domenica 29 luglio 2018

Compito sui vaccini

Domande:

1. I vaccini sono efficaci contro le malattie e le epidemie? Sono vantaggiosi per l'individuo e per la società?

2. Le vaccinazioni hanno un'incidenza negativa sulla salute dell'individuo? E in che misura?

3. Chi può rispondere in maniera affidabile alle prime due domande?

4. In che misura lo Stato può imporre un trattamento sanitario obbligatorio ai suoi cittadini, limitandone la libertà di scelta di cura e imponendo loro un rischio, sia pur piccolo, per la loro salute?

5. Cosa possiamo concludere?

Risposte:

1. I vaccini hanno ampiamente dimostrato di fornire al singolo un'efficace protezione da alcune importanti malattie infettive e, applicati su larga scala nella società, si sono rivelati efficaci nell'arginare l'azione delle epidemie fino addirittura in alcuni casi a debellare completamente l'agente infettivo.

2. Come tutti i farmaci e tutti i trattamenti sanitari anche i vaccini possono avere delle controindicazioni. In campo sanitario a qualunque azione con conseguenze benefiche sulla salute dell'individuo è associato un fattore di rischio di una qualche entità. I rischi a cui si può andare incontro sono sempre definiti in senso statistico (sono associati a delle probabilità) e non possono essere calcolati esattamente per ciascun individuo. Si può fare in modo di minimizzarli ma le procedure per farlo hanno dei limiti, tra questi anche i costi e le risorse impiegate. Per cui l'approccio più razionale è quello di confrontare i benefici con i rischi e prendere una decisione di conseguenza. Un rischio è la combinazione di due elementi, la probabilità che accada e il suo impatto sulla salute. L'indice che deve rimanere basso è qualcosa di quantitativo che dipende dal prodotto di questi due elementi. Posso trascurare un rischio sia se la sua probabilità è significativa ma l'impatto trascurabile sia viceversa. In questo senso il rischio dei vaccini sembra essere sempre estremamente basso, stando sia alle statistiche che alla valutazione della stragrande maggioranza dei medici.

3. Le questioni poste nelle prime due domande andrebbero il più possibile trattate quantitativamente, facendo riferimento sia a conoscenze mediche sia a una grande quantità di dati sanitari trattati con strumenti statistici. Entrambe queste risorse possono essere correttamente valutate in primo luogo da professionisti ed esperti. Questo in una qualsiasi disciplina scientifica (e anche in molte altre) è sempre vero. Occorrono conoscenze specialistiche per valutare correttamente una qualsiasi terapia. E occorre una popolazione mediamente colta per comprendere anche solo a grandi linee le scelte degli specialisti. La comunicazione scientifica si basa su due elementi essenziali: la capacità e la volontà di trasmettere informazioni corrette da parte dei media e la giusta preparazione culturale da parte di chi viene informato. A questo aggiungerei anche la necessità di un rapporto di fiducia tra scienziati e cittadini, che viene meno se questi ultimi non hanno un adeguato livello culturale. Pensare ad esempio che la comunità scientifica internazionale sia eterodiretta da ipotetici poteri forti è un segnale della mancanza di questo indispensabile livello culturale minimo.

4. Relativamente all'assunzione di un farmaco la cosa migliore sarebbe informare il paziente sia dei benefici che se ne trarranno sia di tutti i possibili rischi, ciascuno possibilmente con le indicazioni precise di impatto e probabilità. Quindi lasciare libero il paziente, o chi ne è responsabile, di decidere liberamente se assumere il farmaco o meno. Nel caso però delle vaccinazioni la situazione è più complessa in quanto l'efficacia del farmaco non può essere valutata solo sul singolo individuo quanto sull'intero gruppo che condivide gli stessi ambienti di vita. Il motivo è abbastanza evidente, se su cento persone ne vaccino solo dieci l'agente infettivo si propagherà indisturbato sui restanti novanta. Tra questi si genererà spontaneamente una certa quantità di immunizzati ma normalmente questo numero non è sufficiente a combattere la diffusione della malattia, e il suo carattere epidemico non verrà mai messo sotto controllo. Si può immaginare che stando a questa idea generale e studiando statisticamente il problema si possa arrivare a definire delle percentuali minime di vaccinati in una popolazione e questo è esattamente quello che ci dicono gli esperti, fornendoci una percentuale di riferimento pari al 95%. Si tratta di una percentuale molto alta che probabilmente non si riesce ad ottenere lasciando i cittadini pienamente liberi di decidere. In tal caso l'intervento dello stato con leggi che obbligano al trattamento vaccinale può essere risolutivo.

5. La questione delicata è che si deve sovrapporre al bilancio tra benefici e rischi del singolo individuo un'analoga valutazione sull'intera società. Ed entrambe le cose hanno l'una un feedback sull'altra. In qualche modo le due valutazioni, sull'individuo e sulla società, sono indivisibili. Vaccinare l'individuo accettando i minimi rischi associati migliora il livello di salute del gruppo e di consenguenza anche dell'individuo stesso. Non vaccinare l'individuo rispettando la sua libertà di scelta e quindi la sua libertà di non voler correre rischi porta un danno al gruppo e di conseguenza all'individuo stesso, a meno che la percentuale dei non vaccinati sia estremamente bassa. In quest'ultimo caso esercitare la propria libertà di non vaccinarsi porta il doppio beneficio di non correre rischi associati al vaccino e di vivere allo stesso tempo in un gruppo sano (perchè vaccinato in larga maggioranza). In tale contesto la cosiddetta "libertà di scelta" diventa una paraculata.

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