domenica 27 luglio 2025

Conoscenza razionale e intuizione poetica

In una presentazione di un libro che avrebbe come argomento un tema che si potrebbe sintetizzare in "come funziona la musica" (cioè, come è fatta, qual è la logica con cui viene costruita, ecc.), ho trovato questa frase: "Sometimes I hear people saying that knowing how music works destroys the magic in music", a volte sento dire che sapere come funziona la musica distrugge la magia della musica.

Credo che mi sia capitato in passato di incontrare atteggiamenti simili, in cui si distingue un modo "magico" ovvero poetico di sentire le cose del mondo contrapposto alla loro conoscenza razionale vista come qualcosa che "toglie" loro questa poesia.

Io questa cosa non la capisco, e per quel poco che la capisco non la condivido. Io credo che, parafrasando Faynman, "la conoscenza può solo aggiungere; davvero non vedo come e che cosa possa togliere".


lunedì 21 luglio 2025

Da genitori a padroni di cani

Sono in una periodo della mia vita in cui ho passato ormai da qualche anno la fase di svezzamento dei figli. Questa fase ovviamente l'ho vissuta insieme a tutta una serie di amicizie e conoscenze che più o meno hanno fatto la mia stessa strada e che ho avuto modo di osservare. C'è stato nel tempo un comportamento che ho messo a fattor comune in un buon numero di persone mie coetanee che mi ha colpito e che vorrei appuntarmi in questo post.

Nella fase "genitoriale iniziale", decisamente la più intensa per la capacità che questo tipo di esperienza ha di cambiarti la vita, ho notato dei comportamenti che ho sempre giudicato esagerati nei confronti dei figli, nella direzione della loro "pucciosità" (termine mutuato da un giornalista che seguo molto nel suo lavoro e che lui utilizza in tutt'altro contesto). Nei confronti del bimbo si sviluppa una sensibilità molto "estetizzante" (comprensibilmente), si esalta non solo la sua indubitabile bellezza ma l'osservazione sistematica di tutte le sue espressioni, le sue "mossettine", i suoi atteggiamenti infantili carichi di tenerezza. Questo nel tempo delle foto facili e dei social è diventato materiale per documentazioni fotografiche infinite, e i bimbi sono spesso diventati "pupazzetti" da vestire e fotografare-filmare in infiniti modi. L'affetto irrazionale porta ad esibire anche cose assolutamente insignificanti, ad esempio i loro disegnini (di cui si riempiono le scrivanie dei genitori-lavoratori, ora molto meno, vista la diffusione dello smart-working), e i genitori si "sbrodolano" in racconti non necessari di episodi "unici" e sentiti infinite volte. Questi atteggiamenti genitoriali secondo me "educano" il genitore, in questa sua prima fase, ad un atteggiamento come ho detto prima estremamente "puccioso" nei confronti dei propri figli che rischia di essere prolungato in maniera impropria anche nelle fasi successive, completamente diverse.

Arriva infatti il momento sacrosanto e affascinante in cui i figli ti mandano a quel paese. Ne sentono la necessità e lo fanno. Questo può creare frizioni in famiglia ma soprattutto sancisce la scomparsa del bimbo puccioso che aveva regalato ai genitori tanto affetto totale e incondizionato. Cosa ho visto succedere in questa fase di transizione in molti miei coetanei? Il sorgere dell'esigenza di farsi un cane, che si rivela ai miei occhi un surrogato estremamente potente di quella pucciosità che è rimasta viva nella memoria dei genitori e di cui rischiano di rimanere orfani. Il cane cristallizza definitivamente la soddisfazione di questa esigenza vita natural durante (almeno la sua, quella del cane). Il cane non ha una fase di indipendenza dal padrone, non ne ha bisogno, e passa la sua esistenza (mi riferisco ovviamente ai nostri attuali cani casalinghi) a fare e ricevere coccole. Questa transizione bimbo puccioso - cane puccioso mi appare come un probabile e piuttosto diffuso step evolutivo del mestiere del genitore. I figli cambiano e lasciano in eredità ai genitori il cane per continuare a soddifare la loro infinita voglia di coccole.


domenica 6 luglio 2025

Ancora un orso cattivo

Giorni fa leggo di un ennesimo episodio di aggressione di un orso verso un essere umano. Ce ne sono stati altri nel passato che mi hanno suggerito dei post (qui e qui). Scopro però, leggendo l'articolo, che l'uomo si era avvicinato ad un'orsa con i cuccioli e avevo provato a darle da mangiare per filmarla (non sembra un'informazione certa). L'uomo è morto e l'orsa è stata abbattuta (e i cuccioli? Non si sa).

La grande bellezza della natura nasce da un misto di fascino e paura. Quasi tutti gli ambienti naturali selvaggi fanno questo effetto. Ho il sospetto però che l'abitudine ormai consolidata di avere immagini e filmati ci trasmette facilmente il fascino ma ci priva della paura (certo non si può avere paura di un filmato).

Io che mi trovo spesso sui social a vedere reel di gorilla, splendidi animali, in modo del tutto innocuo e senza percepire alcun pericolo, potrei forse avere l'istinto di avvicinarmi nel momento in cui me ne trovassi di fronte uno reale. Ammetto che, razionalmente parlando, sarebbe una cosa da pazzi ma forse è proprio questo il meccanismo che porta le persone a fare una cosa simile (cioè una cosa da pazzi).

Spero di non incontrare mai da solo un gorilla vero nel suo habitat (paura), anche se mi piacerebbe (fascino).


sabato 21 giugno 2025

Apprendimento supervisionato a scuola: il caso della matematica

È un po' bizzarro constatare che certi insegnamenti a scuola, uno su tutti quello tradizionale della matematica (ma non solo), procedono verso gli studenti in modo insolitamente analogo ad un addestramento supervisionato per IA.

Tipicamente nello studio della matematica a scuola si tende a condensare molto sulle questioni di teoria, si cerca di non farla troppo difficile, si enunciano risultati derivati da teoremi senza appesantire con l'analisi dei processi dimostrativi. Si arriva quindi a fornire lo studente di un bagaglio teorico minimo che si traduce in una serie di tool concettuali e di tecniche con cui si passa alla fase di addestramento allo scopo di impossessarsi di tali strumenti.

La fase di addestramento supervisionato consiste nell'eseguire un numero molto alto di esercizi sotto il continuo controllo delle soluzioni (etichettatura). In questa fase lo studente interiorizza i metodi di lavoro e opera (si spera) una generalizzazione che gli permetterà successivamente di affrontare qualunque esercizio nuovo, esterno al pool di addestramento.

Questa raggiunta capacità deve però essere testata, messa alla prova. E allora si organizza un secondo pool, di dimensioni ridotte e sconosciuto allo studente, senza etichette, per misurare le sue performance. Si organizza quella che in gergo scolastico si chiama "verifica". Il punteggio di questa performance finisce per definire il grado di abilità raggiunto e viene inserito nel registro elettronico dello studente.

Occorre controllare la durata della fase di addestramento, bilanciandola con la dimensione del pool fornito. Questo perché l'eccessivo lavoro sempre sugli stessi dati (esercizi) potrebbe generare fenomeni negativi di "overfitting". In questo caso l'apprendimento può arrivare ad essere troppo legato agli esercizi del pool di addestramento, il che potrebbe determinare una parziale incapacità di generalizzare l'abilità a risolvere esercizi nuovi esterni al pool di addestramento, in pratica lo studente vede troppe volte le stesse cose e tende ad imparare a memoria i passaggi matematici che vive in fase di addestramento, senza assimilarli veramente. Questo abbassa il livello di performance sulla verifica e il suo corrispondente punteggio nel registro elettronico.

