posto nella nostra esistenza occupando uno spazio fisico, oggi la musica trasformata in bit non occupa alcuno spazio fisico: semplicemente non c’è. [...] E alla musica, ovviamente, chiediamo molto meno che in passato. Mentre i dischi in vinile, grandi e deperibili, meritavano la nostra attenzione e la nostra cura, i Cd hanno avuto, con la loro spavalda lucentezza, la resistenza fisica al calore e agli urti, ai graffi e agli strapazzi, sempre meno bisogno di noi e del nostro amore. E noi, a poco a poco, abbiamo smesso di amarli, di desiderarli, di volerli possedere".

La cosa che mi colpisce e per il quale mi sto appuntando le osservazioni di questa introduzione è il legame così stretto che sussiste tra tecnologia e arte, tra economia e arte, in entrami i casi un legame sia tra chi la produce che tra chi ne fruisce. Tutto sommato un fatto abbastanza ovvio. Spesso non ci si pensa, forse perché non siamo stati troppo abituati a farlo, ma in questo caso e in queste poche osservazioni questi legami mi sembrano sorprendentemente evidenti.


giovedì 25 aprile 2024

La "Patria" della destra italiana.

La destra italiana secondo me esprime una curiosa contraddizione. Uno degli argomenti con cui spesso si caratterizza maggiormente è il concetto di Patria, o quello quasi equivalente di Nazione. Non ci sarebbe niente di strano per una forza politica conservatrice se non fosse per il fatto che non è del tutto chiaro su quali valori poggiano queste identità.

Per parlare di Patria o di Nazione servono dei valori forti condivisi da tutti i cittadini, degli elementi culturali unificanti. La destra dovrebbe fare degli sforzi più efficaci per individuarli e costruirci sopra i propri messaggi politici. Ma è proprio qui che secondo me risulta particolarmente debole.

Non si può mica costruire un pensiero conservatore e patriottico sul "Made in Italy" (espressione non italiana), sui tipici prodotti della gastronomia (vini e parmigiano) o sulle tante bellezze naturali e artistiche che abbiamo. A me pare un po' poco, attorno a questa retorica la Patria si sgonfia, inevitabilmente.

Ci sarebbe un valore fondante della nostra Patria. Forte, significativo, all'origine della nostra storia repubblicana e democratica. Sarebbe l'antifascismo, un valore sul quale è stata scritta la nostra Costituzione all'indomani della rovinosa caduta della dittatura fascista, che insieme a quella nazista ha portato l'Europa e il mondo nel baratro della seconda guerra mondiale. La Costituzione, la legge che regola tutta la nostra vita democratica, è stata scritta da un gruppo di intellettuali e politici provenienti da diverse aree politiche, anche molto distanti tra loro, ma che certamente avevano tutte in comune il valore dell'antifascismo. Questo mi sembrerebbe un ottimo punto in comune su cui alimentare una identità di Nazione.

Purtroppo proprio su questo punto si incastra ancora oggi gran parte della classe politica di destra italiana, esprimendo una contraddizione insanabile e imbarazzante per il Paese. Perché purtroppo buona parte della destra italiana è erede del vecchio Movimento Sociale, un partito a sua volta erede della Repubblica Sociale. Molti politici portano ancora la memoria di questo intreccio con il fascismo, e con loro forse anche una parte degli italiani, purtroppo. E questa contraddizione si ripropone a tutt'oggi, 25 Aprile 2024.

Ho saputo da poco che il governo lo scorso anno ha lanciato la candidatura UNESCO della cucina italiana alla Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità. Niente di male, ma immaginarsi noi italiani tutti uniti davanti ad una carbonara è un po' ridicolo.


