mercoledì 1 maggio 2024

Una interessante introduzione ad un libro

Qualche settimana fa ho scritto un post che raccontava il rapporto che la mia generazione ha avuto con la musica. Scrivevo, tra le altre cose, che un elemento essenziale del periodo in cui siamo cresciuti è stata la raggiunta maturazione di una tecnologia di archiviazione e riproduzione della musica, il disco in vinile, e l'inizio di un nuovo settore produttivo e di un nuovo mercato attorno a questa tecnologia, il mercato discografico. Dicevo che questo, da un lato ha stimolato un nuovo modo di fare musica e di fruirla, dall'altro ha sfruttato inconsapevolmente la carenza di strutture musicali educative per il grande pubblico e la sua conseguente mancanza di senso critico per dettare legge nei gusti musicali popolari e piegarli ad interessi strettamente commerciali. Terminavo con una nota un po' pessimista riguardo al fatto che la mancanza di educazione significa mancanza di senso critico e automaticamente mancanza di libertà di fronte all'aggressività di un mercato sempre più orientato al consumo veloce.

In questi giorni mi è capitato di leggere l'introduzione ad un libro di qualche anno fa di Ernesto Assante e Gino Castaldo (l'estratto che si può scaricare liberamente dal sito di Amazon ormai per quasi tutti i libri disponibili in formato elettronico per l'acquisto) in cui, tra altre cose, ho trovato un interessante completamento al pensiero del mio post, sebbene inserito in un contesto del tutto diverso. I due autori, in un modo un po' nostalgico, raccontano il periodo (quello in cui entrambi sono vissuti) dei dischi in vinile, dei famosi LP (Long Playing) e lo confrontano con le nuove tecnologie, i nuovi supporti di archiviazione, riproduzione e diffusione della musica e correlano questo cambiamento ad un altrettanto significativo cambiamento nella fruizione della musica e anche nel modo in cui questa viene pensata. Riporto qui alcuni stralci significativi (per me) di questa introduzione.

Il primo paragrafo che riporto fa una curiosa considerazione sul termine "musica elettronica", una cosa che io più o meno negli stessi termini ho pensato spesso: "Il termine «musica elettronica», che fino alla fine degli anni Settanta identificava un settore della musica contemporanea con precisi ambiti linguistici ed estetici, a partire dagli anni Ottanta perde progressivamente questa identità per assumere un significato di pura connotazione tecnica, data la diffusione del mezzo informatico in tutti i generi musicali. Ovvero: non ci sono più registrazioni che non siano elettroniche, non c’è più musica che non sia digitale". Cioè, il termine musica elettronica, che era nato per definire soprattutto una grande rivoluzione artistica e una trasformazione radicale del linguaggio musicale si trasforma nel tempo in qualcosa di più povero, nel semplice uso di strumentazione elettronica come mezzo tecnico che facilita semplicemente la produzione e la diffusione di musica, senza un vero collegamento tra innovazione tecnologica e corrispondente innovazione artistica.

Metto insieme tre diversi stralci di questa introduzione che mi pare abbiano come sfondo lo stesso argomento, il cambiamento del rapporto con la musica indotto dalle nuove tecnologie e dai nuovi mercati di consumo: "L’avvento delle tecnologie digitali ha portato a una straordinaria esaltazione della logica del «qui e ora», si produce musica deliberatamente senza passato, senza futuro. Si consuma musica subito, si ascolta una canzone e la si scarica nel proprio lettore, acquistandola al volo con un cellulare anche se si è in strada. Instant gratification la chiamano, ed è il segno dei tempi. [...] La musica, che all’inizio del secolo si era «materializzata» diventando disco, sta cominciando a smaterializzarsi di nuovo, sta perdendo ogni fisicità, diventa trasparente, inafferrabile, fisicamente inesistente. Se fino a una quindicina di anni fa potevamo identificare la musica e il supporto, pensare che in qualche modo i dischi fossero non solo dei contenitori, ma l’oggetto stesso attraverso il quale la musica prendeva posto nella nostra esistenza occupando uno spazio fisico, oggi la musica trasformata in bit non occupa alcuno spazio fisico: semplicemente non c’è. [...] E alla musica, ovviamente, chiediamo molto meno che in passato. Mentre i dischi in vinile, grandi e deperibili, meritavano la nostra attenzione e la nostra cura, i Cd hanno avuto, con la loro spavalda lucentezza, la resistenza fisica al calore e agli urti, ai graffi e agli strapazzi, sempre meno bisogno di noi e del nostro amore. E noi, a poco a poco, abbiamo smesso di amarli, di desiderarli, di volerli possedere".

La cosa che mi colpisce e per il quale mi sto appuntando le osservazioni di questa introduzione è il legame così stretto che sussiste tra tecnologia e arte, tra economia e arte, in entrami i casi un legame sia tra chi la produce che tra chi ne fruisce. Tutto sommato un fatto abbastanza ovvio. Spesso non ci si pensa, forse perché non siamo stati troppo abituati a farlo, ma in questo caso e in queste poche osservazioni questi legami mi sembrano sorprendentemente evidenti.


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