Se lo studio di una materia così cruciale per la futura capacità di interpretare la complessa realtà che ci circonda viene ridotta ad un addestramento supervisionato, allora forse ci potrebbe essere un qualche rischio, in un futuro distopico, di soccombere alle macchine.


lunedì 16 giugno 2025

Problemi di divulgazione scientifica

In una chat in cui si parla di divulgazione scientifica e si riportano esperienze di questo tipo, un membro reduce da una lezione a scuola in cui si parlava di argomenti di astrofisica e forse cosmologia, riceve alla fine questa domanda da una studentessa che si era mostrata particolarmente interessata agli argomenti: "Io sono cristiana, lei davvero crede che l'evoluzione ci sia stata? Non è in contraddizione con quanto dice la Bibbia?".

La risposta del relatore non poteva che essere un po' vaga, difficile prendere di petto un'osservazione del genere. Io rimango colpito dalla situazione e in chat mi getto in una risposta articolata che fa così: 

L'evoluzione è un'evidenza scientifica, un modello teorico corroborato da innumerevoli riscontri sperimentali e osservativi, a tutte le scale del vivente. Non è una questione di crederci o meno, non è una credenza. Peraltro è attualmente il framework su cui si articolano tutte le conoscenze della biologia moderna. Uno scienziato diceva “Niente in biologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione” (Dobzhansky). Se poi si parla di fede il discorso si trasferisce in un piano completamente diverso. Giorgio Parisi da qualche parte ha scritto che la scienza cerca di spiegare il mondo con le cose del mondo, la fede cerca di spiegarlo con cose che lo trascendono. I due domini sono completamente diversi. Se infine si parla di istinto religioso (o sentimento religioso) quello è ancora un'altra cosa ed è proprio anche dell'atteggiamento di uno scienziato. Si tratta di un comportamento evolutivo. Riconoscersi un istinto religioso non significa essere necessariamente credenti, soprattutto se questo significa abbracciare una fede, una religione, una dottrina, ecc.

Ma il punto importante di tutto questo sproloquio alla fine è che si deve ammettere che la domanda della ragazza era completamente sbagliata anche per come veniva posta. Confondeva piani affatto diversi, dimostrando che nonostante tutto il suo interesse per gli argomenti trattati il suo modo di pensare era di fatto alieno alla scienza. E' questo tipo di cose che mi fanno pensare che avere delle nozioni scientifiche non garantisce una cultura scientifica, purtroppo. E' anche il motivo per cui penso che la divulgazione scientifica, e in generale l'educazione scientifica, anche quella impartita nelle scuole, è veramente roba difficile.

Credo che nell'educazione alla conoscenza scientifica si debba sempre evitare di raccontare quante cose sappiamo, e puntare invece su come siamo arrivati a saperle. Perché la cultura scientifica non sta nel prodotto finale (quello che sappiamo e che possiamo raccontare in qualsiasi momento come una storiella) ma nei processi di costruzione della conoscenza.


 

giovedì 12 giugno 2025

Referendum senza quorum

All'indomani del referendum che poneva quattro quesiti sul lavoro e uno sulla cittadinanza, leggo che l'affluenza è stata del 30% e sul quesito sulla cittadinanza il 35% dei votanti ha scelto il no (sugli altri quesiti hanno votato no il 12-14% dei votanti). Mentre torno a casa dall'ufficio ripenso a questa cosa e, nel parcheggio sotto casa, scrivo quello che la sera, dopo qualche ritocco decido di pubblicare su Facebook. Il testo è questo:

"Peccato soprattutto per il quesito sulla cittadinanza. Perché significa che forse per la maggioranza di noi l'integrazione non è un valore, anzi, forse è un problema.

Perché significa che forse per molti di noi la cittadinanza è un merito, e non un diritto (noi, che la cittadinanza ce l'abbiamo senza mai averla meritata, semplicemente perché non è un merito).

Perché significa che se una piccola minoranza di persone che vivono insieme a noi ha problemi per non avere la cittadinanza, e noi potevamo in parte risorvergli il problema con un semplice referendum, ce ne siamo disinteressati, non l'abbiamo visto come un problema anche nostro.

Perché forse una parte di noi non è andato al seggio per compiacere la maggioranza che aveva votato, ignorando di farlo sulla pelle delle persone più deboli (e che dire di tutti quelli che proprio a questo quesito sono andati per votare no?).

Tutto questo per me è un segno di inciviltà, non trovo altra modo per definirlo.
Un referendum senza quorum e senza cuore. E diciamola tutta, anche senza cervello."

Oggi mi rendo conto che l'ultima frase, aggiunta poco prima della pubblicazione, è forse la più azzeccata. Non si tratta di avere cuore, non credo sia quello il problema, anzi, se per cuore si intende un misto di sentimenti, emozioni e paure forse è proprio quello che dovremmo evitare. Si tratta più di avere cervello, inteso come razionalità, capacità di vedere, analizzare e valutare i problemi, senza pregiudizi, quella qualità che ci tiene coi piedi per terra, dentro la realtà. 

Un post scriptum sui quesiti sul lavoro:

Mi sembrava ci fosse una differenza significativa tra il quesito sulla cittadinanza e quelli sul lavoro. Il primo piuttosto chiaro sia nelle sue motivazioni che nelle sue conseguenze, gli altri molto meno valutabili da un cittadino medio, soprattutto nelle loro conseguenze, chiare solo quando venivano opportunamente semplificate a parole dai suoi promotori. Ma non è questo che mi aspetto da un quesito referendario. La mediazione dei promotori per capire un problema sollevato da un referendum altrimenti difficilmente valutabile è una cosa che non mi convince.

Mi viene anche il dubbio che l'eccesso di tecnicismi incomprensibili e non valutabili esattamente da un cittadino medio è una minaccia al valore delle conoscenze e competenze, come valutare una malattia e le sue conseguenze, o un trattamento sanitario (vedi vaccini) senza essere un addetto ai lavori. Delegare cose incomprensibili alla cittadinanza rischia di essere una forma di populismo, quantomeno una strumentalizzazione.


domenica 25 maggio 2025

Scuola e ChatGPT

Gli strumenti di intelligenza artificiale generativa sono ormai inevitabilmente su tutti i nostri smartphone. Nelle mani ormai di soggetti di qualunque età. Sarebbe il caso di discutere pubblicamente la gestione dell'altrettanto inevitabile interazione tra questi strumenti e la scuola, di ogni ordine e grado.

Io penso che il problema vada prima di tutto diviso per fasce di età. Nella scuola primaria e in quella secondaria inferiore l'uso dei tool di IA dovrebbe forse essere totalmente escluso, e soprattutto credo che fino a quella età la cosa sia ancora abbastanza possibile. Nella secondaria superiore non solo l'esclusione dell'interazione con questi strumenti non può essere del tutto evitata ma forse non è neanche positivo che lo sia. Piuttosto il loro utilizzo dovrebbe essere discusso in classe, spiegato per quanto possibile, analizzato nelle sue potenzialità e nei suoi problemi, per poi essere in generale fortemente limitato nel lavoro scolastico, ma con la consapevolezza dei ragazzi e sperabilmente anche la con la loro collaborazione. Infine a livello universitario l'uso di questi strumenti è ovviamente libero e sotto la responsabilità dello studente, che a questo punto dovrebbe aver maturato il giusto grado di consapevolezza.