domenica 14 aprile 2024

La matematica tra Galileo e von Neumann

Secondo alcuni scritti di Giorgio Israel sembrerebbe che la matematica nel corso della storia moderna abbia cambiato il suo rapporto con le altre discipline e il modo in cui viene pensata. Come scrive Israel "Per Galileo, la matematica è l'essenza della natura, che permette di attingere la 'verità'. Per von Neumann la scienza fa dei modelli di cui la matematica è il linguaggio privilegiato, il più adatto ed efficace". E aggiunge che "Un tratto fondamentale del pensiero di von Neumann è la convinzione che la matematica possa uscire dal dominio del rapporto con la fisica per misurarsi con ogni sorta di problema, e in particolare con quello di una trattazione razionale dei problemi sociali e, in particolare, economici. Emerge in modo chiaro la fortissima fiducia nel valore universale della matematica, una vera e propria visione panmatematica della realtà". Non è un caso che von Neumann abbia introdotto la teoria dei giochi come una matematica adatta a descrivere i processi economici e sociali. E non è un caso che von Neumann abbia contribuito in maniera determinante allo sviluppo dell'informatica.

Nelle due frasi seguenti una sintesi di come è cambiato il modo di pensare la matematica e il suo rapporto con la realtà:

«La filosofia naturale è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi, io dico l’universo, ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua e conoscer i caratteri nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto.» [Galileo Galilei]

«Le scienze non cercano di spiegare, a malapena tentano di interpretare, ma fanno soprattutto dei modelli. Per modello s'intende un costrutto matematico che, con l'aggiunta di certe interpretazioni verbali, descrive dei fenomeni osservati. La giustificazione di un siffatto costrutto matematico è soltanto e precisamente che ci si aspetta che funzioni - cioè descriva correttamente i fenomeni in un'area ragionevolmente ampia. Inoltre esso deve soddisfare certi criteri estetici - cioè, in relazione con la quantità di descrizione che fornisce, deve essere piuttosto semplice.» [John von Neumann]


martedì 2 aprile 2024

La musica vissuta dalla mia generazione

La mia generazione è mediamente ignorante in ambito musicale. Più esattamente le fasce sociali meno abbienti della mia generazione non hanno ricevuto un'istruzione musicale adeguata. Per dirla in modo un po' brutale a scuola ci hanno fatto fare i compiti di storia della letteratura, di storia del teatro, di storia delle arti figurative, anche di storia dell'architettura, ma non ci hanno mai fatto fare i compiti di storia della musica. Uso il termine "fatto fare i compiti" per sottolineare che l'istruzione è un obbligo, anche se quella superiore sarebbe in realtà una scelta. Il risultato però in generale è che questa istruzione obbligatoria ha dato modo a molti di noi (la maggior parte di noi, direi) di costruire una conoscenza, una consapevolezza, un qualche interesse per queste discipline. Quantomeno ce ne ha comunicato il valore. La musica invece è rimasta ai margini, lontana dal mondo dell'istruzione pubblica e da quella quotidianità di studio che rende un campo di conoscenze più o meno familiare. Quel poco che si faceva (e credo ancora mediamente si faccia) nella scuola media inferiore era del tutto insufficiente e non lasciava una traccia significativa.

La musica rimaneva perlopiù confinata in studi specialistici, svolti all'interno dei conservatori o fatti privatamente. E questi studi erano tipicamente accessibili a classi sociali già tradizionalmente familiari con la letteratura musicale occidentale. In altre parole la grande storia della musica europea era parte di una cultura elitaria, praticata dall'alta borghesia. Per le classi medie e medio basse rimaneva una cosa estranea e inaccessibile. Oggi i risultati di questa vicenda storica sono ben evidenti. Le persone della classe media sono spesso piene di bias cognitivi sulla musica, hanno una sostanziale estraneità alla musica della storia, in un modo buffo che quasi mai ha un analogo con le altre arti.

Ma la mia generazione in parte è stata anche fortunata, perché ha visto il boom del mercato discografico. Questo aveva due caratteristiche, un forte orientamento alle forme di musica popolare dove si poteva trovare il bacino di consumo più ampio e facile, e il fatto che si trattava di un mercato ancora emergente, incerto, tutto da scoprire e da costruire. Sono due caratteristiche che hanno permesso un forte sperimentalismo, sia imprenditoriale che artistico. Si è venuto a creare un ambiente ricco di talenti che in un paio di decenni (in particolare gli anni 60 e 70) hanno letteralmente trasformato la musica popolare europea e nordamericana. La ricchezza di proposte artistiche che ne è risultata è stata una manna per la mia generazione, venuta per la verità un pochino dopo.

