domenica 13 marzo 2022

Il convento come società ideale (!?)

La nostra società è individualista, stimola la ricerca della ricchezza individuale o al più familiare, spinge all'egoismo, alla competizione, si aspetta una persona in grado di produrre e di consumare. In quest'ottica un povero nella nostra società è certamente un perdente e quasi automaticamente un emarginato. La nostra società fa l'equazione povero=infelice. Il povero per il fatto di esserlo fatica a sentirsi partecipe della società così come l'abbiamo costruita.

D'altra parte l'uomo è un animale sociale (questa frase l'ho già sentita). Più esattamente non credo che un individuo possa mai fare veramente a meno di una comunità, piccola o grande che sia. La solitudine è sana quando ha i suoi giusti tempi, quando si ha comunque una prospettiva di relazionarsi in qualche modo e in qualche momento con gli altri. Si nasce per forza di cose in una comunità di cui si ha strettamente bisogno per sopravvivere. La comunità si percepisce fin dall'inizio della propria vita come una condizione necessaria alla sopravvivenza.

Inoltre la povertà non è un concetto assoluto. Il povero che vive in una comunità solidale può essere molto più felice ed appagato nella sua esistenza quotidiana di quanto possa esserlo l'uomo individualista, egoista e solitario che ricaviamo dai nostri modelli sociali, quello che il vicino di casa non sa neanche chi sia, forse è pure meglio non saperlo (non si sa mai), poi non ha tempo per interessarsene e soprattutto non gliene frega niente andasse a cagare.

Ma pure dove l'individuo può ricevere il conforto di una comunità solidale, anche se in povertà, mancherebbe un ulteriore importante elemento di conforto: la vita terrena deve avere una controparte ultraterrena. Qualunque uomo, per quanto confortato da una vita equilibrata in una comunità che lo accoglie e lo riconosce, deve fare i conti con il carattere finito della sua esistenza. Ha bisogno di un elemento di conforto anche su questo piano.

C'è anche il fatto che l'istinto sociale è così forte che ce lo portiamo appresso anche nell'aldilà. Non mi pare di conoscere nessuna religione che dica, o semplicemente indichi, un'esistenza ultraterrena isolata. Non è neanche pensabile un'eternità come anime isolate. Il paradiso, qualunque paradiso, è sempre immaginato come una comunità.

Quindi un ambiente umano ideale dovrebbe garantire una comunità solidale con un livello di povertà che favorisca la solidarietà anziché la competitività e l'egoismo, e una visione del mondo che mitighi il dramma della morte con l'idea di una dimensione ultraterrena dove poter ricostruire in eterno quella stessa comunità.

In poche parole un convento.

Sarà per questo che le suore sviluppano tutte un ben riconoscibile sorriso soddisfatto e un po' ebete? (c'è qualcosa che non funziona...).


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