sabato 31 dicembre 2016

La sesta estinzione - Seconda parte

(leggi la prima parte ...)

L'idea sarebbe questa: con il suo eccezionale progresso scientifico e tecnologico, la sua fame di materie prime e di energia, i suoi livelli incontrollati di produzione e di consumo raggiunti nell'ultimo secolo (e la conseguente produzione di inquinanti), l'uomo sta cominciando a mettere in crisi l'equilibrio biologico del pianeta, anzitutto provocando l'estinzione di un numero significativo di specie viventi, con una velocità che non ha paragone con quella che può essere definita una fisiologica estinzione di fondo, e che deve essere quindi annoverata tra le estinzioni di massa. Nel passato estinzioni di massa ce ne sono già state, determinate da varie ragioni. In particolare se ne registrano 5 di grandi dimensioni, ed è il motivo per cui quella attuale viene definita "sesta estinzione". Questa idea ha generato a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso una ricca letteratura e attualmente si presenta come un vero e proprio tormentone (sulle televisioni, sui giornali, su Internet).

Anche i due libri che ho letto alla fine arrivano ad una conclusione simile ma passando per una serie di considerazioni interessanti che danno certamente più respiro al problema e gli conferiscono una dimensione diversa. La domanda che mi è parsa più significativa e che più o meno implicitamente entrambi i libri si pongono è la seguente: quando è cominciata la sesta estinzione? In che momento della nostra storia potremmo pensare di averla cominciata a scatenare?

La risposta mi è parsa altrettanto significativa: praticamente da subito, cioè da quando l'uomo fa l'uomo. Quantomeno da quando le nostre capacità migratorie e di specie colonizzatrice si sono manifestate in modo chiaro. La migrazione massiccia di una nuova specie su un habitat generalmente ne sconvolge l'equilibrio ecologico e questo invariabilmente produce un nuovo equilibrio in cui molte specie preesistenti non trovano più posto. Gli esempi sin dalla preistoria sono diversi: l'estinzione della megafauna dell'America settentrionale, un fenomeno analogo in Australia, la scomparsa di quasi il 50% di specie (perlopiù uccelli di grandi dimensioni) in Nuova Zelanda. Il denominatore comune di queste gravi estinzioni locali sembra essere proprio la presenza umana, con la sua attitudine alla caccia e alla modifica dell'ambiente. Il libro di Leakey dice: "Durante il Pleistocene molte regioni hanno subìto la perdita di specie animali di grossa taglia; tuttavia queste estinzioni hanno avuto luogo in tempi diversi. Nel caso dell'Australia, del Nord America, della Nuova Zelanda e del Madagascar, la perdita di specie coincise con la colonizzazione degli esseri umani. Le estinzioni furono causate dalla combinazione di un'eccessiva pressione venatoria con la distruzione dell'habitat".

Le grandi capacità migratorie della specie umana hanno anche, praticamente da sempre, generato forti squilibri negli ecosistemi con cui l'uomo entrava in contatto attraverso un meccanismo che di fatto può essere visto come connaturato alla migrazione stessa. Si tratta del trasporto forzato di specie da una parte all'altra del pianeta. Questi spostamenti di lungo raggio sarebbero impossibili per la maggior parte delle specie, e certamente non con la velocità consentita dal "vettore" umano. I meccanismi evolutivi e gli equilibri di un ambiente biologico sono fortemente condizionati dalle barriere geografiche, abbatterle significa causare in modo repentino situazioni alterate a cui molte specie non sanno rispondere se non con la propria estinzione. Per dirla come il libro di Kolbert: "Una delle caratteristiche che più colpiscono dell'Antropocene è il pasticcio che si combina con i principi della distribuzione geografica. [...] un'unica nave cisterna può annullare milioni di anni di separazione geografica". La Kolbert chiama questo fenomeno "la nuova Pangea".

Di nuovo Leakey nel suo libro ci dice: "La capacità della specie umana di infliggere devastazione al mondo naturale in termini di estinzioni significative venne per lungo tempo ritenuta un fenomeno storico relativamente recente", attribuendo alle generazioni precendenti la capacità di essere in armonia con la natura, anzi, di far parte di quella armonia. "Ma [... ] molte società pre-europee provavano esattamente gli stessi sentimenti verso i propri antenati". Probabilmente in qualunque epoca della nostra storia noi abbiamo pensato sempre di stare a rovinare un paradiso terrestre che in un qualche momento ci vedeva in armonia con il resto del creato, una situazione idilliaca che evidentemente non ci siamo meritati. La storia del pianeta ci dice che questo idillio non c'è mai stato, che l'armonia del creato è al massimo un equilibrio dinamico che può essere sconvolto in qualsiasi momento da fattori esterni o interni di varia natura, e che l'uomo, in questo suo essere "infestante" per molti degli ambienti naturali che via via ha colonizzato, appare anch'esso come un elemento naturale.

Manca forse qualche considerazione sulle responsabilità che abbiamo nella gestione del nostro futuro. Alla luce di quello che siamo veramente stati fino a questo momento.

Nessun commento: