Qualche tempo fa ho assistito alla rappresentazione della Traviata di Giuseppe Verdi fatta all'Arena di Verona nell'ambito dei festeggiamenti per i 100 anni della sua apertura. Gli spalti erano suddivisi, come sempre succede in questi casi, in fasce di prezzo che andavano dalle oltre 200 € delle poltronissime di platea alle 27-30 € delle gradonate non numerate. Ovviamente questo determina immediatamente una altrettanta suddivisione tra il pubblico più facoltoso e meno facoltoso (come succede più o meno sempre).
Quello però che mi colpiva era il fatto che questa suddivisione era particolarmente marcata e ben visibile, come probabilmente non mi era mai capitato in altre occasioni. In particolare la platea era un'esibizione di vestiti da sera, dove camerieri impeccabili servivono lo champagne direttamente agli spettatori delle prime file, mentre le gradonate non numerate, tenute ben separate e sorvegliate dal personale durante gli intervalli, erano frequentate da vocianti venditori di bibite, gelati e depliant sullo stile di quello che si vede durante le partite di calcio. La cosa risultava piuttosto fastidiosa, almeno per me, e non mi sembrava di ricordare un analogo in altre manifestazioni musicali, per esempio non all'Auditorium di Roma, dove pure ovviamente i posti sono suddivisi in fasce di prezzo.
Per darmi una qualche spiegazione mi è venuto in mente che il teatro musicale, almeno quello italiano, probabilmente ha avuto sempre questa caratteristica, e la conserva tuttora, almeno nei teatri più tradizionali. Una caratteristica diversa da quello che si vede alla tradizionale prima del Teatro alla Scala di Milano (fuori dal teatro molto più che dentro), dove l'alta borghesia italiana mostra i denti e attesta in modo ostentato la sua presenza (e potenza) nella società. Più che altro si tratta invece della convivenza nello stesso ambiente culturale di fasce sociali ben distinte (anche fisicamente distinte all'interno del teatro). Questo è presumibilmente il riflesso di una peculiarità storica del teatro musicale italiano che in una certa misura sopravvive tuttora, quella cioè di essere un fenomeno culturale di ottimo livello (fatto da gente colta e preparata) ma al contempo molto popolare, trasversale su tutte le fasce sociali.
Mio padre e mio zio, provenienti da una famiglia di bassa estrazione sociale, non avevano nessuna preparazione musicale specifica ma conoscevano molto bene il teatro musicale (in particolare quello italiano) e nel primo dopoguerra frequentavano regolarmente i teatri musicali romani (Teatro dell'Opera, Terme di Caracalla, ecc.). Nell'attesa dello spettacolo mi sono soffermato ad ascoltare incuriosito due signori di cui quello visibilmente più anziano raccontava come lui era cresciuto in famiglia recitando e cantando insieme agli altri membri della sua famiglia le parti salienti e più belle di molte opere della tradizione operistica italiana (come ad esempio quella che ci apprestavamo ad ascoltare). Lo stesso Giuseppe Verdi, il più illustre e famoso esponente di questa stagione musicale italiana, ha un'estrazione sociale popolare e contadina, ben sottolineata in tutte le sue biografie.
Un fenomeno culturale di massa prima della vera e propria cultura di massa veicolata dai moderni mass media.
domenica 25 agosto 2013
venerdì 5 luglio 2013
Una buona chiave
Non è una questione di fare soldi, o di averne abbastanza; concetto peraltro molto ambiguo nel caso dei soldi. Non è neanche esattamente una questione di fare le cose che piacciono, anche se in questo secondo caso ci stiamo andando molto vicino. E' che può essere troppo semplicistico metterla in questi termini.
Credo che sia soprattutto una questione di avere la testa e il tempo per rendere il più possibile belle tutte le cose che facciamo, che inevitabilmente in parte abbiamo scelto in modo più o meno consapevole e deliberato e in parte ci sono capitate, senza voler dare a quest'ultimo aspetto un valore negativo.
Non è una cosa facile, ma a me sembra una buona chiave.
Credo che sia soprattutto una questione di avere la testa e il tempo per rendere il più possibile belle tutte le cose che facciamo, che inevitabilmente in parte abbiamo scelto in modo più o meno consapevole e deliberato e in parte ci sono capitate, senza voler dare a quest'ultimo aspetto un valore negativo.
Non è una cosa facile, ma a me sembra una buona chiave.
lunedì 10 giugno 2013
Siamo tutti fratelli
Questa frase, tante volte detta nella storia dell'uomo, in varie occasioni, contesti, culture, religioni, ha per me un'evidenza biologica prima ancora che morale. La "fratellanza" di tutti gli essere umani e più in generale di tutti gli esseri viventi è un aspetto naturale messo in luce in modo spettacolare dalle scienze biologiche di questi ultimi due secoli. Le cose che accomunano tutti, ma proprio tutti gli esseri viventi della biosfera sono parecchie, significative, e alcune anche piuttosto facili da elencare.
Le basi chimiche: sebbene i processi chimici che sovrintendono le tante funzioni biologiche siano in numero enorme ed in genere estremamente complessi, i materiali di base (gli elementi) che elaborano sono sempre gli stessi e di fatto relativamente pochi. Le molecole cosiddette "organiche" sono tutti composti centrati sul carbonio che includono quasi esclusivamente ossigeno, idrogeno e azoto. Nessun organismo vivente conosciuto (terrestre) fa eccezione a questa semplice ma spettacolare osservazione.
Il codice genetico: la quantità di informazione che ogni essere vivente conserva e passa alle generazioni successive (con un certo tasso di errore, decisamente provvidenziale per creare quella stupefacente diversità biologica che in genere rende ben evidenti le differenze esistenti nel vivente, mascherandone la sostanziale unità) è codificata esattamente allo stesso modo per tutti gli organismi della terra.
L'interdipendenza: specialmente nelle forme viventi superiori è molto forte il concetto di individualità, per cui il mondo vivente può essere percepito come una collezione di individui dotati ognuno della propria indipendenza. Tuttavia non ha alcun senso pensare all'esistenza biologica di un solo singolo individuo senza collegarlo alla moltitudine di tutti gli altri individui che popolano il pianeta con lui e alla moltitudine di tutti gli individui che lo hanno preceduto. Un qualunque organismo vivente attuale esprime di fatto un'istanza particolare del vivente, pensato come un'unica e particolarissima manifestazione della natura che è accaduta e tuttora accade in un tempo e un luogo specifici dell'universo.
Le basi chimiche: sebbene i processi chimici che sovrintendono le tante funzioni biologiche siano in numero enorme ed in genere estremamente complessi, i materiali di base (gli elementi) che elaborano sono sempre gli stessi e di fatto relativamente pochi. Le molecole cosiddette "organiche" sono tutti composti centrati sul carbonio che includono quasi esclusivamente ossigeno, idrogeno e azoto. Nessun organismo vivente conosciuto (terrestre) fa eccezione a questa semplice ma spettacolare osservazione.
Il codice genetico: la quantità di informazione che ogni essere vivente conserva e passa alle generazioni successive (con un certo tasso di errore, decisamente provvidenziale per creare quella stupefacente diversità biologica che in genere rende ben evidenti le differenze esistenti nel vivente, mascherandone la sostanziale unità) è codificata esattamente allo stesso modo per tutti gli organismi della terra.
L'interdipendenza: specialmente nelle forme viventi superiori è molto forte il concetto di individualità, per cui il mondo vivente può essere percepito come una collezione di individui dotati ognuno della propria indipendenza. Tuttavia non ha alcun senso pensare all'esistenza biologica di un solo singolo individuo senza collegarlo alla moltitudine di tutti gli altri individui che popolano il pianeta con lui e alla moltitudine di tutti gli individui che lo hanno preceduto. Un qualunque organismo vivente attuale esprime di fatto un'istanza particolare del vivente, pensato come un'unica e particolarissima manifestazione della natura che è accaduta e tuttora accade in un tempo e un luogo specifici dell'universo.
domenica 26 maggio 2013
Verità e dimostrabilità
Kurt Gödel (1906-1978) passa per il più grande logico della storia insieme ad Aristotele. Mentre però Aristotele si studia regolarmente nella secondaria superiore (almeno credo) e tutti più o meno hanno un'idea di che cosa sia un sillogismo, Gödel non fa ancora parte del bagaglio culturale medio, nonostante i suoi risultati più importanti risalgano ormai a circa ottanta anni fa. Effettivamente il contenuto del suo articolo principale "On formally undecidable propositions of Principia Mathematica and related systems" (1931) è molto complicato, roba per tecnici, ma esistono molti modi (e molta letteratura) per esemplificare questo contenuto senza banalizzarlo, e sforzarsi di farlo è anche divertente. In questo post cerco di descrivere questi risultati senza neppure accennare a come ci si arriva (magari quest'ultima cosa in un altro post).