Rimane il fatto che, dal punto di vista didattico, e a qualunque età, l'uso di strumenti di IA, ha delle chiare controindicazioni:

  1. Generano un eccessiva fiducia nelle spiegazioni che forniscono ("effetto oracolo").
  2. Possono dare risposte parzialmente false.
  3. Il loro addestramento è sotto il controllo delle big tech.
  4. Tendono a far escludere l'importanza della pluralità delle fonti nello studio.
  5. Possono impigrire l'utilizzatore (effetto anche psicologico).

La cosa estremamente importante è la seguente: non è pensabile censurare completamente l'uso di questi strumenti in ambito scolastico, sarebbe equivalente a crescere una generazione di cittadini fuori dal contesto reale e complesso delle società future, quelle in cui si troveranno a vivere.

L'altra cosa estremamente importante è la seguente: è rischioso lasciare i ragazzi in età formativa accedere a questi strumenti senza una preparazione adeguata, senza aver sviluppato verso di essi un adeguato atteggiamento critico; il rischio è quello di non riuscire a sviluppare la necessaria libertà di pensiero nei confronti di tecnologie così complesse.

In particolare è importante di fronte a queste tecnologie cambiare quell'atteggiamento nei confronti dei computer che ci accompagna ormai da qualche generazione. Il computer è da sempre immaginato (e usato) come una macchina perfetta e deterministica, e fino ad oggi questa immagine era adeguata. Ma i modelli di intelligenza artificiale sacrificano la perfezione e si espongono all'errore per poter avere la giusta flessibilità rispetto ai compiti che devono svolgere, per poter aggiustare il tiro, per poter imparare.

Se sto davanti a un chatbot di IA devo essere consapevole che lui non è progettato per dare risposte vere e affidabili, bensì per dare sempre risposte plausibili. E questo può rendere il rapporto con esso difficile, perché con una certa probabilità posso ottenere da lui risposte false (allucinazioni) ma perfettamente plausibili. Il mio compito è quello di mantenere un atteggiamento di continua verifica di questa plausibilità, con azioni che possono essere faticose ma necessarie.

Si tratta in fondo di passare dall'immaginare di avere davanti una macchina perfetta (il computer, come lo abbiamo finora conosciuto) all'immaginare di avere davanti una cosa che in fondo assomiglia un po' di più ad un essere umano, da cui è scontato che non ci aspettiamo mai la perfezione, neanche se ci fidiamo.

Questi ultimi sono i temi della formazione su cui sarebbe importante lavorare.


domenica 18 maggio 2025

Sciatalgia

Sono due settimane che soffro di una sciatalgia che non mi dà tregua. Il dolore sordo mi accompagna costantemente giorno e notte, cambia di tanto in tanto sia in diffusione sulla gamba sinistra sia in intensità, ma non molla mai. Una prova psicofisica pesante. La causa primaria è una doppia protrusione con piccola ernia nelle vertebre lombosacrali, messe in evidenza ormai sette anni fa con una risonanza magnetica, ma i sintomi erano già presenti ben prima.

Il trattamento di "manutenzione" che faccio già da diversi anni consiste in infiltrazioni periodiche di ossigeno-ozono, che agiscono direttamente sulla parte e dovrebbero impedire o contenere ulteriori schiacciamenti. Esiste però in alcuni sfortunati casi un "punto di non ritorno", che consiste nell'infiammazione della radice del nervo sciatico a causa della pressione delle vertebre su di esso, che progressivamente e inesorabilmente si irradia a tutta la gamba sotto forma di dolore acuto, bruciore, formicolii e perdita della sensibilità. Credo che il trattamento che faccio regolarmente mi abbia preservato da questi episodi (almeno credo), che fortunatamente fino a questo momento sono stati abbastanza rari e piuttosto contenuti. Ma non questa volta.

Sono sotto terapia farmacologica iniettiva con un cocktail di cortisone e anti-infiammatori che dovrebbero quantomeno far passare il dolore, ma pare che non ci sia al momento un miglioramento così evidente, il dolore a fasi alterne è sempre al suo posto. Sono alla fine della terapia prevista e sto scrivendo questo post alle due di notte perché non riesco a dormire.

Un'ultima cartuccia, cominciata a sparare questa mattina, è quella della fisioterapia. Trattamento al momento molto doloroso ma che non ha sortito un risultato immediato, non c'era da sperarlo, mi aspettano diverse sedute.

Non so bene che altro potrei fare, tengo informato il mio medico e attendo istruzioni. Nel frattempo non riesco a lavorare, faccio fatica a mantenere qualsiasi posizione, comprese quella seduta e quella sdraiata.

Penso che questa sia una delle tante condizioni di salute esasperanti che rischiano sempre di alimentare forme di pseudoscienza. Il mal di schiena ha spesso sviluppi ed effetti collaterali particolarmente fastidiosi, poco tollerabili, e soprattutto non sembra avere una soluzione univoca efficace. Su di esso esiste una vera e propria letteratura popolare, fatta dei rimedi più disparati. Parlando con le persone vengono fuori storie personali molto eterogenee e soluzioni altrettanto varie.

Indubbiamente queste condizioni di salute, anche a carattere cronico, prive di terapie veramente risolutive, portano il soggetto ad accettare un ventaglio di possibili soluzioni che razionalmente e in una situazione diversa non prenderebbe neanche in considerazione. Per usare un'iperbole, se in questi giorni qualcuno mi avesse proposto uno sciamano di sua conoscenza ("a mio cugino l'ha guarito") credo che almeno per dieci secondi avrei preso in considerazione la cosa.

Il sottobosco di pseudoscienze che si creano in campo medico cresce soprattutto su patologie come questa che non hanno purtroppo una gestione efficace. Le potremmo chiamare malattie incurabili, patologie croniche.

Torno a provare a dormire, senza troppe speranze, sognando uno sciamano.


lunedì 7 aprile 2025

Socrate e Confucio, imparare e spiegare

Ci sono due frasi molto note che, pur riferendosi entrambe allo stesso soggetto, la conoscenza, sono tra loro complementari (almeno io le vedo così), ed entrambe si associano secondo me a due verbi altrettanto complementari che si riferiscono alla costruzione di questa conoscenza: imparare e spiegare. La prima è la famosa frase di Socrate: “È sapiente solo chi sa di non sapere, non chi s'illude di sapere e ignora così perfino la sua stessa ignoranza”, citata più frequentemente come "io so di non sapere". La seconda è un po' meno famosa ma altrettanto interessante e dovuta a Confucio: "Sapere che sai quando sai e sapere che non sai quando non sai, questa è la vera conoscenza". Certamente si somigliano, ma è chiaro che non hanno lo stesso significato.

Mi pare che la frase di Socrate sia quella che meglio descrive l'atteggiamento di chi impara. Per imparare occorre prima di tutto essere consapevoli di "sapere di non sapere", diversamente si potrebbe avere la presunzione di sapere, o di sapere già quanto basta, da cui discende inevitabilmente un atteggiamento refrattario ad imparare cose nuove, una rinuncia ad essere curioso di fronte alle tante cose ignote del mondo. La voglia di mostrare di essere "saputo" supera la voglia di essere sapiente.

La frase di Confucio invece la vedo più vicina all'atteggiamento di chi spiega. Perché credo che spiegare significhi prima di tutto rivelare a sé stesso quanto si sa e quanto non si sa di quello che si sta spiegando (questa è anche la parte divertente). Significa riflettere sulla propria conoscenza e scoprirne i limiti. Significa tracciare il bordo della propria conoscenza delle cose. Questo tra l'altro permette di capire meglio in che direzione ci si vuole muovere per imparare altre cose o per imparare meglio le cose che in parte già si sanno.

Socrate ci esorta a trovare l'atteggiamento giusto per imparare cose nuove, Confucio ci esorta ad essere sempre consapevoli di quello che sappiamo e che non sappiamo. Insieme ci suggeriscono il percorso verso la conoscenza.


domenica 30 marzo 2025

«Cielo dicono» e «Non cielo dicono»

Mio figlio aveva un testo di fisica alle superiori che si intitolava "Le risposte della fisica". Un titolo del tutto inadeguato secondo me se si vuole insegnare la cultura scientifica. Probabilmente su quel libro potevi trovare le risposte, anche se non ti eri fatto nessuna domanda. E certamente le risposte erano importanti, autorevoli e giuste perché venivano dalla scienza e dagli scienziati. Anche se non si capivano.

Pensate, il sole si trova a 150 milioni di chilometri dalla terra, che sarebbero 8 minuti luce. Che significa? Che la luce per percorrere la distanza dal sole alla terra alla sua grande velocità impiega 8 minuti. Fantastico! ..... ma come diavolo si fa a sapere quanto è distante il sole?? E come di fa a sapere quanto va veloce la luce?? Beh, questo lo sanno gli scienziati, "cielo dicono" loro.

Pensate, non è il sole a girare attorno alla terra, bensì è la terra che ruota attorno a sé stessa .... ma come diavolo si fa a sapere che la terra gira?? E come si fa a sapere che è rotonda?? Beh, questo lo sanno gli scienziati che studiano tanto e poi "cielo dicono" (*).

E questo vale sempre, fino a che non la smetti di fare domande. Fino a che non decidi di crederci e dai tutto per scontato ..... oppure no. Feynmann diceva: "Penso che imparare [...] una formula mistica come risposta alle domande sia proprio la cosa peggiore". Aggiungo che alle risposte della scienza propinate come semi-spiegazioni, come spiegazioni "sulla fiducia", come spiegazioni dal sapore "mistico", si può pericolosamente, ma forse anche legittimamente, cominciare ad opporre un "non ci credo".

Raccontare questa scienza "feliciona", non problematica, piena di risposte fatte apposta per noi e per la nostra tranquillità (ma anche noia) è simile in modo imbarazzante al mondo felice dei Testimoni di Geova. Il mondo della scienza come viene raccontato spesso somiglia a quello del fantabosco.

"Perché? Perché ce lo dice la scienza". Tutto il  nostro sapere su cui si basa la nostra società "cielo dicono loro", gli scienziati.

Ma non sarà che il complottismo del "Non cielo dicono" è il risultato del comportamento reazionario di una società sopraffatta dai tanti "Cielo dicono" incomprensibili della scienza e degli scienziati? Quei "cielo dicono" che fin dall'infanzia accettiamo perlopiù acriticamente perché impariamo presto che quando li ripetiamo sono tutti d'accordo? Poca fatica e tanti risultati. Se diciamo una cosa "scientifica" diciamo automaticamente una cosa "giusta". E a farci dire le cose giuste ci pensano gli altri, "cielo dicono loro".

Tutto quello che sappiamo "cielo dicono". Ma siamo sicuri che ci dicono tutto? Siamo sicuri che ci dicono la verità? Siamo sicuri che non ci vogliono manipolare? E come facciamo ad essere sicuri? Che strumenti abbiamo? Siamo forse ignoranti ma mica scemi. E poi c'è la rete che ci aiuta..... quella ci permette di scegliere finalmente in autonomia e indipendenza tra chi ci prende in giro e chi ci dice la verità. Possiamo fare finalmente da soli. Non "cielo devono dire più gli altri".  :-(

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(*) da un mio vecchio post (link) «... provate a chiedere a una qualunque persona che passa per la strada se è il sole a girare intorno alla terra o la terra a girare intorno al sole. Risponderà certamente la seconda, senza nemmeno pensarci troppo. Provate ora a chiedergli perchè lo sa. Tutto quello che osserva gli indica che è il sole a girare intorno alla terra ma lui "sa" che deve dire esattamente il contrario ....»


sabato 22 marzo 2025

Suprematismo culturale

Suprematismo = Ideologia che si fonda sulla presunta superiorità di un gruppo umano sull’altro o di una religione sull’altra (vocabolario Treccani).

O anche di una cultura sull'altra, aggiungo io. Due esempi recenti:

«Solo l’Occidente conosce la Storia [...] Altre culture, altre civiltà hanno conosciuto qualcosa che alla storia vagamente assomiglia». Questo è l'inizio del paragrafo dedicato alla Storia, che si trova nelle Nuove Indicazioni 2025 per la scuola dell’infanzia e primo ciclo di istruzione (Coordinatore di questa sezione: Ernesto Galli della Loggia - Prof. Emerito Scuola Normale di Pisa). E prosegue così: «È attraverso questa disposizione d’animo e gli strumenti d’indagine da essa prodotti che la cultura occidentale è stata in grado di farsi innanzi tutto intellettualmente padrona del mondo, di conoscerlo, di conquistarlo per secoli e di modellarlo».

«Adesso chiudete gli occhi e pensate ai nomi che vi dico: Socrate, Cartesio, Hegel e Marx; vi dico Shakespeare, Pirandello e Leopardi. Ma gli "altri" le hanno queste cose? [...] Abbiamo libertà ovunque, abbiamo la democrazia, ma quella non ce l'anno tutti, ce l'abbiamo noi. L’Europa è il fondamento di tutte le verità ideologiche, etiche, estetiche. Abbiamo inventato tutto. La bellezza, la passione, la letteratura. E non possiamo assolutamente perderle queste cose. Perchè noi Europei abbiamo insegnato tutto» (dichiarazioni di Roberto Vecchioni alla manifestazione per l'Europa, tenuta recentemente a Roma). 

Di seguito due osservazioni:

Mio figlio studia Antropologia e più di una volta l'ho sentito dire che questa materia è a suo giudizio estranea alla cultura media, quasi del tutto ignorata. Le frasi precedenti mi pare che gli diano ragione. Il valore e la pari dignità che l'antropologia riconosce a qualsiasi cultura umana, la sua finalità di superare il pregiudizio etnocentrico occidentale e riconoscere la presenza di strutture comuni a tutti gli uomini, è una cosa che non mi sembra faccia parte dei nostri modi di pensare.

Nelle parole dei due "intellettuali" riportate sopra non si fa alcun cenno a quella che forse è stata la vera storica differenza della cultura occidentale dalle altre culture sparse per il mondo, cioè il suo rapido sviluppo tecnologico, che le ha dato ricchezza, benessere, possibilità di sviluppare attività artistiche di ogni genere, e purtroppo anche la possibilità di diventare padrona ovunque. Ma da questi "intellettuali" delle "scienze umane" non ci si può  aspettare neanche questa banale consapevolezza.


domenica 16 marzo 2025

Un insolito test di turing

Mi annoia ascoltare le solite cose sull'intelligenza artificiale, i soliti argomenti. Ci toglierà il lavoro? Arriverà un giorno a superarci e a dominarci? Ci renderà tutti ignoranti e incapaci di produrre pensieri nostri? E altre cose di questo tipo, tutto sommato poco interessanti. Molto più interessante il fatto che le tecnologie attuali sull'intelligenza artificiale, per certi aspetti così avanzate, ci possano indurre a fare delle considerazioni su noi stessi, sulla nostra intelligenza, su chi siamo.

Una domenica mattina di qualche tempo fa mi soffermo ad ascoltare la puntata di Uomini e profeti, una trasmissione radiofonica di cultura religiosa, che trattava proprio dell'intelligenza artificiale in un modo che ho trovato interessante. Tanto è vero che dopo averla ascoltata in diretta me la sono ripescata qualche tempo dopo sullo streaming di Rai Play Sound e ci ho preso appunti sopra. Il post che segue è sostanzialmente una trascrizione molto parziale del dibattito.

Dopo qualche premessa il conduttore introduce i primi due ospiti che fanno i loro primi interventi non molto interessanti. Ad un certo punto vengono quasi interrotti dal conduttore che propone loro un piccolo esperimento, un insolito test di Turing. Legge loro degli stralci di una preghiera intitolata Preghiera di speranza e luce. Questo è il testo: "Signore, nelle difficoltà che incontriamo ogni giorno, ti invochiamo con il cuore aperto e umile, donaci la forza di affrontare le sfide e la saggezza per riconoscere la tua presenza in ogni passo del nostro cammino. [...] Nel silenzio del nostro cuore sii la luce che ci guida, la pace che ci sostiene e la mano che ci solleva. [...] Fai che possiamo sempre camminare con amore, con passione e verità per portare la tua luce nel mondo e riflettere la bellezza del tuo amore infinito. Amen". A questo punto si ferma è comincia a fare domande.

NOTA (mia): mentre ascolto penso che la preghiera proposta sia stata costruita con un LLM o con l'aiuto di un LLM, la cerco al volo sulla rete e non si trova, quindi non è stata pubblicata, probabilmente è un esperimento fatto dalla stessa redazione della trasmissione.

Domanda 1: chi ha composto questa preghiera? I due interlocutori non vogliono rispondere. Uno degli ospiti lo dice apertamente, si rifiuta di rispondere. Questo mi sembra già significativo. L'altro cerca di andare oltre dicendo che bisognerebbe sapere se quel qualcosa o quel qualcuno che ha scritto una preghiera in cui parla del mondo "sa" che cosa è il mondo (il solito problema della coscienza, un argomento che spesso viene usato solo per complicare le cose e renderle intrattabili).

Domanda 2: è così importante sapere chi o che cosa abbia scritto questa preghiera? Si conviene che comunque sia, questa preghiera "entra in relazione" con chi la legge. Si osserva anche che in fondo questa preghiera potrebbe essere stata scritta, ad esempio, da un umano con il supporto di un agente computazionale. Saperlo potrebbe essere impossibile e in fondo non così importante.

Domande 3: la lettura o la scrittura di questa preghiera certamente è in grado di "trasformare" l'essere umano che ci interagisce, sia per scriverla che anche solo per leggerla; potrebbe valere lo stesso per l'agente computazionale? Cosa possiamo dire a questo proposito? Cosa "prova" l'intelligenza artificiale?

Viene presentato un terzo ospite. Gli vengono poste le stesse domande. Lui risponde immediatamente che dire chi l'ha composta è praticamente impossibile, dichiara superato il test di Turing, almeno per molti esempi attuali di intelligenza artificiale (LLM). Rimprovera anche il fatto che noi umani formuliamo i test sull'intelligenza sempre in modo molto antropocentrico. Aggiunge che nella maggior parte dei casi conoscere chi l'ha formulato non è importante, conoscere le fonti può farci cambiare la nostra interpretazione del testo ma non sempre in modo così determinante; fa l'esempio dei romanzi che potrebbero raccontare una cosa totalmente inventata oppure no, oppure una sovrapposizione di invenzione e realtà, inoltre ci possono essere molte situazioni (anche al di fuori del problema della AI) in cui le fonti possono essere false. E conclude un suo primo intervento così: "Se qualcosa ci muove possiamo semplicemente accettarlo come parte dell'infinita creatività del mondo". Interessante.

Dopo un altro giro di pareri il terzo ospite viene richiamato in causa per una risposta o un semplice parere sulla terza domanda. Siamo sicuri che se la preghiera è scritta da un agente computazionale quest'ultimo non provi delle sensazioni e che non sia cambiato esso stesso dal fatto di aver scritto questa preghiera? Per una intelligenza umana certamente succede ma per una intelligenza artificiale? C'è una separazione netta tra le due intelligenze? L'ospite sottolinea che in generale "io so cosa provo io stesso (forse) ma non so mai esattamente cosa prova un'altra intelligenza, sia essa umana o non umana. Possiamo forse dire che sono intelligenze diverse, così come ce ne sono tantissime altre nel mondo animale, certamente diverse dalle nostre, sulle cui sensazioni non possiamo dire moltissimo. Possiamo solo affidarci alle analogie tra specie. Possiamo probabilmente capire meglio un'intelligenza umana, molto meno un'intelligenza di esseri viventi molto distanti da noi come specie. Le AI sono intelligenze molto diverse dalle nostre e se dovessero avere delle sensazioni sarebbero probabilmente aliene alle nostre". Tutto ciò mi sembra molto ragionevole.

Il secondo ospite propone un'altra domanda: "ma l'intelligenza è l'unica cosa che ci definisce come esseri umani oppure c'è qualcos'altro?" (sta cercando nuovi elementi che ci possano distinguere da tutto il resto del mondo?). Risponde a questa sua domanda tirando fuori una "razionalità" nel senso di una capacità di ragionare che non sia "matematico" ma che sia costituito da qualcosa che non sia possibile far rientrare all'interno di quella che potremmo chiamare "esattezza" delle cose. La razionalità umana ammette il fatto che noi non possiamo comprendere alcune cose, mentre l'AI è progettata per poter rispondere a tutto, non può non farlo (questo mi puzza di argomentazione "da prete"). Allude anche alla capacità di "decidere" dell'intelligenza umana, cioè forse allude al libero arbitrio.

Infine il conduttore, rivolgendosi di nuovo al terzo ospite, che durante il dibattito sembra si sia rivelato il più stimolante (almeno per me), pone un'ultima domanda: "Questo allargamento del campo dell'intelligenza (dagli umani ai non umani, biologici o artificiali che siano) è un perdere la nostra centralità oppure un gesto di umiltà?". La risposta arriva immediata: "entrambe le cose, meno male che si perde la nostra centralità che a mio parere è sempre stata illusoria. Penso che l'intelligenza non vada considerata come una monade chiusa in sé stessa, ma molto più come qualcosa di diffuso [aggiungo io: un'espressione della natura che si ritrova in tante parti del mondo, non solo in noi stessi]. In fondo la scrittura è stata un'invenzione tecnologica che ha espanso la nostra intelligenza, l'AI sarà un'altra invenzione che ci porterà nella stessa direzione". Questa è la pensata più attraente di tutta la trasmissione.

La chiusura, sempre del terzo ospite, è questa: "Noi aumentiamo la nostra intelligenza mettendola in relazione con tutte le altre, biologiche o artificiali che siano. L'intelligenza diffusa è un concetto che rende giustizia alla natura relazionale del mondo". Quaranta minuti di buon dibattito.

NOTA (mia): la definizione di intelligenza che al momento mi convince di più è molto semplicemente la capacità di comportarsi in modo efficace in situazioni nuove.


domenica 9 marzo 2025

Isotopi del Carbonio e riscaldamento globale

Bisognerebbe avere sempre un atteggiamento critico nei confronti di qualunque argomento. In fondo questa è una banalità, ma praticarla non è affatto facile. Il rischio è sempre quello di prendere per buona una narrazione e farla propria perché ci piace, e senza ripensarla troppo, perché se pensare è faticoso ripensare può essere fatica sprecata. Questo potrebbe essere il caso dell'argomento riscaldamento globale, su cui il rischio è quello di avere due atteggiamenti opposti ed entrambi piuttosto irrazionali, che in fondo riflettono solo i nostri "gusti" e non hanno granché a che fare con la razionalità.

Rispetto al riscaldamento globale ci si dovrebbero fare due domande indipendenti:

1. Esiste il riscaldamento globale?
2. Se esiste, qual è la causa?

E due domande ausiliarie:

1. Una correlazione statistica è sufficiente?
2. Può essere individuata una causa ragionevole aldilà di una semplice correlazione?

E sarebbe bene tornare a ripensarle queste domande, vista la complessità dell'argomento. In questo caso non sarebbe fatica sprecata.

La prima domanda è ovviamente cruciale. Qui è importante fare uno sforzo per capire che si intende per riscaldamento globale. Si tratta di un progressivo aumento delle temperature medie del pianeta, e nient'altro. Detto ciò deve essere chiaro che questo fenomeno non è percepibile direttamente con i nostri sensi se non nelle sue conseguenze, che se ci sono vanno discusse a parte, e questo è tutt'altro che facile farlo. Il riscaldamento globale è un fenomeno che deve essere misurato accuratamente, è prima di tutto un fenomeno quantitativo. Per questo le fonti più affidabili sono i progetti di monitoraggio, in particolare quelli che usano reti di satelliti artificiali, come ad esempio il progetto europeo Copernicus.

Trovo che la seconda domanda del primo gruppo ("Se esiste, qual è la causa?") sia molto delicata e per la quale servono informazioni e momenti di riflessione. A partire dalla rivoluzione industriale fino ad oggi abbiamo registrato un crescente consumo di combustibili fossili. Questo è un fatto, ed è piuttosto ragionevole accettarlo. Contemporaneamente abbiamo i dati che ci dicono che nello stesso periodo si osserva una rapidissima crescita della CO2 atmosferica. Un semplice modello climatico, facilmente comprensibile a chiunque ci voglia perdere un po' di tempo, ci fa capire che poiché la CO2 atmosferica provoca un forte effetto serra, un maggior livello di CO2 produce fatalmente un aumento delle temperature medie globali (Attenzione: potrebbe non essere l'unico contributo, nè il più significativo, ad esempio nell'ambito dell'effetto serra i gas che possono contribuire, anche se in maniera minore rispetto alla CO2, sono più di uno; inoltre potrebbero esserci altre cause di riscaldamento globale, ad esempio cambiamenti nell'attività solare, che però non sembra mostrare correlazioni evidenti con il riscaldamento).

In questo ragionamento il punto debole è il rapporto causa-effetto tra l'aumento dei combustibili fossili, certamente attribuibili all'aumento delle attività industriale, e l'aumento della concentrazione di CO2 che, secondo il semplice modello climatico dell'effetto serra, contribuisce con ragionevole certezza in modo significativo all'aumento delle temperature medie del pianeta. Le fluttuazioni della concentrazione di CO2 nell'atmosfera ci sono sempre state nel passato, anche in assenza di attività industriali massicce, e possono dipendere da cause del tutto diverse. Questo significa che possiamo affermare che c’è una correlazione tra l’uso intensivo dei combustibili fossili e l’aumento della CO2 atmosferica, ma non possiamo sostenere con certezza una significativa relazione di causa-effetto tra i due eventi, cioè non possiamo così facilmente sostenere che i combustibili fossili siano stati la causa dominante di tale aumento. Qui entra in causa la prima delle due domande ausiliarie, che ci porta a cercare indizi e prove ragionevoli per rispondere anche alla seconda.

Gli indizi principali che si trovano facilmente in rete sono due, piuttosto convincenti. Il primo sembra essere la rapidità della crescita della concentrazione di CO2 registrata nel periodo che va dalla rivoluzione industriale ad oggi. Questa rapidità non ha eguali nelle serie di dati raccolte in periodi storici differenti. Si tratta di un comportamento anomalo e specifico di questo periodo.

Il secondo indizio è più sottile e anche più interessante. Giusto un po' più complicato da raccontare.

Gli atomi di carbonio esistono in natura sotto forma di 3 diversi isotopi: il carbonio di massa atomica 12 (12C), quello di massa 13 (13C) ed il carbonio 14 (14C). Le piante (ed anche i combustibili fossili che derivano da materiali di origine vegetale) hanno una composizione isotopica più povera di 13C rispetto alla CO2 atmosferica. Molte misure hanno messo in evidenza che la concentrazione di 13C nella CO2 atmosferica ha cominciato a calare, scendendo più rapidamente dal 1950 in poi. Questo ci suggerisce che la crescente presenza di CO2 in atmosfera è stata originata da sorgenti di origine vegetale (povere appunto di 13C). A questo si aggiunge che i combustibili fossili hanno una concentrazione dell'isotopo 14C praticamente nulla perché il tempo di formazione di un combustibile fossile (tipicamente maggiore di 1 milione di anni) è  molto più lungo rispetto al tempo di dimezzamento del 14C (che come si sa è un isotopo radioattivo, e per questo motivo è anche utilizzato nella datazione dei composti organici). Ma anche questo parametro è calato progressivamente dall'inizio dell'800 fino al 1950 circa. E' poi aumentato temporaneamente nel decennio successivo a causa dei numerosi test sulle armi nucleari realizzati nell’atmosfera. Il calo della concentrazione di 14C nell'atmosfera riprende a calare dopo il 1965 a seguito della moratoria sulle esplosioni nucleari all'aperto. 

In conclusione si può ragionevolmente ipotizzare che l’aumento della CO2 atmosferica è stato provocato da una sorgente di anidride carbonica particolarmente intensa e povera sia di 13C che di 14C. Si tratta quindi di una sorgente costituita da prodotti di origine vegetale, abbastanza antica per aver ormai esaurito la presenza del radiocarbonio. Le caratteristiche di questa ipotetica sorgente corrispondono proprio a quelle dei combustibili di origine fossile.

Da notare che questo indizio lascia anche pensare che il contributo dei combustibili fossili all'aumento di CO2 nell'atmosfera e al conseguente aumento delle temperature medie sul pianeta per effetto serra, sia il principale e probabilmente il più significativo, nel caso sempre possibile che ci possano essere altri contributi non ancora individuati.


giovedì 27 febbraio 2025

Antropoforming

A noi in fondo (alla maggior parte di noi) non interessa osservare e capire il mondo, vogliamo più che altro guardare noi stessi e usare il mondo per quello che ci serve, e per far questo siamo anche disposti a completare il mondo che non ci soddisfa con le nostre invenzioni e le nostre narrazioni. Il mondo è troppo complesso per cercare di capirlo, meglio inventarselo quando serve.

