lunedì 19 agosto 2024

Metafore che hanno perso i concetti, e lo sforzo per recuperarli (2)

In relazione al post precedente c'è sicuramente una citazione famosissima che viene frequentemente usata ma che secondo me rischia sempre di rimanere a galla senza dare nessuna idea precisa, sebbene invece sia legata a un dibattito scientifico estremamente importante, in parte tutt'ora attuale almeno nei suoi aspetti filosofici e interpretativi del mondo naturale. Mi riferisco alla frase "Dio non gioca a dadi con l'universo", una frase scritta da Einstein in una lettera in risposta al collega Max Born nel 1926, all'indomani della proposta avanzata da quest'ultimo di dare un'interpretazione probabilistica alla funzione d'onda introdotta da Erwin Schrödinger.

Anche in questo caso, come nel caso dell'effetto farfalla del post precedente, la metafora, sebbene molto suggestiva, non consente di capire alcunché circa il senso della critica di Einstein. Ma anche in questo caso con un po' di curiosità e impegno si riesce a farsene un'idea soddisfacente senza caricarsi di formalismi non strettamente necessari, che nel caso della meccanica quantistica sono anche oggettivamente molto pesanti. E anche in questo caso cerco di spiegarlo qui nel modo più sintetico possibile (secondo esercizio).

Il punto essenziale della questione è che all'interno della meccanica quantistica la probabilità non è epistemica (relativa alla teoria) ma ontica (propria dell'esistente), cioè non è una probabilità introdotta artificialmente dalla teoria, bensì è intrinseca nei fenomeni naturali. Fino all'introduzione della meccanica quantistica la probabilità introdotta nella descrizione dei fenomeni era sempre di tipo epistemico, cioè veniva introdotta nella teoria perché non era possibile fare di meglio, era uno strumento conoscitivo che sostituiva la descrizione completa dei fenomeni che, seppur garantita in linea di principio, non poteva essere raggiunta per problemi sostanzialmente pratici.

L'esempio semplice è quello del lancio dei dadi, la previsione sui numeri che usciranno può essere trattata solo in senso probabilistico anche se il sistema di cui stiamo parlando è perfettamente deterministico e, note con esattezza le condizioni iniziali, saremmo in linea di principio in grado di calcolare l'evoluzione del sistema con altrettanta esattezza e quindi saremmo in grado di sapere con certezza il risultato del lancio. Non possiamo farlo perché non ci saranno mai note tutte le variabili del problema necessarie a calcolare la sua evoluzione precisa, che comunque esiste ed è reale.

Nel caso della meccanica quantistica è proprio questa realtà che viene negata, il sistema in linea di principio non ha una traiettoria, la conoscenza esatta di tutte le sue variabili dinamiche in un dato istante non è detto che abbia senso perché non è detto che il sistema effettivamente le abbia tutte perfettamente determinate e dunque conoscibili e misurabili tutte allo stesso tempo. Quindi in un sistema quantistico non è la mancanza di conoscenza del sistema da parte nostra a costringerci all'introduzione di una trattazione probabilistica bensì la natura stessa del sistema.

Adesso si capisce perché Einstein, che pure ha dato importanti contributi alla costruzione della meccanica quantistica, abbia reagito male a questa interpretazione e lo abbia espresso in quel modo un po' letterario ma così efficace nella sua risposta a Max Born. L'intima convinzione del padre della Relatività era che la meccanica quantistica, così come era stata formulata negli anni venti, non fosse ancora una teoria "completa". Se fosse ancora vivo avrebbe il disappunto di constatare che tuttora è così.

NOTA: sottolineo la differenza con il caos deterministico del post precedente, dove il fenomeno caotico appare come casuale e quindi probabilistico ma di fatto in linea di principio non lo è, cioè il suo carattere probabilistico non è un dato di realtà. Per descrivere al meglio tali sistemi sarà magari necessario introdurre la teoria delle probabilità ma sempre in senso epistemico.


giovedì 15 agosto 2024

Metafore che hanno perso i concetti, e lo sforzo per recuperarli

Spesso nel cercare di parlare di scienza in modo immediatamente comprensibile si fa uso di metafore, di figure retoriche o di citazioni importanti. L'intento è quello di richiamare idee e concetti in modo sintetico, senza appesantire troppo. In generale non è una cosa negativa a parte il fatto che si può incappare in una comunicazione "per slogan" che ha il brutto difetto di portare a dimenticare i concetti che dovrebbero illustrare, a non coglierne i significati importanti o addirittura a non focalizzarli mai correttamente. Un esempio banale è quello che racconta gli esseri viventi come impegnati quotidianamente nella "lotta per la sopravvivenza". Con questa espressione dovremmo poter percepire l'idea di fondo della teoria dell'evoluzione ma questo slogan non ci arriva neppure vicino, non le rende merito, non comunica le idee di fondo della teoria, ne falsa la percezione e finisce per essere un'immagine retorica fuorviante.

Quello che vorrei analizzare meglio in questo post è il cosiddetto Effetto farfalla. Si tratta di una cosa del tipo "il battito delle ali di una farfalla in sud-america può scatenare un uragano in nord-america". E' la citazione che viene spesso fatta per rappresentare il concetto di caos, un aspetto della natura diventato noto al grande pubblico con il romanzo Jurassic Park (1990) e l'omonimo film (1993), e di più e meglio con il saggio di un certo successo intitolato appunto Caos. La nascita di una nuova scienza di James Gleick (1989). Quest'ultimo libro mi pare che inizi proprio citando l'effetto farfalla. Certamente l'immagine è molto suggestiva ma dietro ci si può immaginare quasi qualsiasi cosa, difficilmente consente di focalizzare un concetto, che pure è molto preciso. Se pretendo di capire qualcosa leggendo solo questa metafora non vado certo molto lontano, sebbene nei casi più drammatici potrei anche pensare di aver capito quello che serve.

E' possibile dare questo concetto in maniera abbastanza precisa senza entrare in particolari specialistici, difficili da seguire e considerabili anche legittimamente noiosi, ma andando però anche oltre una metafora forse altrettanto incomprensibile come quella della farfalla? Ovviamente si, e chiunque sia armato di una sana curiosità e di un certo impegno lo può fare tranquillamente da solo. Io cerco di spiegarlo qui nel modo più sintetico possibile (per me è un esercizio).

Supponiamo di considerare il moto di un proiettile. Le formule della dinamica classica ci permetterebbero di calcolare la sua traiettoria in modo preciso e univoco, una volta conosciute le sue condizioni di partenza. C'è però un aspetto interessante che può essere facilmente intuito e accettato senza fare calcoli. Se io cambio di poco l'angolo della gittata o la velocità di partenza la traiettoria finale del proiettile cambierà anch'essa di poco. Quindi se faccio un piccolo errore nel valutare le condizioni di partenza questo errore me lo porterò appresso nel calcolo della traiettoria ma la sua influenza sarà contenuta, il proiettile cascherà comunque abbastanza vicino al punto calcolato. Questo fatto, apparentemente innocuo, è cruciale per la nostra capacità di prevedere i fenomeni prima che avvengano, perché nel misurare o predisporre le condizioni iniziali di un sistema commetterò sempre un certo errore, è inevitabile. Posso però confidare nel fatto che piccoli errori porteranno piccole conseguenze nell'evoluzione futura del sistema.

Ma è sempre così? Consideriamo un altro sistema dinamico intuitivo e piuttosto familiare: il biliardo. Come nel caso del proiettile, anche in questo si potrebbero usare le formule della dinamica classica per calcolare con esattezza la traiettoria di una palla colpita dall'asta del giocatore. Ma la differenza importante in questo caso è che se faccio un piccolo errore nel colpire la palla e quindi nel non dare ad essa il giusto angolo di partenza o la giusta velocità, le successive riflessioni sui bordi del tavolo e gli urti con le altre palle non faranno che aumentare la discrepanza tra dove mi aspettavo di mandare la pallina e dove andrà veramente. Quindi se aspetto un tempo sufficiente, nonostante abbia fatto un piccolo errore iniziale nell'imprimere alla palla il giusto angolo di partenza o la giusta velocità, la sua posizione finale dopo un certo numero di riflessioni sui bordi e di urti con le altre palle potrebbe non aver più niente a che fare con quella prevista. Questo fatto compromette gravemente la mia capacità previsionale sul sistema.

E la farfalla della metafora iniziale? Lei non è altro che lo spostamento d'aria che io non ho potuto tenere in considerazione nei miei calcoli e che quindi determina un piccolo errore nella valutazione delle condizioni iniziali di un sistema dinamico, in questo caso l'atmosfera terrestre, che dal punto di vista qualitativo si comporta in maniera simile al biliardo. L'errore nel non aver considerato il battere delle ali della farfalla si amplificherà su tempi lunghi e determinerà un'evoluzione completamente diversa da quella calcolata e dunque del tutto imprevedibile, tanto da poter determinare un fenomeno anche molto importante, come un uragano, del tutto assente nei miei calcoli, cioè nelle mie previsioni.