Un sistema formale si compone di:
1. un vocabolario - un catalogo completo dei segni che si usano nel calcolo.
2. una grammatica - le regole di formazione che stabiliscono quali delle combinazioni possibili dei segni del vocabolario sono formule, cioè quali stringhe di simboli sono ben formate e quali invece sono mal formate.
3. le inferenze - le regole di trasformazione (o regole di inferenza) che permettono di derivare stringhe ben formate da altre stringhe ben formate (teoremi).
4. gli assiomi - costituiscono il fondamento dell'intero sistema. Sono proposizioni primitive, vere per assunzione, punto di partenza per derivare qualsiasi altra formula.
In un sistema formale così definito un teorema è una qualsiasi formula che possa essere dedotta dagli assiomi applicando successivamente le regole di inferenza.
Riconosciamo intuitivamente che i concetti che definiscono un sistema formale sono quelli tipicamente utilizzati dalla matematica (nelle sue varie discipline). Inoltre è interessante notare che in questo contesto il concetto di verità ha una natura convenzionale e tutta interna al sistema formale stesso: sono vere tutte le formule ben formate (sintatticamente corrette) e sono veri gli assiomi (per definizione). Il concetto di verità non è rimandato al confronto con una qualche realtà esterna. Osserviamo anche che tutto quello che si può creare in questo sistema sono nuovi teoremi. In realtà verrebbero scoperti, dal momenti che sono già contenuti tutti nelle ipotesi e di queste sono conclusioni logiche necessarie. Infine è notevole il fatto che la questione dei contenuti sia irrilevante (da qui il termine sistema formale). Come mi è capitato di leggere da qualche parte "la validità delle dimostrazioni matematiche riposa sulla struttura delle affermazioni, piuttosto che sulla natura particolare del loro contenuto".
Un sistema formale ha due aspetti interessanti:
1. la coerenza - un sistema formale è coerente quando è non-contraddittorio, cioè quando in esso è impossibile, usando le regole di trasformazione, dedurre dagli assiomi una certa formula e insieme anche la sua negazione.
2. la completezza - un sistema formale è completo quando ogni verità logica esprimibile mediante il vocabolario del calcolo è anche un teorema. In un sistema del genere ogni teorema è una formula (stringa ben formata) ma è anche vero il viceversa, cioè ogni formula è un teorema, ogni formula è deducibile dagli assiomi usando le regole di inferenza. Gli assiomi sono completi, ovvero sono sufficienti a generare tutte le formule del sistema.
In altre parole dato un sistema formale come lo abbiamo definito sopra è lecito chiedersi se i teoremi che si possono dedurre non arriveranno mai a contraddirsi e se ogni cosa vera è anche dimostrabile. Ovviamente tutto ciò che è dimostrabile nel sistema è anche vero, nel senso che tutte le formule deducibili dagli assiomi (veri per definizione) saranno appunto formule, cioè stringhe di simboli del vocabolario sintatticamente corrette, dunque vere.
Quali sono i risultati di Gödel?
Il primo teorema di incompletezza afferma che se il sistema formale è non contraddittorio, quindi se è coerente, allora esiste un enunciato che non è dimostrabile in esso, ma tale che anche la sua negazione non è dimostrabile. Un enunciato del genere si dice indecidibile. Il sistema formale si dice perciò incompleto, o deduttivamente incompleto.
Il secondo teorema di incompletezza afferma che, se un sistema formale è non contraddittorio, allora l'affermazione della sua non-contradditorietà, posto che si possa scriverla, o trovarne una traduzione equivalente nel linguaggio del sistema formale stesso, non è dimostrabile nello stesso, e non è neanche refutabile, cioè è essa stessa un esempio di enunciato indecidibile.
I teoremi di Gödel pongono un limite generale al concetto di dimostrabilità. Affermano l'esistenza di formule vere non dimostrabili, e dunque l'irriducibilità della nozione di verità a quella di dimostrabilità.
