venerdì 25 novembre 2022

Mia nonna e i suoi conigli

Mia nonna era una contadina. Era anche una brava casalinga, sapeva cucinare. Tra le cose che sapeva cucinare meglio c'era il coniglio, una carne abbastanza consumata in toscana. Del coniglio credo che riuscisse ad utilizzare tutto, compreso il cervello che faceva fritto, le frattaglie con cui faceva il battuto per il sugo e il fegato che usava per i crostini. Roba da leccarsi i baffi. Se non ricordo male usava in qualche modo anche la testa (dopo aver tolto gli occhi). La cosa non finiva lì, perché mia nonna i conigli che cucinava non li comprava, li allevava lei stessa in piccole gabbiette sistemate in un capanno vicino casa.

Governava i suoi conigli ogni giorno, cioè li nutriva e si prendeva cura di loro. Li faceva figliare, cioè riprodurre, mettendo i cuccioli appena nati in piccoli nidi fatti con l'ovatta, probabilmente per mantenerli in caldo. Per nutrirli si sobbarcava un lavoro che io ho sempre giudicato faticosissimo, rimaneva ore china nei prati di erba medica a falciare senza sosta con un fazzoletto in testa e riempiva balle incredibilmente grandi che si caricava sulla schiena per centinaia di metri prima di sistemarli sul tettuccio della vecchia cinquecento. Mia nonna pesava a dir tanto cinquanta chili, era un fascio di nervi.

La guardavo spesso mentre puliva le loro gabbiette, li sistemava separando i maschi dalle femmine, isolando le femmine con i cuccioli, facendo in modo che non si azzuffassero. E mentre faceva questo ci parlava, ci si arrabbiava perché non si facevano prendere, come se avesse a che fare con una classe di bambini irrequieti e un po' impauriti. Stava con loro, li controllava, li curava, li nutriva, li accompagnava per la loro breve vita. E poi li uccideva, uno a uno.

"Vado ad ammazzare il conigliolo", usciva di casa con un pezzo di filo di ferro, un pentolino, un recipiente più grande (tipicamente una bacinella) e un lungo coltello, che lei chiamava coltella (il coltello era la posata da tavola, la coltella era un arnese decisamente più grosso). Lo spettacolo non era censurato, i bambini potevano assistere, ovviamente senza intervenire. Apriva le gabbiette con cautela per non spaventare gli animali e spesso ne apriva più d'una perché per scegliere aveva spesso bisogno di palpeggiare per capire chi era più grasso. Questi controlli li faceva anche quando erano tutti intenti a mangiare i mazzi di erba medica fresca che gli portava, insieme ad altre cose (si, anche carote, quelle che non mangiavamo noi). Certe volte sapeva di dover scegliere certi soggetti in base alla loro età altrimenti invecchiavano e non erano più buoni. Nel fare queste operazioni parlava con loro per tranquillizzarli, in alcuni casi li carezzava per poi prenderli per le orecchie o per le zampe e tirarli via con uno strattone.

L'operazione era cruenta e oggi non saprei se riuscirei ad osservarla come facevo allora, visto che mi disturba un po' anche ricordarla. Prendeva l'animale per le zampe posteriori e lo faceva stare a testa in giù. Era importante che non si divincolasse e qualche soggetto faceva penare più degli altri. Con un bastone corto e tozzo fendeva due o tre colpi alla testa. Il coniglio sotto questi colpi aveva dei tremori e non so bene in che stato di coscienza si trovasse. Fatto sta che mia nonna una volta stabilito che i colpi avevano fatto il loro lavoro, sempre tenendo il coniglio in verticale per le zampe posteriori gli bloccava il collo a terra con lo stesso bastone (usando i piedi) e con uno strattone gli rompeva l'osso del collo. Fine.

Mi domandavo come avesse mai fatto ad imparare una roba del genere. Certe volte agli occhi dei bambini i grandi appaiono come dei semidei che sanno fare da sempre cose impensabili. Comunque io, relativamente a questa operazione, pur diventando grande, non sono mai succeduto a mia nonna nell'olimpo.

