martedì 21 ottobre 2025

Il solletico e la coscienza

Il prof. Giorgio Vallortigara, neuroscienziato, in un suo libro e in alcuni video presenti in rete, racconta la questione della doppia provincia dei sensi e il suo legame con la coscienza. Per doppia provincia dei sensi si intende la nostra (e non solo nostra) capacità di percepire due diversi tipi di sensazioni, quelle autoprodotte dai nostri movimenti volontari, e quelle esterne, che non dipendono da noi ma dal mondo esterno. Due esempi sono particolarmente istruttivi.

L'esempio della talpa. Se tocco una talpa con un dito questa si ritrae per paura di un'azione predatoria. Quella stessa sensazione tattile si ripresenta sempre ogni qualvolta la talpa striscia dentro la terra, ma in questo caso non se ne preoccupa. Perché? Come fa a distinguere? La distingue perché nel primo caso la stimolazione tattile è passiva mentre nel secondo caso è provocata dal suo stesso movimento. La talpa distingue tra quel che accade a me e quel che accade al di fuori, nel mondo.

L'esempio del solletico. Normalmente non riusciamo a farci il solletico da soli, per provare il solletico deve essere qualcun altro a farcelo. Ovviamente anche in questo caso la differenza nel nostro comportamento è determinata dalla nostra capacità di distinguere una sensazione provocata da uno stimolo autoindotto rispetto alla stessa sensazione provocata da un agente esterno a noi.

L'ipotesi fisiologica che è stata fatta è che probabilmente quando agiamo mandiamo uno stimolo al sistema nervoso e contemporaneamente un secondo stimolo identico per avvisarlo che la sensazione che stiamo per provare è provocata da noi stessi e non da qualche elemento esterno che non controlliamo. Questo secondo stimolo "annulla" in un certo senso il primo e ci fa capire che la sensazione è causata da noi stessi. Il meccanismo descritto viene chiamato copia efferente. Si tratta più precisamente di una copia interna di un segnale motorio che viene generata dal cervello e inviata al sistema sensoriale. Ciò permette al cervello di confrontare il movimento atteso con il movimento effettivamente prodotto, permettendo di anticipare gli effetti di un'azione, di correggere i movimenti e di distinguere tra percezioni autogenerate e stimoli esterni, rendendo la percezione stabile e coerente.

E' importante anche osservare che alcuni disturbi della schizofrenia potrebbero derivare da un non corretto meccanismo di copia efferente del soggetto, che in certe situazioni non è più in grado di distinguere una stimolazione auto-provocata da una del tutto passiva, cioè non è in grado di distinguere sé stesso dal mondo esterno. In alcuni casi lo schizofrenico può arrivare a non esser capace di distinguere i propri pensieri come prodotti da sé stesso. Alcuni schizofrenici sono in grado di farsi il solletico da soli.

Da qui nasce la distinzione tra creatura intelligente e creatura cosciente. Non è detto che si provi qualcosa ad essere quella creatura, anche in presenza di comportamenti complessi e intelligenti.

Nel caso della nascente IA, possiamo chiederci: in che modo una macchina oltre ad essere intelligente può essere anche cosciente? Evidentemente, per quanto detto, bisogna che questa macchina "abbia un corpo" e che si muova attivamente in un mondo esterno, e che sia capace di distinguere questo mondo esterno da sé stessa. Se si muove nel mondo incontra anche lei il problema della talpa, il problema della doppia provincia dei sensi, il problema della distinzione tra sensazione e percezione.


domenica 12 ottobre 2025

Nobel Prize in Physics 2025

La notizia di questo premio Nobel mi è arrivata dalla pagina Facebook di un professore di Fisica di Roma, ormai in pensione, che seguo sul social. Mi era capitato ai tempi dei miei studi di imbattermi in questo professore, allora piuttosto giovane. Era successo poco dopo la mia laurea, e il mio relatore mi ci fece parlare. Questo professore stava cercando di mettere in piedi una ricerca sperimentale sulle cosiddette giunzioni Josephson, delle giunzioni superconduttive che venivano usate come elemento elettronico di circuiti detti SQUID (Superconducting Quantum Interference Device). L'obiettivo era quello di mettere in evidenza la possibilità di misurare stati quantistici macroscopici, cioè di mostrare che i comportamenti quantistici possono caratterizzare anche oggetti di scala macroscopica. La questione aveva e ha tuttora un certo fascino. Quando è che i sistemi di atomi, in cui funziona bene la meccanica quantistica, diventano sistemi in cui gli effetti quantistici non sono più osservabili e la teoria che funziona bene è la meccanica classica? Quando avviene e come avviene il passaggio dal mondo microscopico al mondo macroscopico?

Io all'epoca non avevo più fiato per andare avanti, né una situazione economica che mi potesse far stare tranquillo. Fui invitato ad una conferenza introduttiva in cui il professore parlava un po' emozionato davanti ad una prima fila di veterani delle teorie quantistiche (in particolare mi ricordo un Marcello Cini un po' scettico sulla questione), mentre io e qualche altro ragazzo stavamo nelle retrovie ad ascoltare. Alla fine non accettai la proposta, anche perché comportava di vincere il dottorato, cosa non facile al primo tentativo (e forse manco al secondo), e io mi ero dato un termine concreto, non me la sentivo di imbarcarmi in una cosa così potenzialmente lunga e incerta. Peccato.

Quando ho letto la notizia del Nobel di quest'anno mi sono accorto che il mio professore quell'idea l'aveva presa da un risultato simile che era già stato raggiunto dai tre scienziati premiati, intorno alla metà degli anni ottanta (pochi anni prima). L'argomento all'epoca evidentemente era ancora più caldo e ambizioso di quanto avessi pensato. Non sono in grado di dire se il mio professore avesse in mente semplicemente di ripetere in modo simile l'esperimento dei tre premi Nobel, ricordo che mi parlava dei circuiti SQUID come di dispositivi dalle promettenti applicazioni pratiche, soprattutto per via della loro capacità di registrare variazioni di campo magnetico estremamente deboli. Per quanto ne so oggi (anche leggendo articoli sui tre Nobel) questi componenti elettronici sono spesso utilizzati per realizzare i prototipi attuali di un certo tipo di computer quantistici.

Grande Fisica! (come diceva spesso il mio simpatico relatore ogni volta che ci veniva bene qualcosa).


domenica 5 ottobre 2025

Jane Goodall

Conoscevo questa scienziata che studiava il comportamento degli scimpanzè da alcuni post incontrati sui social, uno dei quali la mostrava mentre veniva abbracciata da uno scimpanzè che stava per essere liberato nella foresta, e la confondevo ogni tanto con Dian Fossey, che invece studiava i gorilla (famosa pure per un film del 1988, tratto dal suo libro Gorilla nella nebbia). La sua recente scomparsa ha riempito la mia bolla social di post su di lei, e questo mi ha incuriosito. Ho deciso quindi di ascoltare il podcast di Radio3 Scienza uscito all'indomani della morte.

Il podcast, interessantissimo, la presenta come un gigante del pensiero scientifico moderno. Stephen Jay Gould, famoso biologo evoluzionista, considera i suoi lavori tra i più importanti risultati scientifici del XX secolo. Ad esempio la classica scoperta, raccontata in tantissimi documentari sugli animali, che gli scimpanzè sono in grado di usare dei bastoncini per estrarre formiche e termiti dalle loro tane per cibarsene è il risultato delle sue osservazioni. L'importanza di questa scoperta è effettivamente notevole, dal momento che testimonia che gli scimpanzè sono in grado di vedere in un ramoscello un possibile strumento e di modificarlo (togliere le foglie, togliere l'estremità troppo flessibile e leggera) al fine di ricavarne un utensile da poter utilizzare ad uno scopo ben preciso. In pratica questa osservazione dimostra che i primati non umani sono in grado di sviluppare una tecnologia e ci costringe ad ammettere che la costruzione di utensili non può essere considerata una prerogativa dell'uomo, come si pensava prima di questi studi.

Jane Goodall passava lunghi periodi appostandosi immobile sempre nello stesso punto della foresta per farsi accettare dalla comunità degli scimpanzè e poterli osservare indisturbata nei loro comportamenti abituali. Questo studio sistematico ha consentito di vedere analogie tra scimpanzè e umani che fino ad allora erano impensabili. Non solo la produzione di utensili ma anche la capacità di trasmettere ai simili questa abilità, cioè in pratica la capacità di avere una cultura. Anche la scoperta che gruppi di scimpanzè potevano farsi la guerra ce li ha ulteriormente avvicinati (purtroppo).