Tutto qui. Ma per dare un respiro più ampio all'argomento (che lo merita) aggiungo queste ultime considerazioni riassuntive.

I sistemi che mostrano comportamenti del genere (biliardo, atmosfera terrestre) si dicono caotici e il fenomeno in generale si chiama Caos. Si tratta di un comportamento estremamente diffuso in molti sistemi dinamici, tanto da essere classificato come un "fatto di natura" la cui importanza ha aperto letteralmente filoni di ricerca scientifica, spesso di tipo interdisciplinare. La cosa altrettanto importante è che i sistemi che esibiscono questo comportamento si dicono anche deterministici, perché data una ben precisa condizione di partenza, hanno un'evoluzione dinamica che può essere perfettamente calcolata, cioè i loro stati futuri sono perfettamente e univocamente determinati. Per questo il comportamento descritto viene più esattamente chiamato caos deterministico (da notare l'apparente contraddizione dei termini) e la cosa notevole è che regole o leggi perfettamente deterministiche possano produrre un moto completamente caotico e assolutamente imprevedibile. L'imprevedibilità è sinonimo di casualità, ma in questo caso a mostrare un comportamento "casuale" è un sistema perfettamente deterministico. 

La caratteristica fondamentale di questi sistemi è la dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali, ed è questo a "simulare" un evento casuale. Per dirla come la notò la prima volta Henri Poincaré "Una causa piccolissima che sfugge alla nostra attenzione determina un effetto considerevole che non possiamo mancare di vedere, e allora diciamo che l’effetto è dovuto al caso. […] Può accadere che piccole differenze nelle condizioni iniziali ne producano di grandissime nei fenomeni finali. Un piccolo errore nelle prime produce un errore enorme nei secondi. La previsione diventa impossibile e si ha un fenomeno fortuito".

La spiacevole conseguenza di tutto ciò è l'intrinseca imprevedibilità dell'evoluzione su lunghi tempi di molti sistemi dinamici. Il determinismo, quindi, non implica la predicibilità e questo in un certo senso significa che il rigore delle leggi fisiche non è in contraddizione con la contingenza dei fatti della vita quotidiana.

 

domenica 11 agosto 2024

La musica attraverso gli insiemi

La melodia e l'armonia della tradizione musicale occidentale sono ricavate da insiemi ben precisi e discreti di suoni (intesi come altezze) nello spazio continuo delle frequenze che costituiscono lo spettro dell'udibile umano.

Il temperamento equabile stabilisce che la musica si scrive lavorando su un ben preciso insieme di altezze di suoni, tra l'altro tutte calcolate secondo una singola formula molto semplice. La caratteristica principale di questa formula è che seleziona una serie di altezze secondo una legge logaritmica, dove ogni dodici note si raddoppia la frequenza (o si dimezza, a seconda se stiamo salendo o scendendo con le altezze), e questo partendo da una nota qualsiasi dell'insieme. Questi dodici suoni costituiscono la cosiddetta scala cromatica che si ripete uguale a sé stessa su tutta l'estensione. Non ha moltissima importanza l'esatto valore delle frequenze scelte, si tratta soprattutto di un sistema di altezze relative, sebbene la scelta della frequenza che costituisce il seme con cui si calcolano tutte le altre sia un fatto importante per l'accordatura di strumenti che devono suonare assieme (il famoso LA a 440 Hz). Le note che fanno parte di questo insieme sono le uniche ammesse nella scrittura di un brano, e nella logica di questo insieme hanno tutte la stessa importanza. Il pianoforte, strumento della tradizione che possiede l'estensione maggiore, ha tutte le note possibili, in totale 88. La sua suddivisione in tasti neri e tasti bianchi ha unicamente uno scopo pratico (facilita l'esecuzione).

Il sistema tonale partiziona l'insieme di partenza del temperamento equabile in 24 diversi sottoinsiemi, tra loro più o meno intersecanti, in alcuni casi quasi completamente sovrapponibili e in altri del tutto disgiunti. Sono le 12 scale maggiori e le 12 scale minori, ciascuna con sette suoni scelti sui dodici della scala cromatica. Lo scopo principale di questo partizionamento risiede nella possibilità di creare una gerarchia tra le note, di introdurre delle priorità, una qualche logica di scelta, che tecnicamente viene detta tonalità. La gerarchia che si crea è di due tipi: interna alle singole scale, e tra di esse. Nel primo caso all'interno della singola scala ci sono note più importanti di altre ai fini dell'articolazione sia melodica che armonica, ad esempio la tonica (primo grado della scala) e la dominante (quinto grado). Queste note determinano dei "campi di attrazione tonale" verso cui si sposta sia la melodia che l'armonia. Nel secondo caso una singola scala si relaziona più facilmente con le "scale vicine" che non sono altro che sottoinsiemi con cui la scala di partenza ha un'ampia intersezione.

Un brano della tradizione occidentale parte da una tonalità (detta tonalità d'impianto), rappresentata da una specifica scala tra le 24 disponibili, e si muove sostanzialmente all'interno di questa. I movimenti melodici e armonici risentono di una serie di attrazioni tonali verso le note principali della scala. Il brano di tanto in tanto "modula" verso tonalità vicine (dove risente di altre attrazioni tonali) per tornare a chiudersi sulla tonalità principale.

Ovviamente quello che ho detto è semplicemente uno schema logico-compositivo che raccontato così risulta cristallizzato in modo anomalo. Tra l'altro risulta rigorosamente valido solo sugli strumenti a tastiera, dove l'insieme di suoni scelto è necessariamente discreto; molti strumenti a corda (e non solo) hanno accesso allo spettro continuo dei suoni, anche se pure loro sottostanno alle regole del temperamento equabile e della tonalità, poiché si tratta delle regole di un linguaggio. In questo discorso ho evidentemente trascurato tutta la parte di evoluzione storica che attraverso interessanti vicissitudini ha portato in un certo periodo a definire un costrutto del genere, da cui poi altre importanti evoluzioni successive si sono allontanate di più o di meno, in modo più graduale o più drammatico.

Il mio è solo un tentativo di raccontare in modo semplice e forse originale una logica compositiva e un linguaggio musicale che in fin dei conti a tutt'oggi rimane un fondamento comune per tutta la musica occidentale, con tutte gli arricchimenti che la storia le ha dato.


domenica 4 agosto 2024

Pregiudizi e leggi della pseudoscienza

Alle Olimpiadi di Parigi è salita sul ring della boxe femminile un'atleta che è stata in più occasioni criticata per il suo aspetto "poco femminile". Si è arrivati a dire che è un trans, un uomo, e che quindi non può essere messa a gareggiare con la categoria femminile. L'unica caratteristica fisica reale e certamente non troppo comune di questa donna sembra essere solo un tasso di testosterone più alto della media femminile, probabilmente causato da un'anomalia genetica, prodotto dall'organismo dell'atleta in modo del tutto naturale. Insomma, è una donna fatta così. Le regole del Comitato Olimpico l'hanno regolarmente ammessa in quanto rispetta i parametri fisiologici stabiliti dal regolamento.

Non mi va di commentare tutto quello che si è detto in merito a questa vicenda, né gli aspetti sportivi (se ce ne fossero) né quelli politici (e ce ne sono). Voglio solo cogliere l'occasione per sottolineare due cose che mi colpiscono spesso e che credo siano collegate al fatto che ormai molte notizie (ad esempio questa) mi arrivano soprattutto attraverso i social.

Anzitutto mi sorprende sempre l'irresponsabile facilità con cui le persone formulano giudizi. Evidentemente questo fatto del bias di conferma è veramente micidiale, deve essere quello, non ho altre spiegazioni. Inoltre probabilmente sospendere il giudizio per pensare bene a quello che scrivi e magari scegliere di non scrivere niente è una cosa che non ti fa "essere" dentro un social, ti fa "perdere terreno". E infine è evidente che degli altri non ce ne frega proprio niente, viviamo un individualismo feroce, che lascia spazio solo al nostro parere. Vedo la foto di una persona che partecipa ad una gara femminile ma ha un aspetto androgino e non ho dubbi, è chiaramente un maschio, al limite un trans. "Ma chi volete prendere in giro!?". E forte di questa mia ovvia osservazione (che nessuno ha il "coraggio" di fare) esprimo tutta la mia condanna verso chi le permette di gareggiare nella categoria femminile, un'onta al mondo femminile, quello "vero!".

E poi la solita storia, quella di usare i risultati della scienza per alimentare una sottocultura scientifica. Desolante. Molte persone rimproverano la scienza di un eccesso di freddezza, di parlare solo per formule, e poi usano nella maniera più rozza le conoscenze scientifiche scolastiche come fossero formuline del discorso: "Coppia di cromosomi XY = maschio", "Coppia di cromosomi XX = femmina", "Testosterone alto = muscoli potenti come quelli di un uomo", e via di questo passo. Se la scienza procedesse così, oltre a non portare a conoscenze nuove sarebbe totalmente priva di fascino, una rottura di balle. Sarà per questo che sono in pochi a volersene veramente interessare.