Consumata la parte drammatica, cominciava quella più tranquilla ma non meno impressionante: lo scuoiamento dell'animale. Sempre a testa in giù (dopo la rottura dell'osso del collo cominciava a sanguinare dal muso), appeso alla maniglia della porta all'ingresso delle gabbie tramite un filo di ferro (a questo serviva), la nonna faceva un taglio sulle zampe posteriori per poter cominciare da lì a prendere un lembo della pelliccia che tirava via a forza lungo tutto il corpo (qui si aiutava con il lungo coltello). L'animale scuoiato era incredibilmente più piccolo. A questo punto seguiva lo svuotamento delle interiora (e domande alla nonna "questo cos'è?" "e quest'altro?") che venivano riposte nel pentolino (a questo serviva) e infine il taglio della testa, anch'essa riposta nel pentolino. Il restante coniglio veniva posto nel recipiente grande e portato in casa dove avrebbe fatto presto la conoscenza del rosmarino e dell'olio buono.

Io non sono del tutto sicuro, ma ho la sensazione che tutto questo sia stato un grande insegnamento per me, per le mie idee sull'uomo e sulla natura.


domenica 30 ottobre 2022

Su certe cose sono un puritano

Non mi ricordo di aver mai fatto un regalo a mio figlio a valle di un suo buon risultato a scuola. Quello che mi sorprende è che sentirlo da altri mi procura un certo fastidio. Tutto sommato la cosa costituisce un'usanza abbastanza diffusa e dietro c'è un meccanismo che scatta abbastanza spontaneo in un genitore. Ma è proprio quel meccanismo che mi disturba. 

Forse i meccanismi sono addirittura due. Entrambi secondo me fuori luogo rispetto a quello che il ragazzo sta effettivamente facendo. Il primo è il "premio della gara", cioè a scuola hai ottenuto un certo punteggio, "ti sei piazzato bene" o anche "sei arrivato primo", ti meriti un trofeo, un segno tangibile della vittoria. Il secondo è forse ancora peggio, hai fatto bene quello che ti è stato chiesto quindi meriti un premio.

Entrambi questi meccanismi secondo il mio (strano) modo di vedere tolgono valore allo studio. Il primo gli dà un valore agonistico inappropriato (la vera meta da premiare è il piazzamento all'interno del contesto umano in cui ti trovi casualmente), il secondo addirittura puzza di addestramento (ti è stato assegnato un compito, l'hai svolto bene, ottieni un premio).

Mi rendo conto che tutto ciò non è niente di particolarmente grave, possono pure essere meccanismi che rientrano in possibili incentivi a studiare (forse non per tutti) o in riconoscimenti che addirittura possono aiutare i ragazzi dal punto di vista psicologico e della formazione del carattere (forse non tutti). Ma nel mio (strano) caso credo che questi atteggiamenti "tocchino" un qualche mio senso del sacro. Se c'è qualcosa che mi stimola in qualche misura un senso del sacro certamente una di queste cose è lo studio, inteso come costruzione personale e collettiva della conoscenza. E una cosa sacra non ha secondi fini, secondi obiettivi, mete precise da raggiungere al di fuori di essa, come lo sono i premi e le ricompense. Una cosa sacra è fine a sé stessa, basta da sola, altrimenti finisce per essere uno strumento di qualcosa o per qualcosa.

Questa visione è proprio da rompicoglioni e tremendamente pesante, ma ci ricasco ad ogni occasione, deve essere proprio un mio modo di vedere la cosa. Quindi non mi rimane che rivendicarla in questo mio diario di osservazioni personali. E come ciliegina sulla torta cito un episodio al limite del possibile, quasi incomprensibile, che può far scattare addirittura reazioni derisorie ma che secondo me rivela una grande nobiltà nel rifiutare drasticamente dei possibili (anche se non così gravi) secondi fini alla costruzione della conoscenza, conseguenza di un atteggiamento direi proprio sacrale nei suoi confronti, un atteggiamento quasi religioso.

Grigorij Jakovlevič Perel'man, un matematico di San Pietroburgo, dimostra la famosa Congettura di Poincaré, dopo un centinaio di anni dalla sua prima formulazione e dopo altrettanti anni di tentativi di dimostrazione da parte di schiere di matematici. Nonostante la risonanza del risultato che lo rende immediatamente famoso in tutto il mondo Perel'man rifiuta i premi più prestigiosi che gli vengono assegnati qualche anno dopo (il tempo necessario per le verifiche della dimostrazione da parte di specialisti nel campo). A seguito del rifiuto del premio da un milione di dollari assegnato dal Clay Mathematics Institute per aver risolto uno dei Millennium Problems pare che abbia commentato: "Se la dimostrazione è corretta, allora non c’è bisogno di altri riconoscimenti".


domenica 23 ottobre 2022

Due famiglie tipo

In questi decenni mi è sembrato di incontrare prevalentemente due tipologie di famiglia. Ovviamente quella che sto per fare è una feroce semplificazione, che estremizza una situazione con mille sfumature diverse (per fortuna).