E' chiaro che questi risultati hanno contribuito anche a modificare il nostro pensiero filosofico sull'uomo e sulla natura, ad aumentare la nostra sensibilità ecologista e ad intendere il concetto di biodiversità come patrimonio, argomenti su cui la Goodall ha speso parecchio del suo tempo soprattutto in vecchiaia, attraverso conferenze tenute con grande frequenza in tutto il mondo che hanno reso la scienziata un'icona dell'etologia e un modello per le generazioni successive.

Una cosa che mi ha colpito riguarda il fatto che Jane Goodall non nasce come accademica, non ha almeno inizialmente una carriera ortodossa, comincia a 26 anni uno studio sistematico delle comunità degli scimpanzè del Parco Nazionale del Gombo in Tanzania senza avere alcun titolo specifico. Questo le ha permesso di avere una visione alternativa e più feconda a quella del mondo accademico dell'epoca, le ha permesso di intraprendere strade differenti e di approdare a nuove conoscenze più facilmente. Una circostanza non così nuova nella storia che secondo me in qualche modo mette in risalto il processo di costruzione della conoscenza tipico del pensiero scientifico. Ad esempio penso a Galilei e ai suoi problemi con il mondo accademico dell'epoca, irrigidito nella filosofia aristotelica e incapace di sottoporla a quell'analisi critica che è sempre la condizione che fa nascere nuova conoscenza.

Ho anche imparato che Goodall era una delle tre scienziate reclutate da Louis Leakey, famoso paleontologo degli anni sessanta, per lo studio del comportamento delle tre più importanti scimmie antropomorfe. Note come le Leakey's Angels, erano Jane Goodall per lo studio degli scimpanzè, Dian Fossey per lo studio dei Gorilla, Birutė Galdikas per lo studio degli Oranghi.


 

martedì 30 settembre 2025

Lo strano caso dello smartphone a scuola

All'inizio dell'anno scolastico il ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara ha diffuso una circolare per vietare l’uso dei cellulari anche nelle scuole superiori. Il divieto sarà valido durante tutto l’orario scolastico, anche per scopi didattici. Sarà ammesso solo nelle ore di tecnologia. Valditara ha citato studi dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) che evidenziano gli effetti negativi dell’utilizzo dello smartphone sul rendimento scolastico. Anche altri paesi europei hanno preso provvedimenti analoghi.

Un paio di settimane fa Francesco Costa, il direttore de "Il Post", un giornalista che stimo e che seguo, nel suo podcast settimanale ("Wilson") racconta questa circolare come una buona notizia. Io non sono d'accordo, per una serie di ragioni. Quindi, dopo averci pensato un po' decido di scrivergli. Purtroppo so che non risponderà ("leggo tutte le vostre tantissime e-mail e vi ringrazio, ma mi scuso perché non ho il tempo per rispondere").

Riporto in questo post l'e-mail che gli ho inviato in cui esprimo i miei dubbi in merito all'argomento.

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Ciao Francesco,

ti scrivo in merito alla "buona notizia" del tuo Wilson del 4 settembre, "A spasso con Putin" (la buona notizia era quella della nuova regola scolastica che non consente l'ingresso in aula dello smartphone).

Premetto che non sono un insegnante ma semplicemente una persona che considera la scuola un'istituzione fondamentale per un paese.

Riguardo a quella tua buona notizia mi sono sorti dubbi e pensieri che ti metto qui in fila:

1. La scuola dovrebbe affrontare i cambiamenti radicali di una società e non eluderli e rimanere sempre sé stessa. Se la società cambia radicalmente anche e soprattutto attraverso l'uso di tecnologie diffusissime, a me sembra che un compito della scuola sia quello di prenderle in considerazione e pensare di farle entrare a scuola in qualche modo piuttosto che bandirle. Non dico che sia facile, dico che bandirle dalla scuola è un'ipocrisia che potrebbe avere conseguenze molto negative per la società. Se gli smartphone fanno parte quotidiana della vita di ogni persona (di ogni ragazzo) dovrebbero in qualche modo far parte anche della scuola, non credi? Ha senso che i ragazzi entrino tutti i giorni in una scuola che fa finta che certi mezzi rivoluzionari non esistono?

