domenica 4 dicembre 2022

HeLa e la natura del cancro

La storia di HeLa è bella sotto vari aspetti. Racconta della prima linea cellulare umana che è stata in grado di sopravvivere e di riprodursi all'esterno del corpo umano, a tutt'oggi ancora attiva in tanti laboratori nel mondo. Le sperimentazioni su di essa hanno consentito grandi progressi nella comprensione di malattie fondamentali quali la poliomielite, l'aids, il cancro. Racconta anche del destino sfortunato della sua inconsapevole donatrice, Henrietta Lacks, afroamericana, figlia di schiavi, morta di cancro alla cervice uterina nel 1951, a poco più di trent'anni. All'insaputa sua e dei suoi familiari (all'epoca si poteva fare) le fu prelevato un campione di cellule tumorali che in seguito, messe in coltura, hanno cominciato a proliferare, dando vita ad HeLa, la sua "parte immortale". Nei decenni successivi tanto diventava famosa HeLa quanto rimaneva sconosciuta la sua donatrice, il cui nome veniva spesso addirittura riportato in modi sbagliati. La ricostruzione particolareggiata di questi eventi scientifici e umani è raccontata nel bel libro di Rebecca Skloot La vita immortale di Henrietta Lacks. Una sintesi molto ben raccontata la fa il podcast di RaiPlay "La scienza e il cuore", di Francesco Graziani, nell'episodio dal titolo "La vita breve e infinita di Henrietta Lacks".

L'idea affascinante è che la linea cellulare ricavata da un campione di tessuto prelevato ad Henrietta Lacks l'abbia resa in qualche modo immortale. HeLa è attualmente ancora attiva e non sembra dia segni di invecchiamento, almeno fintantoché le colture verranno alimentate. Non è certo il tipo di immortalità che un essere umano auspicherebbe, ma la cosa è interessante per il fatto che si tratta di cellule cancerose. E' questo aspetto (anche questo poco auspicabile per un essere umano) che rende la linea cellulare potenzialmente infinita. Le cellule normali, non cancerose, non crescono e non vivono all'infinito, né in coltura né nel nostro organismo. Il loro processo di duplicazione cessa in maniera fisiologica dopo una cinquantina di duplicazioni (si chiama limite di Hayflick), alla fine delle quali le cellule normali entrano in una fase di senescenza cellulare che le porta alla morte. Questa può avvenire in vari modi, la più interessante delle quali è l'apoptosi, il suicidio volontario della cellula. Il limite di Hayflick e l'apoptosi sono meccanismi di autoregolamentazione della popolazione di cellule dell'organismo e hanno senso solo in organismi pluricellulari, garantendo la sopravvivenza dell'individuo a scapito di unità biologiche "minori" (le cellule) che vengono sacrificate.

Evidentemente le cellule cancerose riescono a bypassare i meccanismi che regolano l'interruzione del processo di duplicazione e la morte programmata della cellula. Come sappiamo i tipi di cancro sono tantissimi (tanti quanti sono i diversi tessuti dell'organismo, a occhio e croce) e le cause altrettanto numerose. Ma il meccanismo che scatenano è sempre lo stesso, ed è riconducibile ad una serie di mutazioni genetiche concomitanti (bisogna pure essere un po' sfigati) che sappiamo peraltro essere fenomeni intrinsecamente casuali, anche se ovviamente possono essere favoriti sia da predisposizioni genetiche che da fattori esterni ambientali, e che portano la cellula a "liberarsi" da una serie di meccanismi di autoregolazione che la fanno stare in modo "disciplinato" all'interno dell'organismo a cui appartiene.