La prima tipologia familiare è quella in cui uno dei due genitori o addirittura entrambi hanno un impiego pubblico. In questo nucleo normalmente si ha più tempo, si riesce a tornare a casa presto, si riesce ad andare a prendere i bambini a scuola, a portarli in palestra, in piscina, alle gare sportive, ecc. Una situazione che permette di ottenere un certo equilibrio e in cui le cose, nell'ambito familiare, riescono a marciare abbastanza bene. Probabilmente una tipologia che sta progressivamente scomparendo, vista la sempre più scarsa disponibilità di posti pubblici.

La seconda tipologia è quella in cui il "maschio alfa" ha da sempre puntato alla carriera e per farlo lavora 12 ore al giorno. Questo gli permette di portare a casa un buono stipendio e consente alla moglie di stare a casa o al più lavoricchiare con impieghi part-time, per periodi di tempo limitati, ecc. Anche questa è una situazione che ha un suo equilibrio, sebbene secondo me è molto meno adatta alla costruzione di un ambiente familiare sano ed equilibrato. E anche questa forse è una tipologia di famiglia che sta scomparendo (fortunatamente), mi sembra di incontrare più "vittime" di una ideologia iperproduttivista che "protagonisti".

Probabilmente è possibile tipizzare in questo modo la famiglia italiana, anche se con grande approssimazione, a causa delle fasi storiche che si sono succedute dal dopoguerra ad oggi. Il modello più funzionale di famiglia secondo me lo abbiamo avuto negli anni della crescita economica. Le donne erano ancora prevalentemente rappresentate con la "parannanza", ma il fatto significativo era che la famiglia poteva sostenersi senza troppi problemi con un solo normale stipendio. Questo fatto economico si sposava bene con la cultura della donna in casa e permetteva di costruire famiglie ben equilibrate, almeno fintantoché questa condizione della donna non veniva percepita come una insopportabile subordinazione.

L'emancipazione della donna ha cambiato le cose nella famiglia. Ma secondo me a cambiarle è stata soprattutto quella stessa crescita economica, che ha portato inevitabilmente a dei modelli di consumo sempre più insostenibili e sempre più necessari. Il risultato è stato che il monoreddito non era più un modello di famiglia sostenibile. Le donne hanno cominciato ad andare a lavorare per emanciparsi e per contribuire a supportare i livelli di consumo imposti dalla società. Questo cambiamento secondo me è ancora un problema non risolto.

L'emancipazione della donna, in realtà la sua necessità di essere soggetto attivo in tutti i sensi (sia soggetto produttivo che soggetto di consumo), ha portato ad un disequilibrio del nucleo familiare che a tutt'oggi costituisce molto spesso un problema, soprattutto perché al progressivo aumento della necessità di avere ricchezze private disponibili non ha fatto da contraltare un parallelo aumento delle ricchezze pubbliche disponibili, tutt'altro, vista anche la grande evasione fiscale e il livello di corruzione che negli anni è considerevolmente cresciuto. E la famiglia in questo quadro non ha avuto a disposizione strumenti di sostentamento che le permettessero di trovare una nuova forma di equilibrio, adeguati al suo vero benessere, che non può essere solo quello di avere dentro casa i più diffusi beni di consumo.

Le due tipologie di famiglie attuali di cui parlavo sono il riflesso di questa situazione. Da una parte l'impiego pubblico, cresciuto a dismisura negli anni della crescita economica a causa di meccanismi mafiosi e clientelari, fa ancora da cuscinetto a molte famiglie e gli regalano un modello di vita magari modesto (comunque in linea con la classe media) ma tutto sommato abbastanza in armonia con la sfera privata. Dall'altra l'esigenza sempre più pressante di produttività ha generato modelli culturali aberranti dove il lavoro è l'unico orizzonte possibile. In questa categoria si incontrano spesso le situazioni familiari più disarmoniche e difficili. Anzi, questi modelli non solo disarticolano la famiglia ma in molti casi la rendono proprio impossibile, soprattutto nella misura in cui entrambi i genitori pretendono di avere una vita professionale di questo tipo. Non a caso ho visto spesso negli anni persone single (ancora prevalentemente maschi) dedite alla professione, con la compagna da qualche parte, anche lei molto impegnata, e con il "tempo libero" occupato sempre e solo dalla cura della propria persona.