2. Lo smartphone non è solo un giochetto che distrae i ragazzi, non è come portare a scuola il Risiko, lo smartphone è un potente strumento di accesso alla conoscenza. Il suo uso a scuola potrebbe ampliare la capacità di studio dei ragazzi piuttosto che giocare solo il ruolo di oggetto di distrazione, non credi?

3. Se un docente non intende autorizzare l'uso dello smartphone nelle sue ore di lezione può farlo, è libero nella sua didattica. Ma dovrebbe esserlo anche un docente che invece intende fare lezione (nelle sue ore, scelte opportunamente) anche prevedendo l'uso disciplinato dello smartphone. E' un'importante questione di libertà di insegnamento che andrebbe garantita, non credi?

4. Mi pare assurdo pensare che lo smartphone debba entrare solo nelle aule dove si insegna tecnologia. Dov'è che si insegna tecnologia? E che cosa si vuole insegnare veramente? Lo smartphone è uno degli strumenti informatici più complessi che esistano, dentro ci sono almeno cinquant'anni di storia dell'informatica, letteralmente. Cosa si vuole insegnare veramente a dei quindicenni mettendogli in mano uno smartphone? A scaricare App e cliccare sulle icone? Come è già successo con altri dispositivi? Io penso che il valore dello smartphone non si esaurisca nell'oggetto tecnologico in sé, ma vada molto oltre. Il suo valore culturale è molto più ampio e trasversale. Se si pensa di usarlo si dovrebbe poterlo fare durante un sacco di altre materie, non solo quelle tecnologiche.

5. Sappiamo tutti come funzionano gli algoritmi di raccomandazione. Entro poco tempo di utilizzo chiunque di noi rischia di entrare in una bolla molto più chiusa di quanto non sembri e si preclude tantissime possibilità di conoscenza e di comunicazione. Questo rischio lo corrono in massima parte proprio i ragazzi, che cominciano ad utilizzare lo smartphone in una fascia d'età in cui si cercano prevalentemente stupidaggini, distrazioni di ogni tipo (è facile e naturale farlo per chiunque, figuriamoci a quell'età). Il mio dubbio è che ci si rimane incastrati dentro per chissà quanto tempo se nessun adulto (magari proprio un educatore della scuola) non te lo fanno usare con stimoli diversi. Lo smartphone si esclude dalla scuola reputandolo solo un elemento di distrazione, ma rientra con più forza nel resto della giornata, quando il ragazzo torna nel "mondo vero" (la paura è che abbia esattamente questa sensazione). Ma proprio questo è il meccanismo che sul lungo periodo lo fa diventare schiavo di un dispositivo così potente nel bene e nel male, schiavo della sua bolla alimentata dai bias-cognitivi su cui nessuno lo ha mai fatto riflettere.

6. Siamo sicuri che i sondaggi che ci cominciano a dire che i ragazzi [privati dello smartphone] sono mediamente più concentrati a scuola ci dicano tutto quello che serve? E' importante misurare solo questo risultato senza collegarlo con tutto il resto (vedi punti precedenti)?

7. I ragazzi che potranno contare in una famiglia che li aiuta a gestire correttamente lo smartphone (famiglie benestanti e istruite) cresceranno consapevoli. E gli altri?

Scusa la lunghezza del messaggio.

Un caro saluto.

Rodolfo.


mercoledì 24 settembre 2025

3I/ATLAS

Tempo fa, stimolato dai suggerimenti di un amico, leggevo un po' di cose su 3I/ATLAS, la cometa extra-planetaria con moto retrogrado e traiettoria iperbolica che si sta avvicinando al sole in questo periodo. Ho scoperto che c'è un tizio che ipotizza una sua origine aliena, tale Avi Loeb. Si, me ne rendo conto, è un'ipotesi irrealistica. Leggendo però alcuni post del suo blog mi colpiscono alcune cose:

1. Non è proprio un tizio qualunque, ha degli incarichi ad Harvard, ad esempio è a capo del Galileo Project ("...for the Systematic Scientific Search for Evidence of Extraterrestrial Technological Artifacts").

2. Presenta le sue ipotesi in modo molto ben informato e soprattutto è consapevole che l'ipotesi aliena è molto poco probabile, tanto che la presenta come un esercizio pedagogico ("Our paper is largely a pedagogical exercise").

3. Sostiene (e questa mi sembra la cosa più interessante) che bisognerebbe incoraggiare a fare questo tipo di esercizio perché in futuro potrebbe essere questo il modo più probabile di entrare in contatto con una civiltà aliena. Fa anche riferimento alla "dark forest hypothesis" (l'ipotesi della foresta oscura), che è una delle possibili spiegazioni del paradosso di Fermi. Questa ipotesi "Dantesca" (della "selva oscura") sostiene che molte civiltà aliene possano esistere nell'universo, ma che siano tutte silenziose perché paranoiche, si presume cioè che qualsiasi civiltà capace di viaggiare nello spazio considererebbe ogni altra vita intelligente come una potenziale minaccia da cui difendersi. Il risultato è che le varie possibili civiltà si aggirano nell'universo come cacciatori circospetti e sempre in agguato in una foresta oscura, misteriosa e pericolosa.

A me questa idea, nonostante la sua estrema improbabilità certamente giustificata ma anche discussa come una possibile ipotesi, mi sembra divertente e istruttiva. Anzi, credo che sia proprio una dimostrazione del metodo scientifico. La raccolta di dati parzialmente anomali induce un lavoro di immaginazione più o meno plausibile, poco probabile, ma utile per stimolare nuove scoperte. Le ipotesi che nascono da queto lavoro di immaginazione vengono poi messe a confronto con altre interpretazioni possibili e con ulteriori indagini sperimentali. 


venerdì 29 agosto 2025

Intelligenza e incoscienza

Non voglio fare un discorso ampio su questo tema, non ne sarei in grado. Però ripensavo al mio piccolo programmino di gioventù che faceva giocare il computer a Master Mind (ne ho parlato in questo post).

Le cose che mi colpivano e divertivano erano due. Anzitutto il suo comportamento ai miei occhi risultava intelligente. D'altra parte lo stesso effetto (ben più amplificato) lo si ha per i programmi che giocano a scacchi. Ma la cosa che mi divertiva era che potevo farlo giocare "da solo", cioè formulare una sequenza che poi lui stesso avrebbe dovuto indovinare come se non la sapesse, stabilendo però sempre lui stesso i punteggi delle varie chiamate come se la sapesse.

Ecco, questo alternare il sapere e non sapere un'informazione secondo me è del tutto impossibile ad un essere umano, e in un certo modo mi fa pensare alla questione della coscienza. Cioè, mi viene da pensare che il computer può tranquillamente sapere e non sapere un'informazione perché è del tutto incosciente rispetto a quello che fa e a quello che sa.

Quella modalità del giochino in un certo senso metteva la macchina in una condizione in cui si capiva bene che lei non poteva in alcun modo distinguere tra l'esterno (altro da sé) e sé stessa. Era chiaro che non si poteva individuare come entità che si relaziona con un mondo esterno, una condizione imprescindibile per parlare di coscienza di sé. Credo quindi che in quel vecchio programmino coesistessero in modo abbastanza visibile intelligenza e incoscienza, e che forse questo è estendibile a tutt'oggi anche alle moderne AI.


venerdì 15 agosto 2025

Temperatura e Creatività

Alcune questioni che girano attorno all'intelligenza artificiale sono spesso molto più interessanti e stimolanti di quelle che tipicamente si discutono diffusamente (tipo: dove andremo a finire? Saremo superati? Continueremo a lavorare? Ecc.).

Una di queste, tutto sommato molto semplice (almeno a livello descrittivo) è il concetto di temperatura. Una IA può lavorare a diversi stati di temperatura e dare prestazioni anche significativamente differenti.

La temperatura è un parametro macroscopico che caratterizza un sistema termodinamico, e si traduce nella quantità di energia cinetica dei suoi componenti interni microscopici. Ad un aumento di temperatura corrisponde un aumento dell'energia cinetica media delle particelle di un gas e quindi un aumento della loro mobilità. Poiché non possiamo seguire le singole particelle nelle loro evoluzioni esatte la nostra descrizione del loro comportamento sarà di tipo statistico, il sistema all'aumentare della temperatura visita uno spazio delle configurazioni più ampio, possiamo dire che aumenta il movimento casuale (parliamo in linea di principio di un sistema completamente deterministico, di cui però perdiamo la capacità di descriverlo con esattezza), aumenta il rumore.

Il concetto di temperatura introdotto nell'IA procede un po' per analogia al corrispondete concetto termodinamico, direi anche in modo significativo. Un modello di IA (ad esempio una rete neurale addestrata) è di fatto un sistema perfettamente deterministico, cioè alle stesse premesse in input corrispondono le stesse conseguenze in output. Questo molto spesso non soddisfa la definizione di un comportamento intelligente (si pensi ad un chatbot che allo stesso identico prompt risponde sempre esattamente allo stesso modo). Avere delle risposte leggermente variate fornisce al sistema una maggiore "credibilità". A questo serve la regolazione della temperatura come parametro che caratterizza lo stato di funzionamento dell'IA. Se la temperatura è nulla il sistema rimane perfettamente congelato nel suo comportamento deterministico, man mano che la temperatura cresce il sistema acquista una componente rumorosa casuale nel suo output che la porta a diversificare leggermente ogni volta le sue risposte. Più esattamente (per un LLM) l'aumento della temperatura consente al sistema di scegliere in output non solo la parola più probabile ma anche parole che hanno ottenuto un "punteggio" più basso e che in linea di principio andrebbero scartate. Il sistema esplora su un insieme di possibilità caratterizzate da uno stesso livello minimo di probabilità e che le rende equivalenti ai fini della scelta che, limitatamente all'insieme ottenuto, risulterà casuale. Questo rumore nella scelta rende il comportamento della chatbot molto più "realistico".

Torniamo all'analogia con la termodinamica. Se il sistema è più rumoroso la sua descrizione sarà necessariamente meno precisa, il sistema nel suo complesso risulterà più "sfocato" (è aumentata la sua entropia). Un sistema "congelato" in un unico stato è descrivibile in modo più preciso (ordinato). Questa precisione però nega altre possibilità al sistema, non consente al sistema di diversificare il suo comportamento o di riaggiustarsi in funzione di eventuali cambiamenti esterni. Il sistema appare meno flessibile.

Nel caso dei sistemi di IA si introduce, in maniera magari un po' discutibile ma secondo me molto pertinente, il concetto di creatività. Si dice cioè che l'aumento della temperatura del sistema toglie precisione ma aggiunge creatività, e pone sempre in tal modo un problema di regolazione per ottenere il raggiungimento di uno stato ideale di equilibrio che ovviamente dipende dall'obiettivo che voglio raggiungere (temperatura più bassa per un sistema di traduzione, in cui devo privilegiare la precisione, temperatura più alta per la produzione di contenuti, sia linguistici che visivi o sonori).

Il fatto di calibrare in un sistema di IA il suo contenuto di creatività, peraltro legandolo semplicemente all'aggiunta di componenti casuali, risulta sicuramente un po' bizzarro, e ovviamente suscita comprensibilmente un certo scetticismo. Il termine "creatività" potrebbe essere percepito come improprio. Ma invece la cosa stimolante viene proprio da questo. Come non sappiamo caratterizzare ancora in maniera soddisfacente il concetto di intelligenza, non sappiamo farlo neanche con il concetto di creatività. Sono concetti che tendono a rimanere aree protette del nostro essere umani, zone delicate in cui riponiamo la nostra essenza, insomma roba che ci dà fastidio toccare con troppa leggerezza e semplicità.

Invece un'altra analogia secondo me feconda viene dalle teorie di evoluzione biologica. E' indubbio che il processo di evoluzione naturale è risultato in tutta la sua storia un processo estremamente creativo, basta guardarsi intorno e osservare quotidianamente le "infinite forme bellissime" (Sean. B. Carroll) che ha creato. Ma come è ben noto il meccanismo utilizzato dall'evoluzione è in sintesi un trial and error, dove il trial è generato da meccanismi puramente casuali e l'error è semplicemente il riscontro pratico con l'ambiente (premiante o meno). Cioè anche in questo caso il concetto così misterioso di creatività è semplicemente legato alla capacità del sistema di poter esplorare soluzioni leggermente diverse in modo del tutto casuale.

Il concetto di temperatura, intesa in generale come possibilità di muoversi casualmente nelle vicinanze di un comportamento collaudato, mi sembra una buona approssimazione dell'idea di creatività, che altrimenti rimane sempre troppo vaga e misteriosa.