domenica 19 aprile 2020

La legge della rifrazione e la natura della luce

Uno dei risultati più semplici ma anche importanti dell'ottica geometrica è la legge di rifazione della luce all'interfaccia di due mezzi di densità differente. Recentemente mi è capitato, leggendo dei testi che parlano di ottica, di capire che la descrizione quantitativa di questo fenomeno può permettere di discriminare tra l'interpretazione corpuscolare (in senso classico) e ondulatoria della luce, almeno nel passato lo ha fatto. Non mi ricordo di aver mai avuto occasione di osservare una cosa del genere. Ed è interessante anche dal punto di vista storico.

Nei primi decenni del seicento, prima Snell e in seguito, in modo probabilmente indipendente, Cartesio, definirono la forma sperimentale quantitativa della legge di rifrazione con la seguente espressione:

sin i / sin r = n

con i valore dell'angolo del raggio incidente con la normale alla superficie di separazione dei due mezzi, r valore dell'angolo del raggio rifratto con la stessa normale, e n un parametro che dipende unicamente dalla natura dei due mezzi (ad esempio aria e acqua), chiamato indice di rifrazione relativo.

Come è noto alla fine del seicento Newton formulò le leggi della dinamica e introdusse la forza gravitazionale tra i corpi con la legge di gravitazione universale. Uno schema concettuale molto potente, una chiave interpretativa del movimento e delle interazioni tra i corpi di grande successo. Contestualmente Newton si occupava anche di ottica.

Se delle idee funzionano bene per descrivere una certa classe di fenomeni naturali è abbastanza ovvio cercare di sfruttarle anche altrove, in ambiti chiaramente differenti ma in cui puoi almeno sperare di ottenere lo stesso successo. E' una questione di economia di pensiero (riciclo le idee che si sono dimostrate efficaci) ma soprattutto risponde ad una esigenza di riunire grandi classi di fenomeni anche apparentemente distanti tra loro in un'unica visione esplicativa unificante.

Quindi non è strano che Newton abbia avanzato l'ipotesi della natura corpuscolare della luce. Se la luce può essere pensata come un insieme di corpuscoli viaggianti se ne può dedurre il comportamento applicando a tali corpuscoli tutto quello che si è imparato sul moto di un punto materiale. Ad esempio si può spiegare la propagazione rettilinea di un raggio di luce (osservata sperimentalmente dallo studio delle ombre) deducendola direttamente dal principio di inerzia, supponendo evidentemente che il peso di questi corpuscoli sia trascurabile rispetto alla loro velocità (questo mi sembra già un punto debole, quantomeno da sottoporre ad esperimenti). Si può spiegare anche la legge della riflessione su una superficie di separazione tra due mezzi riconducendola semplicemente ad un fenomeno di urto elastico.

Più difficile interpretare e rendere conto, anche quantitativamente, della legge della rifrazione. Qui Newton usa l'idea (già formulata in precedenza) che nei due mezzi la velocità dei corpuscoli di luce sia differente. In particolare che si conservi la componente parallela alla superficie di separazione e che invece cambi quella ortogonale. Quest'ultima cresce nei mezzi più densi come risultato di una maggiore forza di attrazione delle masse verso l'interno del mezzo (e anche questo, almeno raccontato in questo modo, mi sembra un argomento debole, quantomeno non ben chiaro). Il risultato sarà che il raggio proveniente dal primo mezzo (meno denso, ad esempio aria) incidente sulla superficie di separazione di un angolo i con la normale si propaga all'interno del secondo mezzo (più denso, ad esempio acqua) avvincinandosi alla normale, cioè con un angolo di rifrazione r minore di i. Un calcolo fatto scomponendo le velocità v1 e v2 dei due fasci incidente e rifratto porta ad ottenere proprio l'espressione della legge di rifrazione in questa forma:

sin i / sin r = v2 / v1

Non solo questa formula riproduce il risultato sperimentale di Snell ma fornisce anche un'interpretazione dell'indice di rifrazione relativo come il rapporto tra le velocità di propagazione della luce nei due mezzi.

Fino a qui sembrerebbe un buon successo. Una legge determinata esclusivamente per via sperimentale viene ora dedotta partendo da un'ipotesi sulla natura della luce e da un semplice calcolo cinematico conseguente a questa ipotesi (e ad altre considerazioni per la verità discutibili). Ma a questo punto, se vogliamo mettere alla prova la capacità della teoria occorrerebbe trovare il modo di verificare la questione delle velocità di propagazione della luce nei diversi mezzi. Purtroppo all'epoca di Newton verifiche di questo genere erano fuori portata e la questione rimaneva aperta.

La questione rimaneva aperta ed estremamente interessante anche perchè negli stessi anni in cui Newton dava la sua interpretazione ne circolavano altre, una basata sul Principio di Fermat e l'altra basata sul Principio di Huygens. In entrambi questi casi si arrivava però ad una legge di Snell che legava anch'essa l'indice di rifrazione al rapporto delle velocità di propagazione, ma rovesciava questo rapporto, cioè metteva a denominatore la velocità del secondo mezzo. Se questo era il mezzo più denso, e se si voleva far coincidere quanto calcolato a quanto si misurava, occorreva ipotizzare che la velocità in un mezzo più denso diminuisse anzichè aumentare, in aperto disaccordo con Newton.

L'interesse di questo disaccordo risiedeva anche nei punti di partenza delle due visioni di Fermat e Huygens, in particolare di quella di quest'ultimo. Infatti se Fermat risolveva il problema imponendo al sistema un principio di minimo senza fare nessuna particolare ipotesi sulla natura della luce (ma definendo un metodo generale molto importante che in seguito verrà ripreso da Maupertuis e applicato al formalismo della meccanica lagrangiana), Huygens arrivava alla legge di Snell applicando un principio di costruzione geometrica che presupponeva la propagazione della luce come un'onda. In questo caso erano le interpretazioni della natura della luce, non proprio roba da poco, ad essere profondamente diverse in Newton e Huygens e a portare a risultati differenti.

Differenze che però purtroppo all'epoca non potevano trovare una soluzione attraverso l'unico modo scientifico per farlo, cioè misurando i valori delle velocità della luce nei diversi mezzi. In quegli anni esisteva un'unica misura della velocità della luce determinata da misure astronomiche sulle eclissi dei satelliti di Giove, decisamente insufficiente per risolvere la questione tra Newton e Huygens. Solo nel 1850 le misure fatte da Foucault hanno mostrato che la velocità della luce nei mezzi densi è minore di quella nell'atmosfera dando così ragione all'interpretazione ondulatoria di Huygens e contraddicendo la teoria corpuscolare di Newton.

Comunque la questione della natura della luce era già stata risolta cinquant'anni prima da Thomas Young, che dimostrò con esperimenti quali quello della doppia fenditura come i fenomeni della diffrazione e dell'interferenza fossero spiegabili dalla teoria ondulatoria e non da quella corpuscolare.

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