venerdì 3 ottobre 2008

A che serve la Scienza?

La Scienza è spesso astrusa per chi non se ne è mai occupato troppo, e questo ha una spiegazione chiara. Qualunque disciplina scientifica richiede un livello minimo di frequentazione piuttosto elevato per poter essere apprezzata. Per quanti sforzi si possano fare per presentarla in maniera accessibile la Scienza richiede comunque impegno a chi la vuole anche solo in parte conoscere, e questo impegno onestamente non si può pretendere da chi ha altri legittimi interessi culturali. E fin qui tutto bene. Dispiace constatare che argomenti così affascinanti e profondi non siano minimamente percepiti da chi ti sta intorno, ma in fondo chissà quante bellissime cose sfuggono alla mia attenzione.

C'è una cosa però che ho sempre tollerato poco. Nelle rare volte in cui mi trovo a dare una spiegazione di una qualche conoscenza scientifica almeno una volta su due salta fuori la solita domanda: "ma a cosa serve? c'è una qualche applicazione di questa cosa?". E' un tipo di domanda che in genere ammazza il discorso scientifico. Non perchè la Scienza non abbia applicazioni pratiche, ma perchè queste ultime tipicamente non sono mai il nocciolo della questione. A questo punto potrei tirar fuori la classica frase di Richard Feynmann: "La fisica è come il sesso. Certo, può avere qualche conseguenza concreta, ma non è per quello che la facciamo". Ma normalmente la discussione sfuma.

Ma perchè sempre 'sta domanda?

Beh, sicuramente uno potrebbe essere portato a farla nella speranza che la descrizione di una qualche applicazione pratica di quello di cui stai parlando possa rendere l'argomento un pochino più comprensibile. Ma spesso si tratta di una scorciatoia che in realtà porta fuori strada (vedi la questione dell'impegno di cui parlavo prima).

C'è ovviamente una ragione più profonda. La Scienza rischia sempre di essere identificata con la tecnica, con quello che si può fare con una conoscenza, non con la conoscenza in sè. E' vero, le due cose sono strettamente imparentate, il valore di una qualsiasi conoscenza sta anche nella possibilità di utilizzarla in qualche modo. In particolare per quanto riguarda l'attività scientifica, la conoscenza del mondo che essa produce si traduce in genere prima o poi in una qualche possibilità di modificarlo a proprio vantaggio. Tutta la nostra storia culturale è caratterizzata da questo meccanismo.

Confondere la Scienza con le sue inevitabili applicazioni tecnologiche e comprenderla o giudicarla attraverso queste è secondo me indice di ignoranza, e probabilmente andrebbe associato ad un atteggiamento tuttora molto diffuso, che è quello di non classificare l'attività scientifica come umanistica e in tal modo declassarla ad una mera attività tecnico-professionale, altamente specializzata ma pur sempre un'attività tecnica. A parte forse qualche mostro sacro gli scienziati nella nostra società non hanno lo status di intellettuali, come potrebbero esserlo i filosofi, gli scrittori, gli artisti in genere. La nostra è una società che tende a classificare come ricerca scientifica quella che ha come obiettivo la produzione di un nuovo farmaco o di una nuova terapia medica (che secondo me sono più correttamente classificabili come ricerche tecnologiche, sebbene abbiano come soggetto l'uomo), e che invece non percepiscono abbastanza l'importanza della ricerca fondamentale.

In fondo Dirac è un premio nobel come Marquez, e di sicuro è un intellettuale di non minor rilievo, importantissimo per la nostra storia culturale. Ma se io non conosco Marquez, molta gente di cultura medio-alta mi guarderebbe strano. E Dirac invece chi è? Boh!

Ai miei tempi dell'università incontrare uno studente di fisica o di matematica che fosse sensibile alle principali discipline umanistiche (musica, poesia, letteratura, teatro, cinema) e addirittura che le praticasse nel suo tempo libero era la normalità. Non credo di aver mai incontrato in vita mia (nè ai tempi dell'università nè in seguito) persone esperte in discipline umanistiche che avessero una qualche competenza o passione per la Scienza.

Tempo fa mi è capitato di leggere un articolo di Enrico Bellone che ricordava un episodio significativo della nostra storia nazionale: la disputa sul valore della Scienza tra lo sconosciuto Federico Enriquez e i notissimi Benedetto Croce e Giovanni Gentile. I caratteri di questa disputa di primo nevecento mi suonano stranamente familiari. Da una parte Enriquez, convinto assertore dell'importanza della Scienza nel contenso generale della cultura moderna, e della sua conseguente importanza nell'educazione delle nuove generazioni. Dall'altra Croce e Gentile, secondo i quali gli scienziati sviluppavano solamente delle tecniche, e le tecniche nulla avevano da condividere con l'elaborazione del pensiero o con lo sviluppo della cultura. Enriquez (che insieme ad altri matematici quali Castelnuovo, Severi, Volterra, Levi-Civita, formava un circolo di scienziati ed intellettuali italiani di fama mondiale) perse la disputa, e di lì a poco Gentile varò la sua riforma scolastica, che poneva chiaramente la cultura scientifica (e le scuole preposte ad insegnarla) in una posizione subordinata rispetto alla più nobile cultura umanistica. Probabilmente almeno qualcuno dei vizi culturali a cui ho fatto riferimento prima nascono proprio in questo periodo.

La conoscenza della storia per capire meglio il nostro presente è spesso determinante.

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