domenica 10 aprile 2011

O' Prufessore

Ricordo che eravamo appoggiati ad una specie di ringhiera di un marciapiedi che andava un po' in salita, e da lì guardavamo la piazza del paese gremita di gente. Tenevamo d'occhio l'ingresso della chiesa da cui sarebbe uscita la statua di San Rocco, portata a spalla. Il Professore mi parlava in modo pacato di questa tradizionale festa di paese, che lui conosceva da sempre. Io non ero molto familiare con manifestazioni religiose di questo tipo; il paese di mia madre è del centro Italia dove la religiosità ha caratteri piuttosto diversi dai paesi del sud. La festa principale del paese di mia madre è la festa dell'uva, certamente non legata ad un santo patrono (non sono neppure sicuro se ce l'abbia ...).

Quindi ero un po' spaesato e incuriosito e seguivo con interesse il parlato lento e pieno di pause del Professore mentre guardavamo la piazza: la storia del Santo, i particolari della statua, le modalità della festa, le edizioni degli anni passati, prima e dopo il terremoto dell'ottanta che aveva costretto ad usare una chiesa diversa, quella che a circa quindici anni di distanza dal terremoto si stava ancora utilizzando (e che osservavamo in quel momento). La sua grande speranza era di ritornare prima o poi nella chiesa originale.

Quello che mi colpiva molto era l'intensità del discorso, il desiderio di comunicarmi una cosa importante, per lui e per tutti i suoi compaesani. Una tradizione rinnovata ogni anno con grande partecipazione di tutti, anche se si capiva dalle sue parole che l'atmosfera della festa vissuta in gioventù si era un po' persa. I tempi erano cambiati. Però il suo attaccamento a questa tradizione era evidentemente rimasto intatto. Era per lui un tratto distintivo del suo paese, un'espressione genuina della sua cultura. Un vero motivo d'orgoglio.

Una cosa mi infastidiva un po'. Continuava ad intercalare nel suo discorso una frase del tipo: "ma io mi rendo conto che tu queste cose non le puoi capire, tu sei forestiero, solo se sei nato qui puoi sentire veramente questa festa". Io rispondevo puntualmente: "no ma io capisco, capisco ... mi rendo conto". Mi dispiaceva che lui potesse pensare che quel suo discorso fosse un mezzo monologo. Intanto il Santo era uscito dalla chiesa e la processione cominciava a prendere corpo.

Sono passati molti anni, il Professore non c'è più, e io ho continuato in varie altre occasioni ad osservare questa festa, in particolare il suo momento più importante, la processione per il paese. Non c'è niente di intimo in una festa del genere, non ci sono atmosfere raccolte, almeno non mi sembra. La religiosità è esplicitata in forme molto concrete, comunicata con tutti i mezzi, ha toni forti, spesso eccessivi; ha una dimensione sociale. Se non sbaglio c'è anche il solito miracolo del Santo, che non ho mai visto perchè avviene ad un'ora impossibile del mattino, ma l'evento non passa inosservato perchè viene salutato dall'esplosione di petardi! Anche l'uscita del Santo dalla chiesa, per la processione serale, è accompagnata dall'esplosione di vari fuochi d'artificio e da gente che beve innumerevoli bicchieri di acqua miracolata.

La disposizione della processione è particolarmente interessante: autorità religiose (tra cui il vescovo), autorità civili (sindaco e parte della giunta comunale), associazioni religiose di vario genere, uomini, donne e bambini. Da qualche parte è sistemata anche la banda. E' evidente che la disposizione esprime molto chiaramente una gerarchia di valori. Ma è indubbio che esprima anche una grande unità sociale. Si tratta di una festa religiosa ma è scontato che la partecipazione è corale, riguarda la società intera e tutte le sue rappresentanze principali. Il culto del Santo accomuna tutti.

Sono passati molti anni e alla fine devo ammettere che il Professore aveva ragione: non credo di avere la possibilità di capire fino in fondo una cosa del genere.

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