domenica 23 ottobre 2016

Autodisciplina

Mio figlio faceva la prima media già da qualche mese quando ha ricevuto il suo primo smartphone, ed era impossibile procrastinare ulteriormente questo regalo. Era ormai l'unico tra i suoi coetanei a non averlo. Per un genitore questo significa principalmente aver dotato il figlio di uno strumento di reperibilità, ma secondo me questa esigenza sorgerà realisticamente solo tra qualche anno. Al momento, a meno che non lo si voglia reperibile nel tragitto tra scuola e casa o viceversa, lo smartphone non ha ancora questa funzione.

Per mio figlio lo smartphone all'inizio significava principalmente un ennesimo dispositivo elettronico con cui giocare. Nel giro di un paio d'anni, a cavallo tra elementari e medie, la sua attività di gioco e svago quotidiano si è spostata quasi integralmente su strumenti digitali. Però quasi immediatamente con il suo nuovo smartphone ha cominciato a fare la sua prima esperienza di rete sociale attraverso whatsapp. Ovviamente entrando nel gruppo della sua classe. Quasi contemporaneamente è aumentata la frequentazione di YouTube, al momento su canali legati essenzialmente ai videogiochi.

Su questo terreno sono cominciati a sorgere alcuni problemi su cui ogni tanto mi fermo a pensare. In sintesi alla fine questi problemi sono: uso eccessivo del digitale, linguaggio pesante e volgare della comunicazione, controllo del materiale fruito sulla rete. Più o meno i timori che assalgono un qualunque genitore. Qual è la strategia educativa migliore in questo caso? Creargli delle restrizioni di tempo e di manovra? Imporre degli strumenti di controllo parentale? Insomma costruirgli una disciplina dall'esterno?

Io non ci credo alla disciplina portata nella vita di una persona dall'esterno, cioè da un'altra persona. La disciplina ha veramente senso solo quando è autodisciplina. Cioè deve essere una scelta libera. Tutto nella vita di una persona deve somigliare il più possibile ad una scelta libera. Effettivamente si tratta in molti casi di avere disciplina nell'uso degli strumenti, di avere senso della misura, di capire il bello e il brutto di un mezzo di comunicazione. Ma per farlo bisogna ragionarci, e per ragionarci bisogna provarlo, e per provarlo veramente bisogna rischiare. Si deve uscire allo scoperto se si vogliono affilare gli strumenti critici. Altrimenti non si riesce mai veramente ad avere un'opinione personale in merito ad alcunché.

Il mio compito può essere solo quello di aiutarlo a ragionarci.

Nota: Anni fa mi è capitato di avere a che fare con dei militari, frequentati all'interno della loro caserma per ragioni di lavoro. La cosa che mi ha sorpreso di più del loro comportamento verso di me è stata l'incredibile indisciplinatezza, ad un livello che raramente ho riscontrato in altri ambienti. Strano per dei militari. Poi però il richiamo di un tenente colonnello ad una attività oggettivamente secondaria e la risposta pronta e appecoronata di queste persone mi ha chiarito le idee. La disciplina di un ambiente militare è in realtà l'espressione della gerarchia, la manifestazione di un potere, che ovviamente può tranquillamente esistere in varia misura in qualsiasi ambiente di lavoro che voglia essere efficiente ma che in un ambiente militare viene elevata a valore supremo. E per questo diventa ridicola. Niente di poi così strano dal momento che l'obbedienza ferrea e totalmente acritica alla gerarchia è fondamentale in regime di guerra. E niente di strano se poi quelle stesse persone al di fuori dell'ambito che gli impone anche solo formalmente certi comportamenti non manifesti la benché minima capacità di autodisciplina.

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