domenica 6 luglio 2025

Ancora un orso cattivo

Giorni fa leggo di un ennesimo episodio di aggressione di un orso verso un essere umano. Ce ne sono stati altri nel passato che mi hanno suggerito dei post (qui e qui). Scopro però, leggendo l'articolo, che l'uomo si era avvicinato ad un'orsa con i cuccioli e avevo provato a darle da mangiare per filmarla (non sembra un'informazione certa). L'uomo è morto e l'orsa è stata abbattuta (e i cuccioli? Non si sa).

La grande bellezza della natura nasce da un misto di fascino e paura. Quasi tutti gli ambienti naturali selvaggi fanno questo effetto. Ho il sospetto però che l'abitudine ormai consolidata di avere immagini e filmati ci trasmette facilmente il fascino ma ci priva della paura (certo non si può avere paura di un filmato).

Io che mi trovo spesso sui social a vedere reel di gorilla, splendidi animali, in modo del tutto innocuo e senza percepire alcun pericolo, potrei forse avere l'istinto di avvicinarmi nel momento in cui me ne trovassi di fronte uno reale. Ammetto che, razionalmente parlando, sarebbe una cosa da pazzi ma forse è proprio questo il meccanismo che porta le persone a fare una cosa simile (cioè una cosa da pazzi).

Spero di non incontrare mai da solo un gorilla vero nel suo habitat (paura), anche se mi piacerebbe (fascino).


sabato 21 giugno 2025

Apprendimento supervisionato a scuola: il caso della matematica

È un po' bizzarro constatare che certi insegnamenti a scuola, uno su tutti quello tradizionale della matematica (ma non solo), procedono verso gli studenti in modo insolitamente analogo ad un addestramento supervisionato per IA.

Tipicamente nello studio della matematica a scuola si tende a condensare molto sulle questioni di teoria, si cerca di non farla troppo difficile, si enunciano risultati derivati da teoremi senza appesantire con l'analisi dei processi dimostrativi. Si arriva quindi a fornire lo studente di un bagaglio teorico minimo che si traduce in una serie di tool concettuali e di tecniche con cui si passa alla fase di addestramento allo scopo di impossessarsi di tali strumenti.

La fase di addestramento supervisionato consiste nell'eseguire un numero molto alto di esercizi sotto il continuo controllo delle soluzioni (etichettatura). In questa fase lo studente interiorizza i metodi di lavoro e opera (si spera) una generalizzazione che gli permetterà successivamente di affrontare qualunque esercizio nuovo, esterno al pool di addestramento.

Questa raggiunta capacità deve però essere testata, messa alla prova. E allora si organizza un secondo pool, di dimensioni ridotte e sconosciuto allo studente, senza etichette, per misurare le sue performance. Si organizza quella che in gergo scolastico si chiama "verifica". Il punteggio di questa performance finisce per definire il grado di abilità raggiunto e viene inserito nel registro elettronico dello studente.

Occorre controllare la durata della fase di addestramento, bilanciandola con la dimensione del pool fornito. Questo perché l'eccessivo lavoro sempre sugli stessi dati (esercizi) potrebbe generare fenomeni negativi di "overfitting". In questo caso l'apprendimento può arrivare ad essere troppo legato agli esercizi del pool di addestramento, il che potrebbe determinare una parziale incapacità di generalizzare l'abilità a risolvere esercizi nuovi esterni al pool di addestramento, in pratica lo studente vede troppe volte le stesse cose e tende ad imparare a memoria i passaggi matematici che vive in fase di addestramento, senza assimilarli veramente. Questo abbassa il livello di performance sulla verifica e il suo corrispondente punteggio nel registro elettronico.

Se lo studio di una materia così cruciale per la futura capacità di interpretare la complessa realtà che ci circonda viene ridotta ad un addestramento supervisionato, allora forse ci potrebbe essere un qualche rischio, in un futuro distopico, di soccombere alle macchine.


lunedì 16 giugno 2025

Problemi di divulgazione scientifica

In una chat in cui si parla di divulgazione scientifica e si riportano esperienze di questo tipo, un membro reduce da una lezione a scuola in cui si parlava di argomenti di astrofisica e forse cosmologia, riceve alla fine questa domanda da una studentessa che si era mostrata particolarmente interessata agli argomenti: "Io sono cristiana, lei davvero crede che l'evoluzione ci sia stata? Non è in contraddizione con quanto dice la Bibbia?".

