giovedì 21 aprile 2016

Il referendum del 17 aprile

Già sapevo di un referendum imminente sulla questione delle trivellazioni nell'Adriatico. Comincio a trovare nella mia home page di Facebook i richiami a questo referendum, sono tutte esortazioni ad andare a votare a favore dell'abolizione di queste trivellazioni e tutte hanno immancabilmente il tono seguente: "nessuno ti parla di questo referendum perchè non vogliono che passi, vogliono che non se ne sappia niente affinchè non si raggiunga il quorum, vota per l'abolizione delle trivellazioni".

Al terzo o quarto post di questa natura ho cominciato a provare un certo fastidio. Addirittura uno di questi mostrava le immagini di un punto di trivellazione che andava a fuoco, con l'idea di far vedere cosa può succedere se non si andrà a votare per l'abolizione. Mi ha richiamato alla memoria il vecchio referendum sul nucleare e tutti quei muri pieni di manifesti antinuclearisti con le foto del fungo atomico.

Le cose che cominciavano a girarmi in testa erano un paio:
1. una qualunque tecnologia ha sempre un impatto ambientale, diretto o indiretto, e la soluzione non può essere quella di eliminare quella tecnologia tout court; anche perchè le tecnologie servono, non stanno li' solo per fare danni. Il punto non è quello di individuare ed eliminare le tecnologie cattive, casomai è quello di elaborare strategie efficaci e globali per ridurre l'impatto ambientale di tutte le tecnologie.
2. E' vero che chi non parla di questo referendum lo fa perchè è interessato a non raggiungere il quorum e quindi a vanificarlo, però è anche vero che chi esorta alla partecipazione e al voto abrogativo comunque non parla della questione referendaria. L'oggetto della discussione sul referendum è il referendum stesso. Sempre lo scontro e mai il dibattito.

Poi mi sono imbattuto in un articolo di Marco Cattaneo, una specie di sfogo, con alcune considerazioni sull'ambientalismo, o meglio su un certo tipo di ambientalismo, che sono in linea con quello che spesso penso anche io. La sua tesi in breve, abbastanza ovvia dal mio punto di vista, era che non ha senso ridurre il complesso problema energetico e il suo impatto sull'ambiente ad una decisione tecnica così particolare come quella di decidere quanto tempo far rimanere operative alcune piattaforme marittime (una minima parte) vicine alle coste di alcune regioni italiane. Perchè poi il pericolo è quello di trasformare tutto in una decisione del tipo "fuori da casa mia", che non solo non risolve niente ma può addirittura peggiorare la situazione, perchè divide il mondo in chi ce la fa a portare i problemi ambientali abbastanza lontano da casa propria e chi non ha la forza di farlo. L'articolo ad un certo punto recita così: "In parole povere, votare sì a questo referendum SENZA RIDURRE IMMEDIATAMENTE I NOSTRI CONSUMI DI COMBUSTIBILI FOSSILI significa continuare a godere dei benefici del gas e del petrolio, scaricando tutti i rischi su altri, molto più poveri di noi. I quali trarranno a loro volta qualche beneficio, molto più piccolo del nostro, ma si assumeranno tutti i rischi." [Marco Cattaneo, Le Scienze]. Allude anche ad una certa ipocrisia con cui certe "battaglie ambientaliste" vengono condotte, quella che poi non modifica di una virgola il tenore di vita di nessuno.

Mi sono sempre rapportato piuttosto male con i movimenti ambientalisti, a cui ho sempre rimproverato due caratteristiche per me proprio difficili da accettare: l'approssimazione delle argomentazioni, quasi sempre ridotte a sensazionalismi e a questioni di pancia più che di testa (non usare bene la testa in problemi così complessi è intollerabile); e l'integralismo degli atteggiamenti, che sarà pure tanto bello ma non porta da nessuna parte (a me poi gli integralismi provocano sempre un sentimento di diffidenza).

A questo stato della mia informazione sull'argomento difficilmente mi sarei alzato dalla sedia per andare a votare.

Passano un po' di giorni e la situazione ai miei occhi cambia in modo significativo. Entrano in scena fattori nuovi che modificano il mio modo di vedere questo referendum. Il presidente del consiglio e il suo staff entrano in campagna referendaria incoraggiando l'elettorato a non andare a votare in quanto il quesito referendario è sostanzialmente inutile. A parte tutta la questione del meccanismo referendario che ogni volta rispunta nel dibattito generale (è un buon atteggiamento non andare a votare? è un comportamento civile? è una legittima scelta che esprime indifferenza relativamente alla questione posta? è una possibile strategia per invalidare il referendum? è legittimo incoraggiare l'astensione? è il caso di mantenere il meccanismo del quorum? ecc.) e che qui non voglio discutere (ne ho già scritto qui), se un referendum punta all'abolizione di un pezzo di articolo di legge e chi questa legge l'ha fatta ritiene ciò irrilevante, per quale motivo esiste quel pezzo di articolo che è stato a suo tempo certamente proposto, discusso e approvato? Posso essere d'accordo sul fatto che ai fini del problema ambientale la questione è di fatto irrilevante (e considerarlo un referendum "simbolico" è un po' ridicolo) ma a maggior ragione torno a rifarmi la domanda: perchè esiste quel pezzo di articolo?

Continuando a leggere su internet focalizzo l'attenzione proprio su questo ultimo punto e alla fine escono un paio di articoli interessanti. Uno riporta il seguente commento: "In effetti è insolito che una risorsa dello stato, cioè pubblica, sia data in concessione senza limiti di tempo prestabiliti (ed è per questo che la corte costituzionale ha giudicato ammissibile il quesito)" [Marina Forti, Internazionale]. L'altro è ancora più esplicito: "Non è, come alcuni sostengono, un referendum sui rischi ambientali, [...] il 17 aprile si vota per chiudere gli impianti alla scadenza delle concessioni com’è normale che avvenga. Infatti, prolungare per legge un contratto tra pubblico e privato è un favore immotivato (alle società petrolifere) poiché si crea un monopolio senza scadenza, falsando il mercato, e perché sarà il concessionario a decidere di fatto quando finirà la “vita utile” del giacimento." [Francesco Sylos Labini, Il Fatto Quotidiano].

Quindi il vero argomento è un altro. Il referendum era sulle concessioni, sull'inopportunità di regalare un patrimonio comune alle società petrolifere, di favorirle oltre limiti ragionevoli nello sfruttamento di un bene pubblico (potranno sfruttare i giacimenti a livelli bassissimi per rientrare nelle franchigie e non pagare royalties allo Stato Italiano, potranno gestire come vogliono e nei tempi che fanno comodo a loro lo smaltimento delle piattaforme). Perchè questo regalo? Perchè questo favore? Qual'è il guadagno? E chi ci guadagna?

Mi pare la solita storia di favoritismi a vantaggio di pochi e a svantaggio della comunità, che mi piacerebbe contestare, avendone nel mio piccolo la possibilità. Dunque alla fine ho deciso di andare a votare.

Nessun commento: