martedì 11 gennaio 2011

Modelli sociali vecchi e nuovi

Io ho cominciato a lavorare quando ancora si parlava di yuppismo (ancora per poco, il vero yuppismo era degli anni ottanta). In qualche piccolo frangente della mia attività ho avuto modo di osservare più da vicino questo stereotipo. In particolare ricordo un breve periodo (pochi giorni) in cui mi capitò di veder lavorare alcuni giovani impiegati della McKinsey. Arrivavo che erano già tutti sul posto di lavoro, me ne andavo che erano ancora tutti lì, anzi, stavano carburando ...
I ragazzi non di Roma si informavano sui locali notturni della zona. L'ambiente di lavoro era insopportabilmente competitivo, tutti "facevano team" (come dettato dalla filosofia aziendale) ma senza una vera cordialità (questo spesso si capiva dal livello dei pettegolezzi che giravano). Come si dice: da nessuno di loro avrei mai comprato una macchina usata.
Una delle cose più ridicole che ricordo è che tutti quanti venivano in ufficio in giacca e cravatta (bei completi, molti anche con il panciotto) ma se venivano in ufficio di sabato, e per quello che ho capito succedeva spesso (anche a me capitò una volta, purtroppo), vestivano tutti "casual", che significa, ovviamente, vestiti con maglioncino e scarpe da tennis, ma tutto rigorosamente firmato e costoso. Un delirio.

Effettivamente quello che si percepiva era un vero e proprio modello sociale (supportato da un linguaggio ben preciso, verbale e non) a cui tutti si uniformavano naturalmente, senza troppe difficoltà. Da giovani lo spirito di emulazione e la voglia di abbracciare una qualche filosofia di vita, per quanto aberrante, è sempre molto forte. Ed è su questi istinti che si costruisce un modello sociale.

Ma alla fine, lo scopo principale di tutto ciò qual'era? Quello di far lavorare dei poveri cristi per almeno 12 ore al giorno ... e farglielo fare contenti. Sentirsi fichi nei propri panni è un elemento fondamentale per far digerire un modello sociale. La controparte per questo lavoro da somari? Pochi soldi all'inizio ma promesse di una brillante carriera nel mondo dei "grandi professionisti", che alla fine significa gente che guadagna tanto. E cosa fa un grande professionista dopo 12-14 ore di lavoro? Consuma champagne e va a puttane, non ha tempo per fare molto altro (ah si, va in palestra a coltivare il fisico). Credo che molti di quegli yuppies siano attualmente la nostra classe dirigente, tenacemente abbarbicata alla propria sedia.

Negli ultimi anni mi sembra emergere in Italia un nuovo modo di pensare, altrettanto aberrante, secondo me. Quella del giovane brillante che conosce le lingue e va a lavorare all'estero. La dura realtà credo che sia abbastanza ovvia: un'intera generazione di italiani si prepara ad espatriare per poter campare decentemente, e la generazione precedente (la mia) lo ha già fatto in buona parte. Ma non vorrei che questa cosa, che in sè è disastrosa, si cominciasse a presentare come una cosa da "fichi", come il vecchio yuppismo. Staremo a vedere.

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