La risposta del relatore non poteva che essere un po' vaga, difficile prendere di petto un'osservazione del genere. Io rimango colpito dalla situazione e in chat mi getto in una risposta articolata che fa così: 

L'evoluzione è un'evidenza scientifica, un modello teorico corroborato da innumerevoli riscontri sperimentali e osservativi, a tutte le scale del vivente. Non è una questione di crederci o meno, non è una credenza. Peraltro è attualmente il framework su cui si articolano tutte le conoscenze della biologia moderna. Uno scienziato diceva “Niente in biologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione” (Dobzhansky). Se poi si parla di fede il discorso si trasferisce in un piano completamente diverso. Giorgio Parisi da qualche parte ha scritto che la scienza cerca di spiegare il mondo con le cose del mondo, la fede cerca di spiegarlo con cose che lo trascendono. I due domini sono completamente diversi. Se infine si parla di istinto religioso (o sentimento religioso) quello è ancora un'altra cosa ed è proprio anche dell'atteggiamento di uno scienziato. Si tratta di un comportamento evolutivo. Riconoscersi un istinto religioso non significa essere necessariamente credenti, soprattutto se questo significa abbracciare una fede, una religione, una dottrina, ecc.

Ma il punto importante di tutto questo sproloquio alla fine è che si deve ammettere che la domanda della ragazza era completamente sbagliata anche per come veniva posta. Confondeva piani affatto diversi, dimostrando che nonostante tutto il suo interesse per gli argomenti trattati il suo modo di pensare era di fatto alieno alla scienza. E' questo tipo di cose che mi fanno pensare che avere delle nozioni scientifiche non garantisce una cultura scientifica, purtroppo. E' anche il motivo per cui penso che la divulgazione scientifica, e in generale l'educazione scientifica, anche quella impartita nelle scuole, è veramente roba difficile.

Credo che nell'educazione alla conoscenza scientifica si debba sempre evitare di raccontare quante cose sappiamo, e puntare invece su come siamo arrivati a saperle. Perché la cultura scientifica non sta nel prodotto finale (quello che sappiamo e che possiamo raccontare in qualsiasi momento come una storiella) ma nei processi di costruzione della conoscenza.


 

giovedì 12 giugno 2025

Referendum senza quorum

All'indomani del referendum che poneva quattro quesiti sul lavoro e uno sulla cittadinanza, leggo che l'affluenza è stata del 30% e sul quesito sulla cittadinanza il 35% dei votanti ha scelto il no (sugli altri quesiti hanno votato no il 12-14% dei votanti). Mentre torno a casa dall'ufficio ripenso a questa cosa e, nel parcheggio sotto casa, scrivo quello che la sera, dopo qualche ritocco decido di pubblicare su Facebook. Il testo è questo:

"Peccato soprattutto per il quesito sulla cittadinanza. Perché significa che forse per la maggioranza di noi l'integrazione non è un valore, anzi, forse è un problema.

Perché significa che forse per molti di noi la cittadinanza è un merito, e non un diritto (noi, che la cittadinanza ce l'abbiamo senza mai averla meritata, semplicemente perché non è un merito).

Perché significa che se una piccola minoranza di persone che vivono insieme a noi ha problemi per non avere la cittadinanza, e noi potevamo in parte risorvergli il problema con un semplice referendum, ce ne siamo disinteressati, non l'abbiamo visto come un problema anche nostro.

Perché forse una parte di noi non è andato al seggio per compiacere la maggioranza che aveva votato, ignorando di farlo sulla pelle delle persone più deboli (e che dire di tutti quelli che proprio a questo quesito sono andati per votare no?).

Tutto questo per me è un segno di inciviltà, non trovo altra modo per definirlo.
Un referendum senza quorum e senza cuore. E diciamola tutta, anche senza cervello."

Oggi mi rendo conto che l'ultima frase, aggiunta poco prima della pubblicazione, è forse la più azzeccata. Non si tratta di avere cuore, non credo sia quello il problema, anzi, se per cuore si intende un misto di sentimenti, emozioni e paure forse è proprio quello che dovremmo evitare. Si tratta più di avere cervello, inteso come razionalità, capacità di vedere, analizzare e valutare i problemi, senza pregiudizi, quella qualità che ci tiene coi piedi per terra, dentro la realtà. 

Un post scriptum sui quesiti sul lavoro:

Mi sembrava ci fosse una differenza significativa tra il quesito sulla cittadinanza e quelli sul lavoro. Il primo piuttosto chiaro sia nelle sue motivazioni che nelle sue conseguenze, gli altri molto meno valutabili da un cittadino medio, soprattutto nelle loro conseguenze, chiare solo quando venivano opportunamente semplificate a parole dai suoi promotori. Ma non è questo che mi aspetto da un quesito referendario. La mediazione dei promotori per capire un problema sollevato da un referendum altrimenti difficilmente valutabile è una cosa che non mi convince.