La situazione che si è venuta a creare è stata un po' particolare. Le istituzioni culturali tradizionali, regolarmente presenti in altri ambiti, nella musica sono stati del tutto sostituiti dall'industria discografica. La mancanza di istruzione, peggiorata da una condizione elitaria nel praticare la musica di tradizione, ha creato una grossa frattura nella fruizione. Questa frattura ha caratterizzato soprattutto le giovani generazioni (ovviamente le più sensibili ai cambiamenti), che si sono trovate senza istruzione ma con una "nuova" musica da consumare.

La cosa aveva anche degli aspetti positivi interessanti. Avere un'istruzione impartita dalla società in cui si vive porta purtroppo sempre con sé il rischio di costruire una cultura vuota, falsa e ipocrita (come diceva Pasolini). Oppure può portare a sentirne il peso, l'oppressione. Ma se invece ho modo di accedere ad un ambito culturale, anche interessante, come lo era la musica popolare di quegli anni, totalmente scollegato da istituzioni ufficiali, totalmente personale, dove può regnare la ricerca libera, fatta sia da solo che con i coetanei, allora ho una sorta di paradiso terrestre, di isola felice. E l'identificazione con questa cultura diventa totale (la "musica dei giovani").

Forse però non era un territorio così libero. Alle istituzioni culturali tradizionali si sostituiva un mercato economico sostenuto dalle nuove tecnologie, che all'inizio ha fatto da volano per una musica popolare piena di idee e originalità, ma che forse adesso, con un mercato consumistico sempre più ingordo e orientato al profitto, mostra segni di decadenza culturale.


venerdì 22 marzo 2024

Sulla luna

Molti si stupiscono per il fatto che siamo andati sulla luna con dei computer che erano infinitamente meno potenti di un qualsiasi nostro telefonino. Addirittura questa diventa un'argomentazione per alimentare lo scetticismo e per sostenere che è molto probabile che sulla luna non ci siamo mai andati (almeno non in quegli anni). Questa mi sembra una prospettiva storica sbagliata che denuncia un certo eccesso (tutto moderno) nell'attribuire importanza al computer. 

Noi siamo andati sulla luna principalmente per le conoscenze scientifiche e tecnologiche che abbiamo sviluppato negli ultimi 3-4 secoli di storia. Mi riferisco alla meccanica classica, al calcolo infinitesimale, alla termodinamica, all'elettronica, solo per citare quelle che al volo mi sembrano le più importanti. L'uso del calcolo automatico non è stato evidentemente così determinante. Solo con i computer probabilmente non si va da nessuna parte. Anzi, la frase "solo con i computer" non ha senso.

Il computer rischia di diventare, per una società in cui è sempre più diffuso l'analfabetismo scientifico e tecnologico, un oggetto magico con cui pensare di risolvere tutto, con cui poter fare tutto, senza troppi sforzi di conoscenza e di immaginazione. Uno strumento di produzione di idee e di concetti che ci deresponsabilizza.

Siamo andati sulla luna con la potenza di calcolo di una calcolatrice tascabile degli anni sessanta, o poco più, eppure ci siamo andati. Qualcos'altro ci ha permesso di farlo.


mercoledì 6 marzo 2024

Geolocalizzazione

La sicurezza è sempre un compromesso con la libertà di azione, se devo proteggere qualcosa o qualcuno finisco sempre in qualche modo a limitare la sua capacità di fare le cose e collego spesso questo residuo di capacità ad un costante monitoraggio. Nella sicurezza informatica gira periodicamente la frase paradossale "il computer più sicuro è quello spento", o cose del genere.

Quando si tratta di persone la cosa è ovviamente ben più delicata, il compromesso tra sicurezza e libertà porta sempre ad una scelta critica. Fino a dove spingere questo confine? Non intendo parlare di questo argomento nel suo ambito più complesso, cioè quello della società (troppo difficile), bensì nel più ristretto e facile (facile?) ambito della famiglia. In particolare nel rapporto tra genitori e figli, ma qualche volta anche nel rapporto tra i partner. E' ovvio che una delle principali preoccupazioni di qualsiasi genitore è la protezione del figlio, la sua sicurezza ovunque vada, e per ottenere questo facciamo parecchi sforzi. Ma specialmente da un certo punto in poi, intendo dire da una certa età dei figli in poi, a mio parere dovremmo riflettere un po' di più su questo compromesso con la loro sacrosanta necessità di libertà.