"Negli ultimi secoli si era creato un diffuso convincimento che tacitamente supponeva che ogni settore del sapere matematico potesse essere corredato da un insieme di assiomi sufficienti per sviluppare sistematicamente l'infinita totalità delle proposizioni vere nell'ambito di una data area di ricerca. Il lavoro di Gödel ha dimostrato che questa ipotesi è insostenibile." (Nagel e Newmann)
Un sistema formale si compone di:
1. un vocabolario - un catalogo completo dei segni che si usano nel calcolo.
2. una grammatica - le regole di formazione che stabiliscono quali delle combinazioni possibili dei segni del vocabolario sono formule, cioè quali stringhe di simboli sono ben formate e quali invece sono mal formate.
3. le inferenze - le regole di trasformazione (o regole di inferenza) che permettono di derivare stringhe ben formate da altre stringhe ben formate (teoremi).
4. gli assiomi - costituiscono il fondamento dell'intero sistema. Sono proposizioni primitive, vere per assunzione, punto di partenza per derivare qualsiasi altra formula.
In un sistema formale così definito un teorema è una qualsiasi formula che possa essere dedotta dagli assiomi applicando successivamente le regole di inferenza.
Riconosciamo intuitivamente che i concetti che definiscono un sistema formale sono quelli tipicamente utilizzati dalla matematica (nelle sue varie discipline). Inoltre è interessante notare che in questo contesto il concetto di verità ha una natura convenzionale e tutta interna al sistema formale stesso: sono vere tutte le formule ben formate (sintatticamente corrette) e sono veri gli assiomi (per definizione). Il concetto di verità non è rimandato al confronto con una qualche realtà esterna. Osserviamo anche che tutto quello che si può creare in questo sistema sono nuovi teoremi. In realtà verrebbero scoperti, dal momenti che sono già contenuti tutti nelle ipotesi e di queste sono conclusioni logiche necessarie. Infine è notevole il fatto che la questione dei contenuti sia irrilevante (da qui il termine sistema formale). Come mi è capitato di leggere da qualche parte "la validità delle dimostrazioni matematiche riposa sulla struttura delle affermazioni, piuttosto che sulla natura particolare del loro contenuto".
Un sistema formale ha due aspetti interessanti:
1. la coerenza - un sistema formale è coerente quando è non-contraddittorio, cioè quando in esso è impossibile, usando le regole di trasformazione, dedurre dagli assiomi una certa formula e insieme anche la sua negazione.
2. la completezza - un sistema formale è completo quando ogni verità logica esprimibile mediante il vocabolario del calcolo è anche un teorema. In un sistema del genere ogni teorema è una formula (stringa ben formata) ma è anche vero il viceversa, cioè ogni formula è un teorema, ogni formula è deducibile dagli assiomi usando le regole di inferenza. Gli assiomi sono completi, ovvero sono sufficienti a generare tutte le formule del sistema.
In altre parole dato un sistema formale come lo abbiamo definito sopra è lecito chiedersi se i teoremi che si possono dedurre non arriveranno mai a contraddirsi e se ogni cosa vera è anche dimostrabile. Ovviamente tutto ciò che è dimostrabile nel sistema è anche vero, nel senso che tutte le formule deducibili dagli assiomi (veri per definizione) saranno appunto formule, cioè stringhe di simboli del vocabolario sintatticamente corrette, dunque vere.
Quali sono i risultati di Gödel?
Il primo teorema di incompletezza afferma che se il sistema formale è non contraddittorio, quindi se è coerente, allora esiste un enunciato che non è dimostrabile in esso, ma tale che anche la sua negazione non è dimostrabile. Un enunciato del genere si dice indecidibile. Il sistema formale si dice perciò incompleto, o deduttivamente incompleto.
Il secondo teorema di incompletezza afferma che, se un sistema formale è non contraddittorio, allora l'affermazione della sua non-contradditorietà, posto che si possa scriverla, o trovarne una traduzione equivalente nel linguaggio del sistema formale stesso, non è dimostrabile nello stesso, e non è neanche refutabile, cioè è essa stessa un esempio di enunciato indecidibile.
I teoremi di Gödel pongono un limite generale al concetto di dimostrabilità. Affermano l'esistenza di formule vere non dimostrabili, e dunque l'irriducibilità della nozione di verità a quella di dimostrabilità.
"Negli ultimi secoli si era creato un diffuso convincimento che tacitamente supponeva che ogni settore del sapere matematico potesse essere corredato da un insieme di assiomi sufficienti per sviluppare sistematicamente l'infinita totalità delle proposizioni vere nell'ambito di una data area di ricerca. Il lavoro di Gödel ha dimostrato che questa ipotesi è insostenibile." (Nagel e Newmann)
sabato 4 maggio 2013
L'invenzione della scrittura e la nascita della Storia
Nei manuali della scuola elementare di mio figlio si fa giustamente coincidere l'inizio della Storia dell'uomo (e la fine della preistoria) con l'invenzione e la diffusione della scrittura. L'idea principale è che solo attraverso la pratica della scrittura l'uomo ha cominciato a lasciare dietro di se delle fonti di informazione tali da poterci permettere oggi una ricostruzione sufficientemente dettagliata delle civiltà che si sono susseguite. La ricerca storica propriamente detta si avvale principalmente di fonti scritte.
Questa idea però mi sembra insufficiente a render conto dell'importanza dell'invenzione della scrittura e del concetto di "inizio della Storia". L'impatto dell'introduzione della scrittura nella storia culturale della specie umana è veramente enorme. Il fatto che questa abbia tecnicamente permesso la storiografia è solo una delle conseguenze, per quanto importante.
Un elemento tanto ovvio quanto fondamentale della scrittura credo sia quello di aver trovato un modo per archiviare in forma permanente una mole considerevole di informazioni con un grado di dettaglio assolutamente impensabile fino a quel momento. La cosa a cui non avevo mai pensato (anche questa piuttosto ovvia) è che attraverso questa soluzione tecnica è stato possibile per l'uomo sviluppare tutta una serie di attività che diversamente non sarebbero mai diventate come le conosciamo oggi, e molte non sarebbero mai esistite. L'impatto della scrittura è visibile praticamente ovunque, in qualsiasi attività umana.
Ma la cosa più impressionante è accorgersi che la scrittura è una forma di pensiero. Pensare scrivendo è diverso che pensare e basta. Leggere e pensare è diverso che parlare e pensare. L'invenzione della scrittura ha probabilmente modificato in modo radicale e definitivo il nostro modo di ragionare oltre che il nostro modo di comunicare. Le grandi invenzioni tecnologiche hanno sempre trasformato la vita dell'uomo, il suo modo di pensare, la sua visione del mondo. La scrittura è una di queste. E dire che si tratta "semplicemente" di una tecnologia. Forse la prima grande tecnologia di elaborazione dell'informazione. Credo sarebbe molto interessante studiare l'evoluzione della scrittura, dal disegno all'astrazione dei pittogrammi fino all'invenzione potente dell'alfabeto.
Qualunque uomo costruisce una sua visione del mondo e la condivide con gli individui della sua stessa tribù. Ma attraverso la scrittura l'uomo ha "cominciato a scrivere la sua Storia", e con essa ha definito il concetto di Umanità e l'ha messa in relazione con il mondo.
venerdì 26 aprile 2013
E' tutta colpa di ...
Berlusconi entra in politica nel 1994 per costruirsi da solo una copertura politica alle proprie non sempre limpide attività personali, all'indomani della rovinosa caduta ad opera di tangentopoli di quella classe politica che fino ad allora lo aveva aiutato. La sua abilità fu quella di presentarsi all'opinione pubblica come un uomo di successo essenzialmente estraneo agli ambienti corrotti della politica italiana appena smascherati dall'azione giudiziaria della magistratura. Ottenne questo facendo leva su valori "estranei" alla politica, si propose alla scena politica come "non politico". Propose il modello del "partito-azienda". Propose l'idea che per governare un paese non servono politici, persone senza meriti acquisiti "sul campo" e quindi sostanzialmente incapaci, ma imprenditori, gente "del fare", gli unici in grado di mandare avanti in modo efficiente l'Italia, così come le proprie aziende.
E' necessario per questo un partito politico? No, è sufficiente un consiglio di amministrazione, un'oligarchia di gente capace a cui il paese deve affidarsi. E' necessaria una visione coerente della società che si vuole costruire? No, un'azienda non ha questi obiettivi, semplicemente si muove dentro la società, ne fa un uso strumentale a proprio vantaggio, coglie tutte le occasioni possibili per aumentare il proprio grado di successo, e lo fa anche in modo incoerente, spregiudicato. E i termini destra e sinistra? Ecco appunto, sono dei termini, servono per definire il campo di gara, per distinguere se stesso dal competitor, non ci devono essere idee troppo caratterizzate dietro, sarebbero perlopiù di intralcio. E la democrazia? Perbacco, un'aziende non si regge in piedi se cede troppo ai pareri di tutti, la partecipazione ampia alle decisioni è un modello insostenibile, l'operaio è operaio, l'impiegato è impiegato, pensare che abbiano parte attiva alle decisioni dell'azienda è da comunisti.
E la giustizia? Beh, questo è un altro discorso. E' sempre stato un altro discorso. Le regole andrebbero rispettate anche dalle aziende, ma qualche volta non lo si è fatto. Qualche volta Berlusconi non lo ha fatto. E questo "qualche volta" è sufficiente per essere costretti a sorvolare su tutto. Su tutto e su tutti. Non conviene ravanare su queste cose. La questione della giustizia va congelata a data da destinarsi, con tutti i mezzi possibili. Punto. E poi parliamoci chiaro: i meriti di un grande imprenditore, di un grande "produttore di ricchezza" della nazione, giustificano pure qualche scorrettezza, senza la quale un uomo di valore non riuscirebbe ad esprimersi al massimo delle sue potenzialità. Le regole sono briglie per le persone capaci.
Questo è il modello politico e culturale proposto a suo tempo da Berlusconi. E purtroppo è un modello che per chi sta al potere è estremamente conveniente e che per questo nella nostra classe politica ha attecchito in modo sorprendente. Sarebbe un modello da combattere sia da destra che da sinistra, ma a destra c'è un drammatico vuoto di intelligenza politica (da cui chissà quando ci riprenderemo), e la sinistra in tutti questi anni purtroppo non è riuscita a trovare la forza morale di distinguersi in maniera compatta da questa melassa di pseudo cultura politica, degenerata e degenerante. Questa incapacità la sta portando ad una crisi profonda.
E adesso abbiamo Grillo-Casaleggio e il Movimento 5 Stelle (e il tormentone del "tutti a casa"), ultimo rametto impazzito di questo cespuglio della seconda Repubblica.
E' necessario per questo un partito politico? No, è sufficiente un consiglio di amministrazione, un'oligarchia di gente capace a cui il paese deve affidarsi. E' necessaria una visione coerente della società che si vuole costruire? No, un'azienda non ha questi obiettivi, semplicemente si muove dentro la società, ne fa un uso strumentale a proprio vantaggio, coglie tutte le occasioni possibili per aumentare il proprio grado di successo, e lo fa anche in modo incoerente, spregiudicato. E i termini destra e sinistra? Ecco appunto, sono dei termini, servono per definire il campo di gara, per distinguere se stesso dal competitor, non ci devono essere idee troppo caratterizzate dietro, sarebbero perlopiù di intralcio. E la democrazia? Perbacco, un'aziende non si regge in piedi se cede troppo ai pareri di tutti, la partecipazione ampia alle decisioni è un modello insostenibile, l'operaio è operaio, l'impiegato è impiegato, pensare che abbiano parte attiva alle decisioni dell'azienda è da comunisti.
E la giustizia? Beh, questo è un altro discorso. E' sempre stato un altro discorso. Le regole andrebbero rispettate anche dalle aziende, ma qualche volta non lo si è fatto. Qualche volta Berlusconi non lo ha fatto. E questo "qualche volta" è sufficiente per essere costretti a sorvolare su tutto. Su tutto e su tutti. Non conviene ravanare su queste cose. La questione della giustizia va congelata a data da destinarsi, con tutti i mezzi possibili. Punto. E poi parliamoci chiaro: i meriti di un grande imprenditore, di un grande "produttore di ricchezza" della nazione, giustificano pure qualche scorrettezza, senza la quale un uomo di valore non riuscirebbe ad esprimersi al massimo delle sue potenzialità. Le regole sono briglie per le persone capaci.
Questo è il modello politico e culturale proposto a suo tempo da Berlusconi. E purtroppo è un modello che per chi sta al potere è estremamente conveniente e che per questo nella nostra classe politica ha attecchito in modo sorprendente. Sarebbe un modello da combattere sia da destra che da sinistra, ma a destra c'è un drammatico vuoto di intelligenza politica (da cui chissà quando ci riprenderemo), e la sinistra in tutti questi anni purtroppo non è riuscita a trovare la forza morale di distinguersi in maniera compatta da questa melassa di pseudo cultura politica, degenerata e degenerante. Questa incapacità la sta portando ad una crisi profonda.
E adesso abbiamo Grillo-Casaleggio e il Movimento 5 Stelle (e il tormentone del "tutti a casa"), ultimo rametto impazzito di questo cespuglio della seconda Repubblica.
domenica 3 febbraio 2013
Perchè la matematica
Che differenza c'è tra un tecnico che usa, configura e gestisce tutti i giorni i protocolli internet e chi a suo tempo li ha progettati? Che differenza c'è tra chi configura tutti i giorni ambienti di virtualizzazione e chi progetta un hypervisor? Che differenza c'è tra chi conosce le tipiche porte TCP da utilizzare nei filtri del traffico di rete e chi ha ideato e testato gli algoritmi che permettono il controllo di flusso e di congestione di questo stesso traffico?
In altre parole, che differenza c'è tra il mio meccanico sotto casa che mi rimette a posto l'automobile e un progettista della Ferrari? Sicuramente quest'ultimo non mi sa riparare l'automobile. Quindi non ha più conoscenze del mio meccanico, ha conoscenze diverse. E in cosa consistono queste diversità? Qual'è il punto più importante che distingue queste due conoscenze (entrambe con la loro utilità)? Su che cosa ha puntato il progettista della Ferrari rispetto al mio meccanico?
Credo che la risposta sia semplice: la teoria, le conoscenze scientifiche, l'apparato strumentale della matematica. In particolare quest'ultima cosa, la conoscenza degli strumenti matematici, fa la differenza.
Mio zio non ha avuto la possibilità di studiare molto. Per professione e per passione faceva il tecnico. Gli oggetti più frequenti con cui aveva a che fare nel suo lavoro erano circuiti stampati che realizzavano varie funzionalità. Questo prima e durante la diffusione massiccia dei circuiti integrati nel mercato dell'elettronica. Una volta non so per quale motivo (ma spesso non c'erano veri motivi) mi parlava dei tempi di carica e scarica di un condensatore e di come secondo lui questo fenomeno avveniva. Ricordo di aver osservato con chiarezza che gli mancava il linguaggio matematico corretto e che questo gli impediva letteralmente di arrivare a descrivere con precisione il fenomeno. Ricordo anche che sì stupì molto quando con pochi passaggi gli scrissi l'andamento esatto della funzione di carica (è un semplice esercizio di fisica generale), che guarda caso dava risultati numerici in linea con i suoi "dati sperimentali". Non ci sarebbe potuto arrivare, non aveva gli strumenti matematici appropriati. Senza di essi la sua elettronica era monca, nonostante la sua curiosità e la sua passione. Togli il pezzo, metti il pezzo, comprane un altro, sostituiscilo. Armamentario che gli permetteva di risolvere brillantemente un gran numero di problemi ma che lo costringeva ad avere una conoscenza complessivamente modesta della sua materia.
La società ovviamente ha bisogno sia del meccanico sotto casa che del progettista della Ferrari, sia del tecnico che ripara un computer sia di chi progetta una qualsiasi tecnologia informatica (tra cui il computer). Ma quando si dice che in Italia la ricerca scientifica e tecnologica non è adeguatamente finanziata nonostante la sua importanza si parla dei secondi e non dei primi.
E' vero che la conoscenza dell'inglese è fondamentale nella società moderna, e indubbiamente i nostri bambini la dovranno coltivare, ma se puntiamo solo su quella un giorno potranno emigrare in un paese di lingua anglosassone per andare a vendere i panini al McDonald. Non possiamo diventare un paese di camerieri esterofili che comprano telefonini. La tecnologia del futuro la farà chi avrà coltivato le conoscenze matematiche (e scientifiche in generale), gli altri faranno gli operai della tecnologia o i semplici utilizzatori finali. Questo sta già succedendo.
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