Il fatto è che ci vogliamo troppo bene, comprensibilmente.


lunedì 24 febbraio 2025

Sulla fotografia, e su altro

Ho fatto una vacanza in Islanda con un "gruppo scolastico fotografico" (messo tra virgolette perché la fotografia è stata il pretesto della vacanza e non viceversa). Io non ero compreso nel gruppo scolastico ma ho avuto modo in alcuni momenti di riflettere sulla fotografia in generale, come strumento di espressione.

Quello che facevamo, e che solitamente fa chiunque quando sta in vacanza, può essere definita fotografia turistica. L'obiettivo è in genere documentativo, si tratta di "riportare a casa" i posti visitati per averne un ricordo o, dopo l'avvento dei social, esibire i propri viaggi a tutti i propri contatti.

La foto però non è mai un puro e semplice documento oggettivo, e tra l'altro come documento oggettivo è anche piuttosto debole in quanto rappresenta una minima parte dell'esperienza vissuta (anche se spesso può rievocarla in modo abbastanza soddisfacente). Questo è anche il motivo per cui sfogliando le foto di vacanze sui social tutto quello che vediamo ci comunica delle vacanze praticamente perfette, una realtà che sappiamo bene non esistere.

La potenza espressiva della fotografia consiste probabilmente nella sua capacità di creare una realtà, di evocare stati d'animo o trovare una sintesi di una situazione attraverso le limitazioni imposte da un'immagine statica, in linea con l'idea generale che l'espressione artistica abbia sempre bisogno di muoversi all'interno di precisi vincoli. In altre parole una fotografia è di per sé una realtà che ci comunica qualcosa, e in questo senso si sottrae almeno in parte alla realtà più estesa a cui attinge e di cui non rappresenta mai un semplice documento. 

Nondimeno il mezzo tecnico fotografico ha la capacità di "catturare" una scena reale, di documentare un evento. In questo senso la fotografia si lega ad una realtà più di una qualunque altra forma di sintesi di immagini, da quelle più tradizionali a quelle più recenti e tecnologicamente avanzate.

Quindi la fotografia mette insieme la documentazione della realtà e la creazione di una realtà, peraltro legandole sempre in modo indissolubile e non rendendo mai troppo chiaro il passaggio dall'una all'altra. Se si guarda una qualunque fotografia bisognerebbe sempre tenere presente la sua capacità intrinseca di far convivere queste due cose, anche indipendentemente dalla volontà del suo autore.

Mi rendo conto che questo vale in modo analogo anche per diversi altri mezzi espressivi, o forse per tutti i mezzi di comunicazione. Forse sto parlando più in generale del difficile rapporto tra la realtà e le rappresentazioni che ne facciamo, che non coincidono mai la realtà stessa.


venerdì 7 febbraio 2025

L'incomprensibile nell'economia

Lo studio della fisica mi ha abituato a considerare molto spesso sistemi che evolvono nel tempo. Queste evoluzioni possono essere caratterizzate in molti modi. Ad esempio dalla scelta delle variabili e dal loro numero, dalla loro intrattabilità matematica, dal loro comportamento su lunghi tempi che influenza la nostra capacità di fare previsioni, ecc.

In un libro ho letto che dal punto di vista delle previsioni si possono presentare diverse situazioni: le leggi di evoluzione esistono e si conoscono; le leggi di evoluzione esistono e non si conoscono; non sappiamo se le leggi di evoluzione esistono. Un esempio tipico del primo caso sono le leggi del moto dei pianeti. Per il secondo caso si possono citare i terremoti, fenomeni che evolvono secondo le leggi note della teoria dell’elasticità, ma per i quali non conosciamo i dati di partenza, cioè la composizione dei materiali all’interno della terra.

Nell'ultimo caso ricadono più o meno tutti i fenomeni che riguardano l'economia. Per le evoluzioni dei processi economici possiamo anche individuare dei principi generali, ma non sappiamo mai se sono sufficienti, se prendono in considerazione tutte le variabili importanti, e soprattutto se sono sempre validi in tutto l'intervallo di evoluzione considerato (sufficientemente grande da essere significativo).

Lo stesso libro elenca delle regole generali di buon senso che possano rendere accettabile una predizione sull'evoluzione di un sistema. Ce ne sono alcune abbastanza ovvie, sebbene necessarie. Ma in particolare la quarta mette un po' in crisi la predicibilità dei processi economici. Recita così: "In una predizione accettabile chi è a conoscenza della predizione non deve poter in alcun modo influenzare il verificarsi della stessa".

E' abbastanza intuitivo pensare che il problema delle previsioni degli andamenti economici e finanziari (previsioni che a quanto sembra non riescono mai) sta proprio nel fatto che i processi sono quasi sempre "non stazionari", cioè evolvono secondo "leggi" che cambiano nel corso del tempo (e il cambiamento di queste leggi dipende da fatti del tutto contingenti) ad opera di interventi ed influenze che violano proprio la quarta regola citata sopra.

In questo senso lo studio dell'evoluzione dei processi economici mi sembra una questione sostanzialmente intrattabile e questo incide in maniera determinante sulle nostre capacità previsionali.


domenica 2 febbraio 2025

Le coincidenze (i destini) di Rigopiano

Nel bellissimo podcast di Pablo Trincia sul disastro di Rigopiano (avvenuto otto anni fa) ci sono due temi che accompagnano quasi costantemente la narrazione: le omissioni e i ritardi colpevoli di una serie di personaggi di vari uffici pubblici che suscitano una certa comprensibile rabbia in chi ascolta, e le coincidenze attorno all'evento, che hanno determinato la vita o la morte degli ospiti della struttura alberghiera investita dalla valanga. Queste ultime, come sempre succede, lasciano una forte impressione nell'ascoltatore.

Un'ospite che si salva perché un attimo prima si è accomodata su una certa sedia piuttosto che su un'altra o piuttosto che rimanere in piedi, un altro che è uscito fuori dall'albergo poco prima per togliere il ghiaccio dalla macchina, un dipendente che è entrato in uno stanzino chiuso e la valanga non l'ha neanche sentita e se ne è reso conto solo quando è riuscito a uscire dal cumulo di neve che si era formato. Ospiti che hanno rimandato il soggiorno a quella precisa data perché impegnati sul lavoro. Ospiti che hanno deciso all'ultimo momento di andare, senza neanche troppa convinzione, incoraggiati da qualche parente, o che al contrario hanno rinunciato all'ultimo momento. L'offerta del gestore dell'albergo di offrire un'ulteriore notte (quella che precede il giorno fatale) gratuitamente, visti i disagi causati dalla nevicata incessante. La decisione presa ad un certo punto (prima del disastro) di riunire tutti gli ospiti nella hall dell'albergo con le valige pronte in attesa degli spalaneve che avrebbero consentito di ripartire, facendo evacuare gli ambienti della spa che poi sono stati gli unici a rimanere praticamente intatti. E così via.

Le coincidenze lasciano sempre turbati, fanno sempre pensare al destino che accompagna ciascuno di noi nella vita, che ci ha dato appuntamento da sempre, qualcosa che è scritto, che ci aspetta inesorabilmente e che non possiamo evitare, sensazioni che ci rimandano alla nota canzone di Roberto Vecchioni (Samarcanda) o a racconti analoghi. Ma si tratta di eventi, che noi però pesiamo sulla base delle loro conseguenze. Siamo noi che proiettiamo significati sugli eventi naturali, siamo noi a selezionarli e a dare loro un significato. Tantissimi altri eventi ci passano davanti agli occhi senza nessuna conseguenza importante per noi e quindi non esistono, non fanno parte del gioco. Noi diamo un senso antropocentrico agli eventi del mondo.