C'è un aspetto di questa malattia che appare un po' strano ma forse anche significativo. Nessuno ci guadagna dallo sviluppo della malattia perché non c'è un vero e proprio agente esterno che la provoca. Se ci ammaliamo a causa di un qualche microorganismo (batterio o virus) è un agente esterno che usa il nostro corpo e le nostre funzioni vitali per duplicarsi e diffondersi ad altri individui. Questa cosa può anche portare l'organismo ospitante alla morte ma l'obiettivo dell'agente esterno è quello di utilizzarlo il più possibile come vettore efficacie di diffusione. Invece il cancro non è affatto un'entità esterna, né si diffonde tra individui, è una parte di noi stessi che sviluppa comportamenti sbagliati e autodistruttivi. Il cancro, uccidendo l'organismo uccide anche la nicchia ecologica dove sta proliferando, e muore anche lui. Sempre che abbia senso dare al cancro una sua individualità, scollegata dall'organismo in cui si sviluppa.

Ma perché succede questo? Perché noi uomini, e in realtà tutti gli organismi superiori, ci portiamo appresso questo "cancro" da sempre? Il tentativo di spiegazione di tipo evolutivo che mi è capitato di leggere in un libro di Telmo Pievani è affascinante.

In un lontano passato la vita era unicellulare, le singole cellule si dividevano all'infinito e la morte fisiologica non esisteva. Ogni cellula era totalmente indipendente dalle altre e se la sbrigava da sola nelle difficoltà della vita. Ad un certo punto della storia evolutiva subentrò la cooperazione cellulare, cioè la convenienza a stare insieme in colonie, e contestualmente anche la differenziazione cellulare, cioè la convenienza a dividersi i compiti (sembra la nascita di una società umana). Questo evidentemente dava dei vantaggi indiscussi nella possibilità di sopravvivenza della singola cellula membro della colonia e nella sopravvivenza della colonia stessa. Ma forse c'era anche un prezzo da pagare. Ora le singole cellule facevano parte di uno stesso organismo, non potevano più farsi gli affari propri, dovevano collaborare tra loro e differenziarsi nelle varie funzioni necessarie nel modo giusto. Erano necessari meccanismi di sorveglianza sia contro attacchi esterni che contro cellule interne che non si comportavano correttamente (sembra sempre la nascita di una società umana). Se tutto funzionava i vantaggi ottenuti erano ben maggiori dei prezzi da pagare, e questo ha determinato la direzione evolutiva che ha prodotto organismi sempre più complessi, tra cui noi.

Ma la natura è perfetta? Direi di no. L'antica libertà delle cellule è evidentemente ancora scritta in qualche modo da qualche parte, soppressa da meccanismi sviluppati nel corso di milioni di anni. Alcune mutazioni che si possono accumulare in una stessa cellula possono indurla a disobbedire alla logica cooperativa del nostro corpo pluricellulare, tanto faticosamente costruita in milioni di anni di evoluzione. Questa cellula ritorna ad uno stadio primigenio che risale a miliardi di anni fa, torna alle sue origini e al suo comportamento fondamentale, quello di moltiplicarsi indefinitamente. Quando cellule del genere imparano anche ad aggirare i meccanismi di sorveglianza che tenderebbero a sopprimerle, la loro attività di suddivisione diventa incontrollabile e produce masse che soffocano progressivamente gli organi alterando le loro funzioni fisiologiche.

Ultima osservazione: se il cancro è una malattia che muore assieme al suo ospite, come può aver fatto ad evolversi? Dov'è il suo vantaggio evolutivo? La risposta è che il cancro non si è mai evoluto, è sempre stato lì, con noi. Sono i controlli del corpo pluricellulare che si sono dovuti evolvere per contrastare i comportamenti di base delle cellule e quindi a dover fare i conti con un avversario ben più antico. "Se questi controlli che tengono a bada le pulsioni di anarchia delle cellule per qualche ragione saltano, una forza primordiale silente si sprigiona e semina lo scompiglio. Può cominciare tutto da una singola cellula, che a caro prezzo per la salute del collettivo di cui fa parte va a prendersi il sogno proibito dell'immortalità" (Telmo Pievani).


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