sabato 16 aprile 2011

Sul concetto di destino

Che io ricordi mi pare di aver sempre più o meno pensato che i fatti della vita di una persona hanno una componenete puramente casuale. Questa componente esiste sempre, interviene a tutti i livelli, dai meccanismi di formazione del feto fino alle persone che si incontrano. Ammetto che si tratta di una posizione filosofica, se ne potrebbero avere di diverse, ma è anche una posizione che mi risulta piuttosto spontanea. Non so se questo sia dovuto principalmente alla mia formazione scientifica. La scienza da un certo punto in poi ha introdotto il caso in molte descrizioni dei fenomeni naturali.

L'idea che il caso possa giocare un ruolo importante mi pare però un'idea molto poco accettata dalla maggior parte della gente. E questo è vero da sempre. Ne è prova il fatto che da sempre l'uomo ragiona sul concetto di "destino". Per me la frase più significativa riguardo a questo concetto rimane quella che dice semplicemente che "Il destino viene scritto nel momento in cui si compie e non prima". La domanda interessante in realtà può essere: "perchè il concetto di destino è così naturale per la maggior parte delle persone? E perchè il concetto di caso non lo è?"

Intanto c'è da osservare che il caso sembra un'idea monca, incompleta. L'evento casuale è automaticamente associato ad una qualche mancanza di conoscenza. Questo è vero anche in molte descrizioni scientifiche (non tutte a dir la verità), che sono di carattere statistico proprio nella misura in cui non si riesce ad avere una conoscenza dettagliata del sistema. Quindi un evento casuale ha in realtà una sua causa nascosta, magari imponderabile, che determina completamente l'evento e che se fosse ben conoscibile lo renderebbe "calcolabile", dunque prevedibile, affatto casuale. Così il caso non esiste, tutti gli eventi sono l' effetto di una causa ben precisa, anche se sconosciuta. La casualità è semplicemente l'effetto della mancanza di informazione. Se potessimo avere informazioni sufficienti sulle cause tutto sarebbe calcolabile, perchè di fatto qualsiasi evento è il preciso effetto di una qualche precisa causa, e a sua volta è causa di eventi successivi. Il risultato di queste esatte concatenazioni è che l'universo ha un destino ben preciso determinato a priori, anche se non necessariamente conoscibile.

Credo che la posizione filosofica di molta gente, più o meno consapevolmente, sia questa. Il quadro concettuale in cui ci si muove può portare tuttavia secondo me a delle "degenerazioni". Si può essere portati a voler dare un "significato" a qualsiasi cosa accada, o meglio a pensare che ci sia, pur non avendo nessuna possibilità di conoscerlo. A farsi la classica domanda "perchè proprio a me?" o "perchè proprio in questo modo?", dovendoci essere una ragione ben precisa per tutto, anche se assolutamente inafferrabile. Un vero e proprio vicolo cieco. Spesso si può essere addirittura maggiormente portati ad avere atteggiamenti superstiziosi, che significa poi collegare in maniera bizzarra gli eventi tra loro, nella convinzione che tra gli eventi un qualche rapporto causa-effetto per quanto misterioso ci sarà pure da qualche parte.

Il concetto di destino ha anche un lato affascinante (almeno per me), che è quello che lo collega alla visione stoica della relazione uomo-Natura. Citando Bertrand Russel nella sua Storia della filosofia occidentale: "Tutte le cose fan parte d'un unico sistema, che si chiama Natura; la vita individuale è buona quando è in armonia con la Natura. [...] la vita umana è in armonia con la Natura soltanto quando la volontà individuale è diretta verso scopi che sono quelli della Natura stessa. La virtù consiste in una volontà che sia in accordo con la Natura". La metafora, piuttosto famosa, con cui viene illustrata questa visione è quella del cane legato ad un carro. Il cane ha due possibilità: seguire armoniosamente la marcia del carro o resisterle. La strada da percorrere sarà la stessa in entrambi i casi; ma se ci si adegua all'andatura del carro, il tragitto sarà armonioso. Se, al contrario, si oppone resistenza, la nostra andatura sarà tortuosa, poiché saremo trascinati dal carro contro la nostra volontà. L'idea centrale di questa metafora è espressa in modo sintetico e preciso da Seneca, quando sostiene: «Ducunt volentem fata, nolentem trahunt» («Il destino guida chi lo accetta, e trascina chi è riluttante»).

2 commenti:

Massimiliano ha detto...

Io, da statistico, sono assolutamente d'accordo con la definizione di caso come mancanza di conoscenza (il celebre aforisma di Voltaire: "ciò che chiamiamo caso non è e non può essere altro che la causa ignota di un effetto noto.").
Non credo tuttavia che questo debba necessariamente andare di pari passo con una visione fatalista: se fosse anche vero che conoscendo "tutto" si potesse ricostruire tutta la catena di causa/effetto, questo non cambierebbe il nostro punto di vista, che è sempre e comunque limitato e quindi soggetto al caso.

Rodolfo Trippetti ha detto...

Non è così scontato che al caso corrisponda sempre una qualche mancanza di conoscenza, cioè che dietro un comportamento percepito e descritto come casuale ci sia necessariamente qualche "variabile nascosta". Ci dovrò scrivere un post su questa cosa ....