La geolocalizzazione ad esempio è indubbiamente un ottimo servizio tecnologico, uno dei tanti che le tecnologie digitali ci consentono. Molti ormai lo utilizzano per geolocalizzare tutti i membri della propria famiglia. L'idea ovviamente è quella di rendere più sicura la vita dei famigliari mettendola, come succede per quasi tutte le funzioni di sicurezza, costantemente sotto monitoraggio, o almeno avendo la sensazione di poterlo fare "quando serve". Si tratta appunto spesso più di una sensazione, cioè di una sicurezza percepita.

Quello che non capisco è come questa cosa non venga considerata dalla maggior parte delle persone come una sostanziale mancanza di rispetto verso gli altri, come un atto di arroganza e di controllo dell'altro che secondo me non dovrebbe mai far parte del rapporto di affetto tra le persone. Neanche se questi sono i genitori e i loro figli (o peggio, i partner tra loro). Il compromesso tra sicurezza e libertà viene interpretato male, il confine tra la protezione e l'indipendenza viene superato, anche se questo avviene tra persone con legami affettivi forti. E' chiaro che in quest'ultimo caso l'istinto di protezione si fa sentire. Utilizzando un linguaggio poco adatto potrei dire che i famigliari sono "asset" molto importanti per una persona (l'investimento affettivo è alto) e si sa, in questo caso i livelli di sicurezza si alzano proporzionalmente. Però a mio parere il valore della libertà anche nei rapporti affettivi è talmente importante che non può essere sacrificato oltre una certa misura. Nel caso dei figli secondo me si rischia anche di sacrificare almeno in parte un importante elemento di maturazione personale, quello della responsabilità di sè stessi e delle proprie scelte. Nel caso più generale, che vale sia per i figli sia per chiunque altro, si rischia di sacrificare un altro elemento essenziale in un rapporto di affetto, quello della fiducia.

Insomma i rischi sono alti, e diventa importante riflettere sul confine tra sicurezza e libertà, che ovviamente cambia a seconda delle persone e delle circostanze e volta per volta va valutato, ma non mi sembra una buona cosa farci prendere la mano dalle possibilità fornite dalle tecnologie. La tecnologia ci mette sempre di fronte a delle scelte, non va mai intesa come necessaria.

 

mercoledì 28 febbraio 2024

Una definizione degli LLM

In un suo articolo su un almanacco di Micromega il filosofo dell'infosfera Luciano Floridi caratterizza con poche ed efficaci considerazioni gli LLM (Large Language Model), cioè quei software di intelligenza artificiale che elaborano il linguaggio naturale con sorprendente efficacia. In particolare mi ha colpito un'analogia, probabilmente buona solo in parte, ma interessante perché demistifica l'intelligenza artificiale e la riporta per analogia a qualcosa a cui siamo abituati da molto tempo. Questa analogia viene evidenziata da un tentativo di definire in sintesi questi nuovi strumenti, di cui al momento ChatGPT costituisce l'esempio più popolare. Secondo Floridi ChatGPT può essere definito come "calcolatrice tascabile testuale inaffidabile". In effetti una vecchia calcolatrice (dico vecchia perché sto parlando di dispositivi con cui la mia generazione è cresciuta ma che da un po' di tempo non si usano più) ha un'abilità di calcolo sensazionale, paragonata all'uomo, ma nonostante ciò non induce nessun pensiero "preoccupato" per il nostro futuro (o forse a suo tempo lo ha fatto?). Floridi giustifica la sua definizione con la seguente affermazione: "Un LLM fa con il linguaggio quello che una calcolatrice fa con i numeri: il primo crea risposte alle domande senza avere una comprensione del linguaggio che genera, così come la seconda crea risposte matematiche senza avere una comprensione di cosa sia la matematica. E come una calcolatrice, ChatGPT produce le risposte senza una banca dati".