NOTA: ho già scritto sul concetto di destino https://rodolfotrippetti.blogspot.com/2011/04/sul-concetto-di-destino.html


martedì 21 gennaio 2025

Alcaldeso

Si può pensare che usare i femminili inusuali sia solo un problema formale, non sostanziale. Si può essere pragmatici e dire che è più facile accettare i termini ereditati dalla tradizione, senza cercare complicazioni inutili, perché questi in fondo sono dettagli che rischiano di diventare atteggiamenti modaioli che addirittura sviano dalle questioni importanti. Si può perfino dire che il linguaggio è un codice, e che cambiarlo non è sostanziale.

Io penso che il linguaggio forma il pensiero e determina l'azione, sia quella personale che quella sociale. Il linguaggio naturale è il principale veicolo delle conoscenze e ha un ruolo fondamentale nella cultura di una società (altrimenti gli LLM attuali non farebbero così scalpore).

Quindi l'uso dei femminili non è affatto un aspetto secondario, trascurabile o addirittura fuorviante per la questione del ruolo della donna nella società. 

Ada Colau è stata, a partire dal 2015 e per due mandati consecutivi, la sindaca di Barcellona (in spagnolo alcaldesa). In un'intervista Ada Colau racconta un episodio carino e significativo. Il suo primogenito aveva 4 anni quando lei faceva la sindaca. Nello stesso periodo alla televisione spagnola davano un cartone animato di successo in cui tra i personaggi c'era una sindaca. Quando la sindaca è andata con tutta la famiglia in vacanza (lasciando il vicesindaco uomo a sostituirla) il bambino ha chiesto: "mamma, adesso farà lui l'alcaldeso?", cercando il termine maschile dal corrispondente femminile (il maschile corretto è alcalde) perché per lui il genere di riferimento per il ruolo di sindaco era sempre stato quello femminile.

 

sabato 11 gennaio 2025

Porta Santa, indulgenze e Purgatorio, roba per noi

Il 2025 è un anno giubilare, il Papa apre la Porta Santa in Vaticano e nelle altre tre basiliche romane maggiori. Durante l'anno Roma verrà raggiunta da circa tre milioni di pellegrini. Varcare la Porta Santa con un sincero pentimento dei propri peccati (già confessati e perdonati) procura al pellegrino la famosa indulgenza plenaria. E' possibile attraverso la preghiera e la partecipazione alle sante messe e ai riti della Chiesa Cattolica ottenere le indulgenze anche per i defunti. Tecnicamente "si chiama indulgenza plenaria quella che, secondo la dottrina cattolica, libera per intero dalla pena temporale dovuta per i peccati; indulgenza parziale quella che ne libera solo in parte". La pena temporale è quanto necessario per cancellare «l’impronta negativa che i peccati hanno lasciato nei nostri comportamenti e nei nostri pensieri», cioè lo stato di disordine e l'inclinazione a ricadere nel peccato che i comportamenti peccaminosi lasciano in noi. Questa impronta negativa va riparata attraverso un percorso penitenziale che può cominciare in vita e proseguire in tempo di morte. La purificazione finale delle anime dei defunti prima di accedere al Regno dei Cieli è detta Purgatorio.

Detto più brutalmente, e con un linguaggio inappropriato, le indulgenze sono "sconti di pena" in Purgatorio, parziali o totali, ottenibili per sé stessi o per i defunti.

La Chiesa Cattolica codifica il purgatorio con queste frasi: "Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo". "La Chiesa chiama purgatorio questa purificazione finale degli eletti, che è tutt'altra cosa dal castigo dei dannati. La Chiesa ha formulato la dottrina della fede relativa al purgatorio soprattutto nei Concili di Firenze e di Trento".

Lo storico Jaques Le Goff, nel suo libro L'invenzione del Purgatorio, sostiene la tesi che il Purgatorio, pur non essendo comparso all'improvviso, viene definito come luogo vero e proprio di condizione penitenziale, «terzo luogo dell’aldilà», intermedio fra il paradiso e l’inferno, solo intorno al 1200 come risultato di una lenta e progressiva maturazione legata a un insieme di cambiamenti intervenuti nelle credenze e nei comportamenti degli uomini del Medioevo. Questa invenzione da una parte fornirebbe un supporto ulteriore al potere della Chiesa, dall'altra accompagnerebbe una trasformazione che vede la progressiva formazione di una classe media nella gerarchia sociale, e le offre una "soluzione intermedia" anche nella vita spirituale. Secondo lo storico: "L’«invenzione» del purgatorio […] accrebbe in modo considerevole il potere sui morti [ma anche sul denaro dei vivi…] della Chiesa (che nel Duecento trasformò l’esistenza del purgatorio in dogma) in quanto, tramite i suffragi e le indulgenze che erano di sua pertinenza, essa estese all’aldilà del purgatorio un potere giurisdizionale che, in precedenza, era appartenuto soltanto a Dio". "Per gli uomini del Medioevo l’esistenza del Purgatorio accresceva le speranze di salvezza, dato che non tutto era definitivamente stabilito al momento della morte. Perfino per gli usurai, che fino ad allora erano irrimediabilmente condannati all'Inferno, inizia a profilarsi un aldilà meno cupo. Naturalmente vivere con tale speranza modifica radicalmente la prospettiva della vita quotidiana". "L'antica opposizione tra ricchi e poveri, potenti e deboli, inizia a modificarsi con l'emergere di una fascia intermedia. Nella gerarchia sociale, tra signori e sudditi, si profila la categoria dei borghesi".

Lo stesso Jaques Le Goff sottolinea che in quel periodo si definisce anche un immaginario fortemente evocativo e poetico del Purgatorio attraverso la Commedia dantesca: «Il Purgatorio di Dante rappresenta la conclusione sublime della lenta genesi del Purgatorio avvenuta nel corso del Medioevo».

Il primo Giubileo risale al 1300 (Bonifacio VIII) e ben presto le indulgenze che accorciano il tempo del purgatorio diventeranno merce di scambio tra Chiesa e fedeli tanto che questo sarà uno dei motivi principali delle 95 tesi di Lutero (1517) e della conseguente scissione protestante.

Quest'anno si apre il "Giubileo della Speranza", in una società costituita prevalentemente proprio da quella classe media (siamo noi) per cui è stato inventato il Purgatorio e le indulgenze, abituata ad ottenere facilmente quello di cui ha bisogno, ad esempio varcando la Porta Santa e poco altro. La Chiesa Cattolica in questo modo offre ai suoi presunti fedeli la Speranza, un sentimento umano che fa molto comodo a chi pretende di gestire il mondo spirituale e pure un po' quello materiale.

NOTA: sulla speranza e sulla sua ambiguità mi piace citare una dichiarazione di Mario Monicelli: "La speranza di cui parlate è una trappola, una brutta parola, non si deve usare. La speranza è una trappola inventata dai padroni. La speranza è quella di quelli che ti dicono che Dio .... state buoni, state zitti, pregate che avrete il vostro riscatto, la vostra ricompensa nell’aldilà. Intanto, perciò, adesso, state buoni: ci sarà un aldilà. Così dice questo: state buoni, tornate a casa. Sì siete dei precari, ma tanto fra 2 o 3 mesi vi riassumiamo ancora, vi daremo il posto. State buoni, andate a casa e .... stanno tutti buoni. Mai avere speranza! La speranza è una trappola, una cosa infame inventata da chi comanda".