Ovviamente come ho già detto all'inizio la mia è una estremizzazione utile al discorso. Un in bocca al lupo a tutte le persone che (come me) si barcamenano in una delle tante vie di mezzo.


domenica 16 ottobre 2022

Atteggiamenti sinistri

Sembra che a seguito della sue sconfitta elettorale il PD, attualmente il più importante partito della sinistra in Italia, preveda in tempi brevi un congresso dove si parlerà, oltre che dello scontato cambio di segretario, addirittura dello scioglimento del partito. Probabilmente c'è da sperarlo. La crisi della rappresentanza politica di sinistra in Italia mi sembra arrivata ad un punto critico da cui forse potrebbe uscire solo con eventi traumatici.

In attesa di terremoti faccio un piccolo appunto a certi atteggiamenti un po' infantili, forse un po' inconsci ma secondo me anche diffusi che caratterizzano il pensiero di una parte dei tradizionali elettori del PD, e che nel loro piccolo reputo significativi e poco edificanti.

E' chiaro che si tratta di una pura sensazione non razionalizzata e non espressa in modo palese ma molte persone di sinistra secondo me reputano semplicemente di stare dalla parte "giusta". Forse addirittura dalla parte dei "buoni", contro il pericolo della destra, cioè evidentemente di una parte "sbagliata", o addirittura "cattiva". E' inevitabile osservare che un atteggiamento del genere rivela inconsapevolmente un pensiero fondamentalmente antidemocratico. La democrazia si sostiene con la dialettica di molti e diversi modi di pensare la società, tutti da ritenere legittimi e pertinenti nel dibattito politico se rimangono entro i limiti dei principi costituzionali. In un quadro del genere non può essere accettata la demonizzazione dell'avversario poiché contribuisce solo al degrado della politica. E' da notare che questo è praticamente quello che è avvenuto nell'ultima campagna elettorale (e non solo in quella), in cui il PD ha pensato bene di cavalcare proprio questo sentimento. Sono abbastanza sicuro che ciò faccia presa su un nocciolo duro di elettori della sinistra, oggi però in numero sempre minore.

Un altro strano sentimento che serpeggia negli elettori di sinistra e certamente utilizzato come un elemento di positiva distinzione è la convinzione che la sinistra sia costituita prevalentemente da persone colte, istruite, che hanno una buona preparazione, un buon livello di conoscenze. Questo al contrario della destra che invece alberga elementi perlopiù ignoranti, incolti, impreparati, non istruiti e in definitiva incoscienti. Anche in questo caso è inevitabile osservare che se questo fosse vero la sinistra non sarebbe altro che una elite culturale, non proprio quello che ci si aspetterebbe da una sinistra. Inoltre mi pare abbastanza ovvio che le persone più istruite, più colte e più preparate sono anche generalmente le più ricche, cosa che farebbe diventare la sinistra anche una elite economica. Insomma il contrario di quello che dovrebbe essere. Anche questo sentimento secondo me è stato ampiamente sfruttato durante la campagna elettorale, anche se forse in maniera un po' meno evidente.

Non che la destra italiana non abbia sentimenti criticabili, ma non è mio interesse scriverli in questo post.

NOTA: Pasolini ce l'avrebbe con noi, direbbe che discendiamo dalla piccola borghesia dei suoi anni, forse peggiorata da decenni di benessere e di capitalismo sviluppato. Direbbe che siamo portatori di una cultura falsa e ipocrita.

venerdì 7 ottobre 2022

Funerale

Si sa che il rapporto tra genitori e figli è molto particolare. Quando si è figli si vorrebbe che i genitori non morissero mai, che fossero sempre lì con noi. Ma quando si diventa genitori si scopre che l'ultima cosa che si vorrebbe è di sopravvivere ai nostri figli.

Nel nostro caso, il mio e quello dei miei fratelli, le cose per quanto riguarda mia madre sono andate piuttosto bene. Lei, fortuna nostra, è riuscita ad accompagnarci per tanti anni e poi, fortuna sua, ci ha lasciati tutti vivi, con un po' di cose ancora da fare.


martedì 4 ottobre 2022

Riconoscenza

Se dovessi dirlo semplicemente, direi che la mia mamma (che da oggi non c'è più) ci ha fatto crescere, me e i miei due fratelli, e lo ha fatto da sola. Sarebbe sufficiente dire questo.

Ma oggi voglio anche dire che nonostante i pochi soldi che ha avuto a disposizione mi ha sempre fatto studiare. Quando ho voluto studiare musica me lo ha fatto fare, mandandomi per anni a lezioni private. Non mi è stato utile professionalmente, ma è sempre rimasta una parte importante di me, anche quando ho deciso di smettere. Quando ho preso la decisione di studiare fisica all'università (roba difficile, impegnativa e per lei anche costosa) me lo ha fatto fare senza neanche poter entrare minimamente nel merito della scelta, avendo solo una vaga idea di quello che stavo facendo e di cosa ne potesse uscir fuori. Alla fine comunque ce l'ho fatta, non senza difficoltà. Anche in questo caso l'utilità professionale ed economica è stata relativamente scarsa, ma è sempre rimasta una parte importante di me, anche quando ho deciso di fare altro per vivere.

Mia madre con quattro soldi mi ha permesso comunque di costruire la mia personale conoscenza del mondo, attraverso lo studio di cose bellissime che lei non ha mai conosciuto neanche in parte e di cui non abbiamo mai potuto parlare. Oggi un po' di riconoscenza gliela devo. Prima che finisca questa dolorosa giornata.


sabato 10 settembre 2022

Salvare il pianeta

Si dice, giustamente, che i problemi ambientali con cui ci troviamo a dover combattere (il più importante, ma non l'unico, è ovviamente la questione del cambiamento climatico) sono anche il risultato di una cultura umana che considera l'ambiente naturale come una proprietà dell'uomo, una cosa a sua completa disposizione. Sotto questo punto di vista la trasformazione dell'ambiente a nostro uso e consumo è sempre stata implicitamente considerata perlopiù legittima. Il nostro vizio di considerarci sempre al centro di tutto è inguaribile, basta dare un'occhiata alle principali religioni che abbiamo (anzi, forse le religioni sono, almeno in parte, proprio una manifestazione di questo sentirsi sempre al centro di tutto).

Questo cozza sempre più con il fatto che l'ambiente naturale è anche il nostro "contenitore" e con il fatto che noi siamo sempre più numerosi, sempre più esigenti, sempre più invasivi. I problemi di ritorno introdotti da crescenti esigenze produttive si cominciano a far sentire in molti modi sempre più preoccupanti per l'ambiente che abitiamo e quindi per noi. E' un problema di ritorno, nel senso che noi ci distinguiamo dall'ambiente che ci ospita, quindi lo utilizziamo a nostro vantaggio, poi scopriamo che lo stiamo modificando in modo forse eccessivo, infine ci rendiamo conto che noi ci stiamo dentro e che, come qualsiasi altra specie, non abbiamo la possibilità di reagire in senso biologico (e forse neanche tecnologico) a modifiche ambientali così repentine. Come è successo più volte nella storia evolutiva della biosfera le trasformazioni ambientali più o meno drastiche, più o meno veloci, hanno prodotto estinzioni (anche molto importanti, vedi le famose estinzioni di massa documentate dai resti fossili).

La cosa curiosa è che spesso anche quegli atteggiamenti sensibili al problema e che denunciano la necessità di cambiare i nostri comportamenti non si affrancano da questa visione antropocentrica che probabilmente ha prodotto il problema, e usa espressioni romantiche come "salviamo il pianeta", salviamolo da questo schifo di specie che siamo noi (antropocentrismo al contrario). L'espressione "salviamo il pianeta" rivela un atteggiamento del tipo "il pianeta è cosa nostra, abbiamo su di lui una grande responsabilità, facciamo i buoni con lui, comportiamoci bene, salviamolo dal grande disastro che possiamo provocare". Trattiamo il pianeta come se fosse il nostro cane domestico, che ha bisogno di noi altrimenti non vive (anche questo in realtà è tutto da discutere), noi siamo il suo padrone e abbiamo delle responsabilità verso di lui.

Un giorno la nostra cultura incontrò quella degli indiani d'America, e sappiamo com'è finita. La nostra visione del pianeta era ben diversa dalla loro. Quelli che per noi erano territori di conquista per loro erano la terra di tutti, non solo umani. "La terra non appartiene all’uomo, è l’uomo che appartiene alla terra". I nativi americani vedevano tutti gli elementi naturali, loro compresi, come indissolubilmente collegati ad un unico destino. Tutti creati dalla Madre Terra e destinati a tornare ad essa. Tutti manifestazione del Grande Spirito. L'uomo una di queste infinite manifestazioni. “Un uomo non dovrebbe mai camminare con tanto impeto da lasciare tracce così profonde che il vento non le possa cancellare”.

Anche se l'incontro con loro è stato così violento, qualcosa della loro cultura ci sarà pure rimasto, e sarebbe certamente una ricchezza. E' difficile mantenere anche solo in parte questa loro visione del mondo, in questo nostro mondo. Però mi piacerebbe.