C'è però un'importante differenza tra i due strumenti, e la definizione di Floridi cerca di tenerne conto. La calcolatrice è un oggetto che esegue calcoli matematici e per questo utilizza algoritmi deterministici, dato un certo input l'output prodotto è sempre lo stesso, e sarebbe strano se non fosse così, visto che stiamo parlando di conti. Dunque la calcolatrice è uno strumento estremamente affidabile. Un LLM invece elabora il linguaggio naturale, sarebbe strano se a fronte di uno stesso input producesse esattamente lo stesso output. L'algoritmo di un LLM (come quelli dell'ultima generazione delle IA) è infatti di tipo probabilistico. Ciò non consente ad un LLM di essere sempre "perfetto" (come lo è una calcolatrice), spesso risulta inaffidabile, ma proprio per questo ha una capacità di imparare, ed è in fondo la caratteristica che avvicina il suo comportamento a quello di un essere umano, fino al punto di creare "preoccupazioni". Floridi sottolinea questa differenza con la frase seguente: "Un LLM è soggetto ad 'artefatti probabilistici' (allucinazioni). Questo aspetto è ineliminabile per la natura statistica dello strumento, che a volte funziona male. La calcolatrice, che è deterministica, o funziona o non funziona. L'unico modo per ridurre al minimo gli errori intrinseci di un LLM è migliorare lo strumento nelle sue versioni successive, con ancora più soldi, ancora più parametri, ancora più dati con cui allenarlo, perché l'errore è più probabile là dove c'è meno addestramento".


lunedì 12 febbraio 2024

Modelli e realtà

Classica e ormai frequente è la discussione sul gender-fluid, stimolata dall'esperienza dei nostri figli, molto diversa da quella che è stata la nostra alla loro età. Loro convivono molto di più di quanto abbiamo fatto noi con l'omosessualità e con la condizione transgender, sono molto più abituati di noi ad accettarla, e questo è piuttosto evidente. Noi abbiamo le nostre brave difficoltà, essendo vissuti in una società in cui tutto ciò era molto poco visibile e faceva ancora parte spesso di discussioni goliardiche, oggi quasi totalmente scomparse (sembrerebbe).

Dal momento che la natura ci mostra, per gran parte degli aspetti biologici che possiamo quotidianamente osservare, uno spettro di soluzioni pressoché infinito, è un po' strano che questa ampiezza di spettro non si presenti anche nella sfera sessuale, dove invece pretendiamo di avere una classificazione ben marcata tra sesso maschile e sesso femminile, con orientamento totalmente eterosessuale. Si tratta evidentemente di un modello culturale più che di una situazione reale. I modelli del mondo sono il fondamento della costruzione della conoscenza ma occorre sempre confrontarli con la realtà, il rischio è che altrimenti questa realtà non riusciamo più a coglierla, perché il nostro modello la ricopre (e la nasconde).

Le dottrine religiose in questo sono state un fattore determinante anche se certamente non unico. Una dottrina è sempre l'imposizione di un modello del mondo sulla realtà, da cui si fa discendere anche tutta una serie di comportamenti coerenti con questo modello. Il modello può essere così efficacemente introiettato che non se ne percepisce più il suo eventuale distacco dalla realtà, anzi, da un certo punto in poi si tende a forzare l'appiattimento della realtà sul modello.

La società sempre più secolarizzata è sempre più indipendente da modelli dottrinali, li sta smontando e probabilmente ci sta dando una maggiore capacità di vedere la complessità del reale. Dico probabilmente perché la dipendenza da eventuali "altri" modelli che siamo costantemente portati a farci e l'attaccamento ad essi che tendiamo a sviluppare per motivi di sicurezza e conforto ci minacciano costantemente.


martedì 30 gennaio 2024

La storia del signor X (ma non è la mia storia)

Io sono il signor X, appartengo alla classe media e vivo in questo tempo.

I miei genitori mi vogliono bene e mi hanno sempre fatto tanti regali, tantissimi. Proprio perché mi vogliono bene non mi hanno mai fatto mancare niente, qualunque gioco volessi me lo hanno sempre comprato. D'altra parte potevano farlo, non avevano ragioni per non farlo. Per essere precisi ottenevo anche più di quello che desideravo. Non dovevo sforzarmi troppo, neanche per immaginare nuovi desideri. Insomma, chiedevo e ottenevo un gran numero di cose che potevo utilizzare o no, il loro utilizzo non era sempre scontato. Potevo anche semplicemente averli. Spesso le idee dei regali non erano neanche mie, erano dei miei genitori.

A scuola ero bravo. I miei genitori ci tenevano a che risultassi un bambino intelligente. Studioso non tanto, non necessariamente, ma intelligente ... quello si, senz'altro. Da un certo punto in poi ho cominciato ad avere un po' di timori, temevo che le cose a scuola diventassero troppo difficili. Mi accorgevo che anche i miei genitori la pensavano un po' così. Era comprensibile, volevano preservarmi dalle difficoltà, e volevano che rimanessi sempre bravo, senza problemi nello studio, senza traumi da superare. Volevano giustamente assicurarsi anche che potessi rimanere bravo a scuola, senza che le difficoltà mi travolgessero, mi facessero venire dei complessi e mi provocassero atteggiamenti di rifiuto. Era perché mi volevano bene, pensavano sempre al mio benessere.

Per lo stesso motivo mi tenevano sempre d'occhio, si preoccupavano delle mie amicizie e dei miei spostamenti, mappavano costantemente la mia posizione con una app dello smartphone. Non si sa mai, può sempre succedere qualcosa, potevano sempre capire se mi trovavo in un posto che conoscevano oppure no, se stavo in un posto che quadrava con quello che loro sapevano oppure no, in caso di sospetti mi chiamavano e si assicuravano che potessi rispondergli ("che fai? ma dove stai? com'è che ti trovi lì?"). Ero protetto. A tutt'oggi è ancora così.

Ad un certo punto non avevo più molto chiaro perché avrei dovuto studiare, e soprattutto che cosa. Non mi era chiaro per quale motivo andando avanti avrei dovuto passare tanto tempo sopra a dei libri, a leggere e ripetere tutte le materie, ad esercitarmi. I miei genitori cominciarono a dirmi che lo studio mi avrebbe permesso di fare un buon lavoro, cioè un lavoro che mi avrebbe dato i soldi sufficienti per comprare le cose che mi servivano. Crescendo le cose che volevo non avrei potuto continuare a chiederle ai miei genitori come avevo sempre fatto. Per comprare le cose dovevo guadagnare. Questo avrebbe cambiato la mia vita.

Anche la scuola mi parlava di questo, a suo modo. La mia vita a scuola era misurata da una serie di numeri, i voti, che davano a me e a tutti in modo chiaro e inequivocabile la rappresentazione della mia posizione nella piccola società scolastica. I miei genitori accedevano regolarmente ad un punto del sito web della scuola dove leggevano la mia situazione scolastica rappresentata da una matrice di numeri. C'erano anche altri numeri da tenere d'occhio, si chiamavano crediti scolastici. I crediti al contrario dei voti si sommavano e si potevano guadagnare in vari modi, principalmente con i voti ma anche con attività scolastiche di varia natura. Più ne guadagnavo e più avrei ottenuto alla fine un numero alto con cui sarei uscito dalla scuola. Dovevo guadagnare crediti, questo era un obiettivo importante. I crediti li incontrai successivamente anche all'università, anche quelli si cumulavano, e in una certa misura guidavano le scelte dei miei esami, la mia carriera di studio.

Ma io non sapevo mica che cosa fare all'università, sapevo solo che ci dovevo andare, che sarebbe stato l'ultimo scalino per arrivare a lavorare. E non è che avessi idea di quale sarebbe stato il mio lavoro. Una cosa in più però la sapevo, perché me la dicevano i miei genitori e un po' tutti quanti. Dovevo fare le cose in fretta, fare delle scelte che mi avrebbero portato in poco tempo all'obiettivo. Questo era importante e questo si che lo avevo bene in testa.

Al momento in cui scrivo l'obiettivo è raggiunto .... e adesso?