martedì 29 marzo 2022

Ennio

Qualche tempo fa ho visto il documentario di Giuseppe Tornatore che racconta la vita e le opere di Ennio Morricone, musicista che nella sua lunga carriera ha lavorato prevalentemente per il cinema. Il documentario è molto bello e nonostante la sua lunghezza (circa due ore e tre quarti) scorre molto bene, probabilmente per la grande e variegata produzione di Morricone che presenta. Poteva giusto forse risparmiarsi qualche minuto di troppo alla fine del documentario, dove si sconfina un po' su toni celebrativi.

La cosa che mi ha colpito di più è la parabola artistica di Morricone, raccontata molto bene. Una parabola fatta, tanto per semplificare, di tre spezzoni strettamente collegati tra loro, e caratterizzata da un comportamento del musicista sempre un po' schizofrenico nei confronti della musica.

Il primo periodo è quello della formazione accademica, peraltro fatta con uno dei massimi musicisti del primo novecento italiano, Goffredo Petrassi. Nella musica cosiddetta "colta" questo è il periodo della dodecafonia, della scuola di Darmstadt, della sperimentazione sui suoni e delle sue degenerazioni provocatorie (come ad esempio quelle di John Cage). Un bagaglio difficile, un po' astruso, certamente lontano dalla sensibilità musicale di gran parte del pubblico dell'epoca. Probabilmente però una formazione importante per Morricone, che gli ha fornito parecchi strumenti espressivi con cui ha potuto affrontare in modo molto originale e personale il suo secondo periodo, quello delle "canzonette", degli arrangiamenti delle canzoni che cominciano ad invadere il mercato musicale popolare italiano, e del suo lavoro in televisione. I suoi arrangiamenti erano particolarmente ricchi di idee, sia sul piano dell'orchestrazione che su quello della ricerca di suoni originali. La descrizione del collegamento tra questi due periodi apparentemente così diversi è uno degli elementi più interessanti e meglio riusciti del documentario.

Il terzo periodo è ovviamente il cinema. La musica da film viene sin da subito considerata dal musicista come un ripiego alla sua carriera, come un occuparsi di musica di secondo piano, di contorno, rispetto a quella che lui stesso chiamava "musica assoluta", coltivata prima nell'ambiente accademico che lo aveva formato e da cui non si è mai completamente sganciato, poi in autonomia e in alternativa all'unica musica per cui diventava sempre più famoso. Questa "schizofrenia musicale" ha caratterizzato per moltissimo tempo, tranne forse che nei suoi anni finali nei quali sembrava essersi dato pace, la vita artistica di Morricone.

Questo lato sofferto della personalità del musicista un po' lo capisco. Il problema è sempre lo stesso, e secondo me finisce spesso per presentarsi all'appassionato di musica. E' un problema che attiene strettamente alla natura di questa forma d'arte. La musica usa una grande quantità di informazione, organizzata anche in strutture complesse e difficili da percepire. Ma tutta questa informazione non significa niente, non "racconta" nulla. Un aspetto che può essere visto come un valore, o meglio si può pensare che il valore più specifico della musica sia proprio questo, che sia la sua caratteristica principale, ma più spesso (e dai più) viene percepito come una sua lacuna, qualcosa che la rende incompleta e che la obbliga a cercare la sua completezza in qualche altra forma di espressione a cui lei naturalmente si accoppia. Spesso un testo letterario, un'azione scenica, una forma di danza, e, da quando c'è il cinema, lo sfondo descrittivo e il trait d’union delle scene di un film. Probabilmente per un musicista con quella formazione così rigorosa e così concentrata sul linguaggio musicale (che tanto lo ha aiutato nella sua lunga carriera) la subordinazione evidente ad un'altra forma espressiva risultava forse umiliante e sicuramente poco rispettosa per la musica stessa, che andrebbe fruita come "assoluta" e non come "condimento".

Questa purezza o assolutezza probabilmente non esiste, o comunque è solo una delle tante facce della musica, che forse ha proprio il vantaggio di poter assumere sembianze differenti, porsi degli obiettivi diversi, legarsi ad altre arti, essere usata in tanti modi diversi, tutti legittimi e nobili al pari della cosiddetta "musica assoluta". Anche se questo non impedisce di fare delle gerarchie personali e per un appassionato (come me) la musica per la musica, sganciata da qualsiasi significato, rimane pur sempre la sua forma più stimolante e carica di forza espressiva.


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