Mi viene anche il dubbio che l'eccesso di tecnicismi incomprensibili e non valutabili esattamente da un cittadino medio è una minaccia al valore delle conoscenze e competenze, come valutare una malattia e le sue conseguenze, o un trattamento sanitario (vedi vaccini) senza essere un addetto ai lavori. Delegare cose incomprensibili alla cittadinanza rischia di essere una forma di populismo, quantomeno una strumentalizzazione.


domenica 25 maggio 2025

Scuola e ChatGPT

Gli strumenti di intelligenza artificiale generativa sono ormai inevitabilmente su tutti i nostri smartphone. Nelle mani ormai di soggetti di qualunque età. Sarebbe il caso di discutere pubblicamente la gestione dell'altrettanto inevitabile interazione tra questi strumenti e la scuola, di ogni ordine e grado.

Io penso che il problema vada prima di tutto diviso per fasce di età. Nella scuola primaria e in quella secondaria inferiore l'uso dei tool di IA dovrebbe forse essere totalmente escluso, e soprattutto credo che fino a quella età la cosa sia ancora abbastanza possibile. Nella secondaria superiore non solo l'esclusione dell'interazione con questi strumenti non può essere del tutto evitata ma forse non è neanche positivo che lo sia. Piuttosto il loro utilizzo dovrebbe essere discusso in classe, spiegato per quanto possibile, analizzato nelle sue potenzialità e nei suoi problemi, per poi essere in generale fortemente limitato nel lavoro scolastico, ma con la consapevolezza dei ragazzi e sperabilmente anche la con la loro collaborazione. Infine a livello universitario l'uso di questi strumenti è ovviamente libero e sotto la responsabilità dello studente, che a questo punto dovrebbe aver maturato il giusto grado di consapevolezza.

Rimane il fatto che, dal punto di vista didattico, e a qualunque età, l'uso di strumenti di IA, ha delle chiare controindicazioni:

  1. Generano un eccessiva fiducia nelle spiegazioni che forniscono ("effetto oracolo").
  2. Possono dare risposte parzialmente false.
  3. Il loro addestramento è sotto il controllo delle big tech.
  4. Tendono a far escludere l'importanza della pluralità delle fonti nello studio.
  5. Possono impigrire l'utilizzatore (effetto anche psicologico).

La cosa estremamente importante è la seguente: non è pensabile censurare completamente l'uso di questi strumenti in ambito scolastico, sarebbe equivalente a crescere una generazione di cittadini fuori dal contesto reale e complesso delle società future, quelle in cui si troveranno a vivere.

L'altra cosa estremamente importante è la seguente: è rischioso lasciare i ragazzi in età formativa accedere a questi strumenti senza una preparazione adeguata, senza aver sviluppato verso di essi un adeguato atteggiamento critico; il rischio è quello di non riuscire a sviluppare la necessaria libertà di pensiero nei confronti di tecnologie così complesse.

In particolare è importante di fronte a queste tecnologie cambiare quell'atteggiamento nei confronti dei computer che ci accompagna ormai da qualche generazione. Il computer è da sempre immaginato (e usato) come una macchina perfetta e deterministica, e fino ad oggi questa immagine era adeguata. Ma i modelli di intelligenza artificiale sacrificano la perfezione e si espongono all'errore per poter avere la giusta flessibilità rispetto ai compiti che devono svolgere, per poter aggiustare il tiro, per poter imparare.

Se sto davanti a un chatbot di IA devo essere consapevole che lui non è progettato per dare risposte vere e affidabili, bensì per dare sempre risposte plausibili. E questo può rendere il rapporto con esso difficile, perché con una certa probabilità posso ottenere da lui risposte false (allucinazioni) ma perfettamente plausibili. Il mio compito è quello di mantenere un atteggiamento di continua verifica di questa plausibilità, con azioni che possono essere faticose ma necessarie.

Si tratta in fondo di passare dall'immaginare di avere davanti una macchina perfetta (il computer, come lo abbiamo finora conosciuto) all'immaginare di avere davanti una cosa che in fondo assomiglia un po' di più ad un essere umano, da cui è scontato che non ci aspettiamo mai la perfezione, neanche se ci fidiamo.

Questi ultimi sono i temi della formazione su cui sarebbe importante lavorare.


domenica 18 maggio 2025

Sciatalgia

Sono due settimane che soffro di una sciatalgia che non mi dà tregua. Il dolore sordo mi accompagna costantemente giorno e notte, cambia di tanto in tanto sia in diffusione sulla gamba sinistra sia in intensità, ma non molla mai. Una prova psicofisica pesante. La causa primaria è una doppia protrusione con piccola ernia nelle vertebre lombosacrali, messe in evidenza ormai sette anni fa con una risonanza magnetica, ma i sintomi erano già presenti ben prima.

