Da qualche anno vicino casa il mio municipio ha organizzato un parco lungo il fiume. Area giochi per bambini, sdraie per il relax, tavoli e panchine, chiosco e tavolini per consumazioni, ecc. Ultimamente è stata inserita anche una colonnina per alimentare amplificatori e strumenti che consentono la libera esibizione di dilettanti vari. Già un paio di volte mi è capitato di ascoltare delle band durante un caffè o un aperitivo in un'atmosfera estiva piacevole.
Ma questa mattina passeggiando nel parco mi sono imbattuto in due dilettanti che mi hanno un po' innervosito. Non era tanto il fatto che stessero cantando un pezzo di Bocelli su una base tipo karaoke (nessuno strumento), era piuttosto l'esecuzione che mi disturbava. Le frasi, specialmente quelle della cantante, erano sistematicamente fuori tempo, di pochissimo in anticipo, ma quanto basta per una resa estetica mediocre. Con una certa cattiveria ho pensato che potevo andare ad aiutarli battendogli il tempo corretto in testa con un martello. Sarebbe stato un buon esercizio.
Non stare sul tempo è una delle cosa peggiori che si possano fare in una esecuzione qualunque, quasi peggio che stonare. Ovviamente l'uso dei ritardi o delle anticipazioni, i cosiddetti "rubati", i ritorni "in tempo", sono tutti mezzi espressivi di grande efficacia, ma se li fai consapevolmente. Alla base di queste raffinatezze espressive deve esserci la capacità di portare il tempo quando serve.
Non è la prima volta che mi accorgo di questo problema, che forse non è sufficientemente curato e forse è anche poco percepito. Qualche volta mi viene anche in mente che sia, almeno a livello dilettantesco, e solo su certi tipi di repertorio, un aspetto trascurato. E ho il sospetto che questa "quadratura" sia forse considerata un eccesso di "razionalismo", una pratica di mero calcolo che non può avere a che fare con la nobile arte musicale, e su cui quindi non è necessario esercitarsi.
E' per questo che stamattina, sentendo questo karaoke che trascurava l'esercizio del contare per stare "in tempo", mi è tornata alla mente una celebre frase di Leibniz sulla musica, che sono andato a ricercarmi per non sbagliare. In una lettera al matematico tedesco Goldbach del 17 aprile 1712, Leibniz formula una definizione di musica importante quanto singolare: «Musica est exercitium arithmeticae occultum nescientis se numerare animi» (La musica è un esercizio occulto dell’aritmetica, nel quale la mente non si rende conto di calcolare).
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