In relazione al post precedente c'è sicuramente una citazione famosissima che viene frequentemente usata ma che secondo me rischia sempre di rimanere a galla senza dare nessuna idea precisa, sebbene invece sia legata a un dibattito scientifico estremamente importante, in parte tutt'ora attuale almeno nei suoi aspetti filosofici e interpretativi del mondo naturale. Mi riferisco alla frase "Dio non gioca a dadi con l'universo", una frase scritta da Einstein in una lettera in risposta al collega Max Born nel 1926, all'indomani della proposta avanzata da quest'ultimo di dare un'interpretazione probabilistica alla funzione d'onda introdotta da Erwin Schrödinger.
Anche in questo caso, come nel caso dell'effetto farfalla del post precedente, la metafora, sebbene molto suggestiva, non consente di capire alcunché circa il senso della critica di Einstein. Ma anche in questo caso con un po' di curiosità e impegno si riesce a farsene un'idea soddisfacente senza caricarsi di formalismi non strettamente necessari, che nel caso della meccanica quantistica sono anche oggettivamente molto pesanti. E anche in questo caso cerco di spiegarlo qui nel modo più sintetico possibile (secondo esercizio).
Il punto essenziale della questione è che all'interno della meccanica quantistica la probabilità non è epistemica (relativa alla teoria) ma ontica (propria dell'esistente), cioè non è una probabilità introdotta artificialmente dalla teoria, bensì è intrinseca nei fenomeni naturali. Fino all'introduzione della meccanica quantistica la probabilità introdotta nella descrizione dei fenomeni era sempre di tipo epistemico, cioè veniva introdotta nella teoria perché non era possibile fare di meglio, era uno strumento conoscitivo che sostituiva la descrizione completa dei fenomeni che, seppur garantita in linea di principio, non poteva essere raggiunta per problemi sostanzialmente pratici.
L'esempio semplice è quello del lancio dei dadi, la previsione sui numeri che usciranno può essere trattata solo in senso probabilistico anche se il sistema di cui stiamo parlando è perfettamente deterministico e, note con esattezza le condizioni iniziali, saremmo in linea di principio in grado di calcolare l'evoluzione del sistema con altrettanta esattezza e quindi saremmo in grado di sapere con certezza il risultato del lancio. Non possiamo farlo perché non ci saranno mai note tutte le variabili del problema necessarie a calcolare la sua evoluzione precisa, che comunque esiste ed è reale.
Nel caso della meccanica quantistica è proprio questa realtà che viene negata, il sistema in linea di principio non ha una traiettoria, la conoscenza esatta di tutte le sue variabili dinamiche in un dato istante non è detto che abbia senso perché non è detto che il sistema effettivamente le abbia tutte perfettamente determinate e dunque conoscibili e misurabili tutte allo stesso tempo. Quindi in un sistema quantistico non è la mancanza di conoscenza del sistema da parte nostra a costringerci all'introduzione di una trattazione probabilistica bensì la natura stessa del sistema.
Adesso si capisce perché Einstein, che pure ha dato importanti contributi alla costruzione della meccanica quantistica, abbia reagito male a questa interpretazione e lo abbia espresso in quel modo un po' letterario ma così efficace nella sua risposta a Max Born. L'intima convinzione del padre della Relatività era che la meccanica quantistica, così come era stata formulata negli anni venti, non fosse ancora una teoria "completa". Se fosse ancora vivo avrebbe il disappunto di constatare che tuttora è così.
NOTA: sottolineo la differenza con il caos deterministico del post precedente, dove il fenomeno caotico appare come casuale e quindi probabilistico ma di fatto in linea di principio non lo è, cioè il suo carattere probabilistico non è un dato di realtà. Per descrivere al meglio tali sistemi sarà magari necessario introdurre la teoria delle probabilità ma sempre in senso epistemico.
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