Il trattamento di "manutenzione" che faccio già da diversi anni consiste in infiltrazioni periodiche di ossigeno-ozono, che agiscono direttamente sulla parte e dovrebbero impedire o contenere ulteriori schiacciamenti. Esiste però in alcuni sfortunati casi un "punto di non ritorno", che consiste nell'infiammazione della radice del nervo sciatico a causa della pressione delle vertebre su di esso, che progressivamente e inesorabilmente si irradia a tutta la gamba sotto forma di dolore acuto, bruciore, formicolii e perdita della sensibilità. Credo che il trattamento che faccio regolarmente mi abbia preservato da questi episodi (almeno credo), che fortunatamente fino a questo momento sono stati abbastanza rari e piuttosto contenuti. Ma non questa volta.

Sono sotto terapia farmacologica iniettiva con un cocktail di cortisone e anti-infiammatori che dovrebbero quantomeno far passare il dolore, ma pare che non ci sia al momento un miglioramento così evidente, il dolore a fasi alterne è sempre al suo posto. Sono alla fine della terapia prevista e sto scrivendo questo post alle due di notte perché non riesco a dormire.

Un'ultima cartuccia, cominciata a sparare questa mattina, è quella della fisioterapia. Trattamento al momento molto doloroso ma che non ha sortito un risultato immediato, non c'era da sperarlo, mi aspettano diverse sedute.

Non so bene che altro potrei fare, tengo informato il mio medico e attendo istruzioni. Nel frattempo non riesco a lavorare, faccio fatica a mantenere qualsiasi posizione, comprese quella seduta e quella sdraiata.

Penso che questa sia una delle tante condizioni di salute esasperanti che rischiano sempre di alimentare forme di pseudoscienza. Il mal di schiena ha spesso sviluppi ed effetti collaterali particolarmente fastidiosi, poco tollerabili, e soprattutto non sembra avere una soluzione univoca efficace. Su di esso esiste una vera e propria letteratura popolare, fatta dei rimedi più disparati. Parlando con le persone vengono fuori storie personali molto eterogenee e soluzioni altrettanto varie.

Indubbiamente queste condizioni di salute, anche a carattere cronico, prive di terapie veramente risolutive, portano il soggetto ad accettare un ventaglio di possibili soluzioni che razionalmente e in una situazione diversa non prenderebbe neanche in considerazione. Per usare un'iperbole, se in questi giorni qualcuno mi avesse proposto uno sciamano di sua conoscenza ("a mio cugino l'ha guarito") credo che almeno per dieci secondi avrei preso in considerazione la cosa.

Il sottobosco di pseudoscienze che si creano in campo medico cresce soprattutto su patologie come questa che non hanno purtroppo una gestione efficace. Le potremmo chiamare malattie incurabili, patologie croniche.

Torno a provare a dormire, senza troppe speranze, sognando uno sciamano.


lunedì 7 aprile 2025

Socrate e Confucio, imparare e spiegare

Ci sono due frasi molto note che, pur riferendosi entrambe allo stesso soggetto, la conoscenza, sono tra loro complementari (almeno io le vedo così), ed entrambe si associano secondo me a due verbi altrettanto complementari che si riferiscono alla costruzione di questa conoscenza: imparare e spiegare. La prima è la famosa frase di Socrate: “È sapiente solo chi sa di non sapere, non chi s'illude di sapere e ignora così perfino la sua stessa ignoranza”, citata più frequentemente come "io so di non sapere". La seconda è un po' meno famosa ma altrettanto interessante e dovuta a Confucio: "Sapere che sai quando sai e sapere che non sai quando non sai, questa è la vera conoscenza". Certamente si somigliano, ma è chiaro che non hanno lo stesso significato.

Mi pare che la frase di Socrate sia quella che meglio descrive l'atteggiamento di chi impara. Per imparare occorre prima di tutto essere consapevoli di "sapere di non sapere", diversamente si potrebbe avere la presunzione di sapere, o di sapere già quanto basta, da cui discende inevitabilmente un atteggiamento refrattario ad imparare cose nuove, una rinuncia ad essere curioso di fronte alle tante cose ignote del mondo. La voglia di mostrare di essere "saputo" supera la voglia di essere sapiente.

La frase di Confucio invece la vedo più vicina all'atteggiamento di chi spiega. Perché credo che spiegare significhi prima di tutto rivelare a sé stesso quanto si sa e quanto non si sa di quello che si sta spiegando (questa è anche la parte divertente). Significa riflettere sulla propria conoscenza e scoprirne i limiti. Significa tracciare il bordo della propria conoscenza delle cose. Questo tra l'altro permette di capire meglio in che direzione ci si vuole muovere per imparare altre cose o per imparare meglio le cose che in parte già si sanno.

Socrate ci esorta a trovare l'atteggiamento giusto per imparare cose nuove, Confucio ci esorta ad essere sempre consapevoli di quello che sappiamo e che non sappiamo. Insieme ci suggeriscono il percorso verso la conoscenza.